Tempi duri per l’India. Dopo aver raggiunto la Cina, in termini di produzione industriale, il colosso asiatico sembra mostrare debolezze che ne minacciano l’immagine positiva di cui dispone all’estero e la stabilità politica interna. L’ultimo smacco in ordine di tempo arriva dalla Commonwealth Games Federation, l’organizzazione che si occupa dei giochi di atletica all’interno del circuito post-coloniale britannico. Lunedì, il Presidente Michael Fennell è giunto a New Delhi per una visita lampo e ha constatato il preoccupante stato di arretratezza dell’organizzazione dell’evento da parte delle istituzioni indiane. Le infrastrutture, che dovrebbero ospitare gli atleti, sembrano che manchino di pavimentazioni, soffitti e servizi igienici. Il governo indiano si era sobbarcato l’incarico nel 2006 e aveva promesso che i lavori di restauro dello stadio di Delhi, così come l’aggiunta del resto degli edifici, avrebbero rispettato le scadenze.
Al contrario, il Jawaharlal Stadium si presenta ancora come un cantiere, circondato da ruspe e mezzi pesanti. La sfortuna ha voluto anche che, negli scorsi giorni, un incidente abbia causato il ferimento di 23 operai impiegati nei lavori. Fennell, di fronte alle promesse evidentemente disattese, non è riuscito a nascondere il proprio sconforto. Un comportamento inusuale per un britannico che dovrebbe rappresentare l’irreprensibile tradizionalismo del vecchio impero. Con un miliardo di dollari di investimenti, messi a disposizione sia da capitali privati quanto dalle autorità del Commonwealth, New Delhi sembra non essere in grado di aprire le manifestazioni in agenda solo il prossimo 3 ottobre. Tutto questo, sommato ad altre criticità extra sportive ha causato l’iniziale defezione di due atleti scozzesi, ma soprattutto la protesta formale da parte delle delegazioni di Australia, Nuova Zelanda, Irlanda e Scozia. Queste hanno sottolineato lo stato di insicurezza in cui verserebbero i propri atleti una volta giunti a Delhi e hanno minacciato di non partecipare ai giochi.
L’incidente fa supporre che l’India abbia fatto il passo più lungo della gamba. Quattro anni fa, al momento di assumersi la responsabilità della manifestazione, la locomotiva industriale del sub-continente cresceva di 6,5 punti percentuali annui. Nel 2007, venne raggiunto il 7% di aumento del pil. L’anno dopo però, l’India fu investita dalla crisi finanziaria e, in circa 24 mesi, la sua produttività ha cominciato a rallentare. In controtendenza con questa fase di stretta economica, alla fine di agosto il Ministero del Tesoro di Delhi ha fatto sapere che la crescita nazionale sarebbe aumentata dell’8,8%. Il dato è certamente confortante. Tuttavia, non si può dimenticare che un quarto della popolazione totale del Paese (1,1 miliardi) vive sotto la soglia di povertà. Il tasso di disoccupazione inoltre è in progressivo aumento e quest’anno ha raggiunto la soglia del 10%.
Ed è ancora più preoccupante lo stato della sicurezza interna.
I maotisti locali sono tornati a minacciare le autorità. Lo scorso anno New Delhi aveva avviato un’operazione di rastrellamento dei miliziani, attivi nel distretto di Patna (Bihar). Tuttavia i 150 rivoluzionari hanno dimostrato di saper come contrastare le forze regolari. Negli ultimi mesi, in particolare, i maoisti hanno avuto la meglio, uccidendo almeno una ventina di poliziotti. In Kashmir, nel frattempo, sono tornati a soffiare venti di guerra. Dopo anni di torpore, o di disattenzione da parte della comunità internazionale, gli indipendentisti locali – da sempre casus belli delle frizioni con il Pakistan – hanno compromesso il possibile dialogo fra New Delhi e Islamabad. Gli Usa, ma anche la Gran Bretagna si stanno spendendo affinché i due governi firmino definitivamente un trattato di pace, che regoli appunto la frontiera kashmira. Ma questo, al momento, non è possibile. Le manifestazioni di indipendenza, organizzate a Sninagar e in altre città del Kashmir, sono degenerate in scontri armati. Dall’inizio di quest’anno infatti, si calcolano almeno una trentina di morti fra i militari indiani e oltre 150 fra i rivoltosi. Per dovere di elencazione, infine, va ricordato il rischio terrorismo in cui corre quotidianamente il Paese. Un terrorismo di varia provenienza: da quello islamico, legato a frange estremistiche di origine afghano-pakistane, ma anche quello tamil. L’instabilità dello Sri Lanka è ormai sbarcata sulle coste della terraferma.
Tutto questo allora conferma la teoria per cui quando si parla di sub-continente indiano e si pensa a un gigante, sarebbe doveroso osservarne non solo gli aspetti positivi, ma anche le sue immense debolezze. In questo momento, il governo guidato da Manmohan Singh non sembra voler cedere. Le difficoltà contingenti che sta affrontando – per esempio il rischio di sfigurare ai giochi del Commonwealth – si aggiungono ai drammi strutturali del Paese. Tuttavia se il Partito del Congresso desidera mantenere la sua tradizionale leadership deve affrontare questa lunga lista di ostacoli nel più breve tempo possibile. Magari non con Singh, ma con la nuova generazione dell’establishment nazionale, dei quali Rahul Gandhi, ultimo rampollo della storica dinastia di leader indiani, sembra essere la punta di diamante.