La Germania allunga la vita al nucleare, e l’Italia?

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di ELIA BANELLI

Il governo di Angela Merkel ha deciso di prolungare di 12 anni la permanenza delle 17 centrali nucleari tedesche, in controtendenza rispetto alla decisione del precedente cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroder che aveva previsto la chiusura di tutti gli impianti nel 2021.
L’accoro allungherà la vita delle centrali da 32 a 44 anni, sempre meno della media internazionale fissata a 60, con l’obiettivo finale di rendere la Germania “uno dei paesi più efficienti al mondo”.
A tale scopo è prevista l’introduzione di una nuova imposta sulle utilities della durata di sei anni, con un gettito calcolato di circa 2,3 miliardi di euro all’anno, che sarà destinato a sostenere la ricerca e gli investimenti nelle fonti di energia rinnovabile.
Alla tassa sulla produzione nucleare verrà affiancato un fondo comune costituito dalle aziende del settore, che contribuiranno insieme con circa 30 miliardi di euro.
Le aziende coinvolte (Eon, EnBW e Rwe) hanno visto i loro titoli in Borsa salire tra l’1,8% ed il 4,9%, mentre la quarta società, la Vattenfall, non è ancora quotata.
Il progetto di Angela Merkel è di sfruttare il nucleare per consentire alla Germania di avviare la transizione soft verso un sistema di mix energetico, incrementando il peso delle energie pulite e alternative.
Secondo il presidente dell’Ufficio Federale per l’Ambiente, Jochem Flashbart, il paese entro il 2050 potrebbe, se lo volesse, produrre il 100% della sua elettricità con fonti rinnovabili.
L’ultima tappa per il governo cristiano-democratico sarà il Parlamento, con l’agguerrita opposizione composta da Verdi e Socialdemocratici che tenterà di ostacolare il progetto, mentre dal fronte ecologista arriva un secco no e l’accusa all’esecutivo di essere vittima della lobby nucleare.

IL BEL PAESE IN RITARDO

Mentre la Germania compie notevoli passi in avanti sul fronte energetico, l’Italia resta ancorata al palo.
La promessa del governo Berlusconi di rilanciare il nucleare dopo quasi 30 anni di stop, con la legge “Sviluppo” 99 del 2009, si scontra con le numerose procedure amministrative e gli inevitabili intoppi burocratici.
Mancano all’appello le delibere Cipe sulle tipologie tecniche delle centrali ed i criteri per la costituzione dei consorzi tra le imprese che parteciperanno agli appalti.
E’ latitante ancora il nome di chi presiederà l’Agenzia per la definizione della “strategia nucleare”.
Tra i candidati più illustri resta l’oncologo e senatore Pd Umberto Veronesi, o in alternativa un altro autorevole oncologo, Umberto Tirelli, e lo scienziato Maurizio Cumo.
Nella lista dei papabili è entrato pure Alessandro Ortis, presidente uscente dell’Authority per l’Energia, con forti competenze sul campo (è ingegnere nucleare) che piace a destra e sinistra, e che si incastra bene con l’auspicio del sottosegretario allo Sviluppo Stefano Saglia di dare un impronta bipartisan al cammino del nucleare in Italia.

QUANTO CI COSTA?

In attesa che il governo faccia le sue mosse per il futuro energetico del paese, è doveroso sottolineare la difficoltà delle imprese italiane che continuano a pagare troppo per la bolletta elettrica, una delle più care d’Europa, alle spalle di Cipro (al primo posto) e della Slovacchia.
Anche per le famiglie i costi sono molto salati, e l’Italia sta meglio solo di Danimarca e Germania.
Nonostante il mercato elettrico italiano abbia raggiunto buoni livelli di concorrenza, rimane il divario di prezzo rispetto ai paesi dell’Ue, che penalizza soprattutto le imprese consumatrici di energia.
Non lasciano dubbi le parole di Anne Lauvergeon, amministratrice delegata del colosso francese Areva, leader nel settore nucleare con il lancio dei nuovi reattori Epr: “il problema dell’Italia è il costo dell’energia elettrica, com’è possibile essere competitivi con tali tariffe?“.
Sui costi delle bollette ha un peso notevole il tipo di tecnologia utilizzata, e infatti l’Italia brucia molto metano, che è efficiente ma caro.
A moderare i prezzi ci pensano i combustibili a basso costo (carbone e idroelettrico) ma non basta, mentre il ricorso all’utilizzo dell’energia atomica potrebbe contribuire in maniera positiva all’abbassamento delle tariffe, che scontano anche il sovraccosto dovuto ai nodi dell’alta tensione e alcuni incentivi inclusi, come il cosìdetto Cip6.

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