Quali insidie si nascondono dietro la democrazia? Dove trovare gli anticorpi ad una sua possibile degenerazione plebiscitaria o tirannica? In cosa consiste il «mostro dalle mille teste»? Qual è il rapporto tra liberalismo e democrazia? Qual è il ruolo che deve giocare lo Stato?
di GIUSEPPE NUCCETELLI
A queste ed altre domande ha cercato di rispondere la Prof.ssa Nadia Urbinati (IV appuntamento del ciclo Lezioni Norberto Bobbio, fondazione Critica liberale) attraverso una rapida esposizione dei contributi di due grandi rappresentanti del liberalismo anglosassone (J. S. Mill ed I. Berlin) sul tema della democrazia, della libertà, del potere statale e del potere «sociale». Individuato il bene principale da difendere nell’individuo ed individuata la missione principale del liberalismo nella limitazione del potere (anche e soprattutto in sistemi democratici), la domanda inevitabile cui rispondere è: di quale potere si tratta?
Se, per potere, si intende la capacità di indurre a fare o non fare un qualcosa contro la propria volontà, la prima risposta che ha dato il liberalismo è che si tratta del potere statale. Conseguentemente, il primo concetto liberale di libertà che è stato adottato è quello di tipo hobbesiano: la libertà consiste nel non avere ostacoli, nel non avere leggi dello Stato che interferiscano nella vita di ciascuno. La risposta di Mill (alla luce del suo saggio On Liberty del 1859) è diversa: egli individua un nuovo tipo di potere che non agisce con galere e polizia e che ha la sua fonte di legittimazione nel consenso. E’ un potere, dunque, tipico dei sistemi democratici.
Ma perché doversi difendere da un potere che si basa sul consenso dei cittadini? Qual è il pericolo ìnsito in un sistema, quello democratico, in cui il consenso si esprime attraverso il libero voto e le decisioni vengono prese a maggioranza? Affinché il sistema di votazione a maggioranza non sia distorto, è necessario che tutti i voti siano eguali e che la discussione sia libera: chi dissente deve poter esprimere liberamente la propria opinione e la decisione della votazione deve essere il risultato di dibattito e confronto.
Ecco, allora, le novità che introduce Mill con On Liberty: nei sistemi democratici esiste un nuovo tipo di potere, quello «sociale». La società può indurre a comportamenti contrari alla propria volontà, l’opinione dominante può esercitare una nuova forma di tirannia sugli individui, la decisione a maggioranza può passare per una fase di discussione amputata dei dissensi per timore di andare contro corrente. Il potere sociale, attraverso l’opinione dominante, può esercitare una nuova forma di oppressione ed il «mostro dalle mille teste» è proprio questa opinione generale travolgente. Mill individua una soluzione per limitare questo nuovo potere opprimente: la libera ed aperta discussione, il confronto in pubblico, lo scontro, se necessario. Le diversità e le opinioni dissenzienti devono vedersi, devono mostrarsi, devono confrontarsi con le altre posizioni ed idee. Mill immagina, dunque, una società pluralistica ed in cui il confronto e, se necessario, lo scontro impediscono che l’eventuale opinione dominante formatasi soffochi le opinioni minoritarie. Mill, pertanto, propone un tipo di libertà non privatistico. Egli crede in una società che, essendo sempre aperta al confronto ed alla discussione, permetta a chi riconosce di aver sbagliato di poter correggere i propri errori. L’individuo, bene superiore, deve poter imparare dai propri sbagli e deve avere il tempo di imparare. Affinché possa realizzarsi l’«individualità» (e non l’individualismo, termine che non amava) di ciascuno, affinché ognuno possa realizzarsi, Mill prevede anche un intervento dello Stato a ciò finalizzato.
È qui che Berlin (soprattutto nel suo saggio Due concetti di libertà del 1958, scritto per il centenario dalla pubblicazione di On Liberty) prende le distanze da Mill: è qui che il liberalismo anglosassone si biforca. Berlin appartiene al filone minimalista (Stato minimo, libertà negativa) e critica quello milliano (Stato interventista, libertà positiva). Il grande contributo di Berlin è stato quello di aver sistematizzato la distinzione tra i due famosi concetti di libertà: negativa (vera libertà liberale, hobbesiana, che vede nello Stato un nemico sempre pericoloso) e positiva (in realtà, condizioni per il godimento della libertà liberale, come l’eguaglianza dinanzi la legge, ma non libertà in se).
Il dibattito che intercorre dalla metà dell’Ottocento tra i due tronconi del liberalismo anglosassone è ancor oggi vivo ed intenso, è tornato ad essere di forte attualità. Un dibattito che si basa, in larga parte, sulla distinzione tra le due definizioni di libertà ed al quale, pertanto, ha dato un grande contributo anche il nostro Norberto Bobbio.
pubblicato il 14 febbraio 2005.