Identikit degli Shabaab

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di ANTONIO PICASSO

Degli shabaab, i giovani guerriglieri somali, si sente parlare ormai da quattro anni, da quando cioè hanno fatto crollare la già precaria struttura del Governo di Transizione a Mogadisho. Inizialmente questi jihadisti del Corno d’Africa avevano fatto da braccio armato all’Unione delle Corti Islamiche (Uci) affinché queste ultime potessero assumere il controllo politico della Somalia. Poi però le strade dei due soggetti si sono separate. L’Uci pretendeva di introdurre la sharia nel Paese e radicarvi uno Stato islamico a tutti gli effetti. Gli Shabaab invece hanno proseguito sulla linea dell’insurrezione, con l’obiettivo di mantenere alto il livello di instabilità nella regione. Questi guerriglieri sono stati fiancheggiati da altri tre movimenti jihadisti: “al-Ittihad al-Islami” (Aiai), “al-Itisam” e “Hizbul-Islam”. I quattro gruppi, tutti di orientamento salafita, quindi fondamentalista, sarebbero costituiti da una forza variabile fra i 6 mila e gli 8 mila membri. Gli Shabaab però si sono sempre mossi in autonomia, escludendo, a differenza degli altri, un progetto politico di ricostruzione nazionale. Solo in alcune circostanze, dettate più dall’opportunismo, i mujaheddin hanno creato insieme all’Aiai, al-Itisam e a Hizbul-Islam una forza d’urto omogenea.

Dal 2006 a oggi, la Somalia – da Stato fallito qual era – si è trasformato nell’epicentro delle criticità del mondo islamico e dell’Africa. Fuori dai canali di attenzione della comunità internazionale, concentrata nelle innumerevoli crisi del “Medio Oriente allargato”, le coste del Paese africano sono diventate un comodo rifugio per la pirateria che infesta le acque tra il Mar Rosso meridionale e l’imboccatura dell’Oceano indiano. La vicinanza geografica con lo Yemen ha provocato un’ondata di profughi verso la Penisola arabica che le organizzazioni internazionali non riescono più a calcolare. Mentre, in senso contrario, la Somalia ha fatto da testa di ponte per l’incremento del flusso di guerriglieri qaedisti, reduci dell’“Af-Pak war” e poi inviati in altre aree calde del continente: il Corno d’Africa appunto, il Sudan e infine il Maghreb.
Di tutto questo gli shabaab vengono riconosciuti come gli artefici. Tuttavia andrebbero considerati più come semplici esecutori di un piano strategico definito altrove. Storicamente la Somalia non è mai stata una terra di fondamentalismo islamico. Questo significa che i guerriglieri che oggi ne hanno devastato l’identità sono stati sobillati da soggetti terzi interessati a mantenerne il controllo. Il primo pensiero va ad al-Qaeda, che ha sempre nutrito l’ambizione di coinvolgere l’Africa nel suo jihad globale. Per questo la Somalia è apparsa come un chock point imprescindibile. Da qui la frattura tra Uci e shabaab. Il primo mirava al governo di Mogadisho. I guerriglieri invece, stimolati ed economicamente appoggiati da al-Qaeda, hanno fatto di tutto affinché la Somalia restasse una terra di nessuno, in cui fosse impossibile ricostruire un qualsiasi sistema politico.

Questa operazione però sta provocando una serie di ripercussioni che gli shabaab non avevano messo in conto. L’Unione africana si è mossa per cercare di contenere i danni all’interno dei confini della Somalia. La sua operazione di peacekeeping (African Union Mission in Somalia – Amisom) ha preso il via già nel 2007, previo mandato dell’Onu. Finora non ha portato ad alcun risultato positivo. Tuttavia la presenza sul territorio somalo di circa 5 mila soldati dell’Uganda e del Burundi – prima c’erano anche truppe etiopi – lascia supporre che i Governi africani nutrano una sincera preoccupazione per quanto sta accadendo a Mogadisho.
Dall’inizio di quest’anno inoltre è stato riscontrato un progressivo allontanamento fra gli shabaab e le tribù somale loro alleate. Nel 2006 infatti l’Uci e i guerriglieri islamici erano riusciti a sbarcare in Somalia grazie all’appoggio di un numero rilevante di clan e signori della guerra locali, contrari al Governo provvisorio. Una volta però che il Paese non ha raggiunto una nuova stabilità, la popolazione locale ha cominciato a opporsi a queste forze costituite sempre meno da combattenti somali e sempre più infiltrate da mujaheddin stranieri. Da gennaio a oggi, nella sola capitale si sono registrati scontri che hanno provocato oltre 200 morti. A questi vanno aggiunti i combattimenti fuori dai centri urbani, dei quali non si riesce ad avere informazioni dettagliate a causa della quasi totale assenza di giornalisti stranieri in Somalia. Infine bisogna ricordare i 51 soldati rimasti uccisi in questi quattro anni di attività dell’Amisom. Attualmente gli shabaab, per quanto ancora forti, sembrano essere isolati. Hanno perso l’appoggio dell’Uci e della popolazione somala. Ma quel che più conta è che abbiano trovato nelle tribù locali, scontente della loro presenza, un tenace avversario. Per questo potrebbero spostare i propri obiettivi fuori dal Corno d’Africa. I ripetuti scontri al confine con il Kenya e l’attentato di ieri a Kampala – attribuito agli shabaab – ne sarebbero la prova concreta.

Pubblicato su liberal del 13 luglio 2010

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