di BRUNO POGGI
E’ la notizia del giorno, quella con cui aprono tutti i quotidiani e alla quale il “Corriere” dedica addirittura tredici pagine (il che, francamente, mi pare un esagerazione): l’Italia del calcio è fuori dai Campionati del Mondo e rappresenta una delle più grandi delusioni della nostra storia calcistica. Non entro nel merito dell’analisi tecnica e sugli eventuali demeriti di Lippi (so solo che, in questo momento, non vorrei essere al suo posto), primo perché non sono esperto di calcio e, secondariamente, perché non è questa la sede per fare quel tipo di disamina. Un aspetto che vorrei affrontare riguarda invece un pensiero che mi è venuto in mente
ieri sera al termine della partita. Ed è inerente proprio alla natura della nostra nazionale: ci avete fatto caso quanto è simile al resto del paese? Innanzitutto è una squadra vecchia anagraficamente; quasi tutti i suoi giocatori sono ultratrentenni e il capitano di anni ne aveva addirittura trentasette. La stessa cosa capita in
politica: il nostro presidente del consiglio ha quasi 74 anni e l’età media dei membri del governo è di 55 anni (e se pensate che la Meloni ha 33 anni, la Carfagna 35 e la Gelmini 37 è tutto dire). Tanto per rimanere in linea, qualcuno nel PD vorrebbe ricandidare Prodi che è un giovanotto in quanto di anni ne ha solo 72. Obama, tanto per dire, ha 49 anni, il presidente russo Medvedev 45 e il neo primo ministro inglese Cameron 44; e Bill Clinton alla bella età di 54 anni ha smesso di fare il Presidente degli Stati Uniti! Ma questo della gerontocrazia, del
potere dei vecchi, non riguarda solo la politica ma ogni aspetto della vita economica e sociale del nostro paese. L’Italia è un paese immobile, dove gli unici giovani che riescono ad affermarsi sono quelli che hanno il papà inserito ad alti livelli. Per tutti gli altri non c’è futuro se non per pochi coraggiosi che vanno all’estero. E così facendo succede quello che è successo al nostro calcio: non c’è ricambio e si brucia una generazione.
Al di là delle discussioni se convocare o meno Cassano (che comunque al prossimo mondiale avrà 32 anni) è un fatto che, dietro questi giocatori, non c’è ricambio. E questo anche per un altro motivo, ed anche qui c’è uno straordinario parallelo con lo stato in cui versa l’Italia nel suo insieme: l’apertura indiscriminata ai giocatori
stranieri. Non si tratta qui della proposta (esagerata) della Lega di chiudere le porte ai giocatori stranieri. Il calcio è sempre uno spettacolo e il grande campione, da qualunque parte del mondo provenga, è sempre una ricchezza. Ma qui si tratta di preservare il nostro vivaio e la nostra identità a meno che non si voglia fare
come la Germania che ha addirittura naturalizzato un brasiliano per farlo giocare in nazionale. O come la Francia, che dopo aver sbandierato ai quattro venti la nazionale “multietnica”, si ritrova giocatori come Abidal (di religione musulmana) che si rifiuta di cantare la Marsigliese perché, afferma, “non mi riconosco nelle
parole di quell’inno, non sono i miei valori”. L’apertura indiscriminata agli stranieri è una stupidaggine colossale e i politici che non si rendono conto di questo (cioè quasi tutti) ci espongono a rischi elevatissimi per il futuro. Quindi arrabbiamoci pure con Lippi e i giocatori della nazionale, ne abbiamo anzi tutto il diritto. Ma sarebbe sbagliato pensare che sia una cosa diversa dal resto dell’Italia.
Al contrario, dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia.