La politica che non c’è

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di BRUNO POGGI

Un disastro. Questo è stato il primo pensiero che mi è venuto in mente dopo la notizia del blitz israeliano sulla nave “Mavi Marmara”. Non entro nel merito delle versioni antitetiche fornite dal governo israeliano e dai passeggeri della nave; ritengo comunque che il governo Netanhyau abbia commesso una serie di errori colossali. In primo luogo vi è stata una evidente carenza dal punto di vista dell’intelligence: la Marina israeliana ha dichiarato di essere stata attaccata dopo essere salita sulla nave e di aver risposto al fuoco. Quindi è stata colta di sorpresa; ma se su quella nave c’erano delle armi avrebbero dovuto saperlo e non potevano certo farsi cogliere di sorpresa. Il Mossad (il servizio segreto israeliano) è stato per anni unanimemente riconosciuto come il miglior servizio segreto del mondo. Evidentemente quella famigerata efficienza si è smarrita. Ma anche ammettendo ciò, il secondo errore è stato quello di attaccare la nave: non andava fatto, andava lasciata passare. Ammettiamo pure che trasportasse qualche arma (e certo non si trattava di una bomba atomica), che cosa avrebbe modificato nello scontro tra Hamas e Israele? Quasi nulla.

Lo scopo dichiarato dell’equipaggio della “Mavi Marmara” era quello di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sul blocco israeliano di Gaza. Con questo blitz Netanhyau ha fornito ai nemici di Israele un arma di propaganda potentissima, creando un precedente che porterà (ne sono assolutamente certo) all’arrivo di altre navi piene di pacifisti o presunti tali. Cosa farà il governo israeliano, le affonderà tutte? Ripeto, se la Marina israeliana avesse ignorato quella nave avrebbe depotenziato la sua funzione; facendo quello che ha fatto l’ha esaltata.
Inoltre, il blitz di ieri ha portato alla cancellazione dell’incontro tra il premier israeliano e il presidente americano Obama, che avrebbe dovuto sancire la “riconciliazione” con gli USA dopo lo sgarbo ricevuto dal vicepresidente Biden il quale, mentre era in visita a Gerusalemme, si vide autorizzare da Netanhyau 1.600 nuovi insediamenti in Cisgiordania.

Ora è tutto da rifare: ne valeva la pena? C’è però da chiedersi il perché di questo sfacelo della politica israeliana, che ha portato lo stato ebraico in una situazione di quasi totale isolamento internazionale. Le spiegazioni sono molteplici e bisogna conoscere la realtà della società israeliana per comprenderle appieno. Innanzitutto, Israele è un piccolo paese (il suo territorio è grande quanto l’Emilia-Romagna) che dalla sua fondazione vive in uno stato d’assedio, quando non di guerra. Il paese è stanco, le giovani generazioni, che studiano, viaggiano e vedono realtà affatto diverse, vorrebbero vivere in un paese normale. Invece gli tocca fare 3 anni di servizio militare (gli uomini, mentre le donne fanno 1 anno) e vivere il resto della loro vita in uno stato di perenne allerta. Vi racconto un fatto che mi è capitato: alcuni anni fa avevo ospiti a casa mia due ragazzi israeliani; mentre stavamo cenando andò via luce. Non ebbi nemmeno il tempo di imprecare sulla inefficienza dell’ACEA che i miei ospiti cominciarono a correre giù per le scale per arrivare in strada. E sapete perché? Perché mentre io attribuivo la mancanza di luce a un disservizio, loro lo attribuivano a un attentato.
Capito in quale clima vive un israeliano?

Naturalmente vi è anche un motivo di debolezza politica; il governo Netanhyau, in virtù di una legge proporzionale folle, vive grazie ai voti del partito ultranazionalista “Israel Beitenu” guidato da Avigdor Lieberman e dei partiti religiosi ortodossi (Shas e Unione per la Torah) i cui elettori, in quanto ebrei ortodossi, sono esentati dal svolgere il servizio militare. L’unica soluzione possibile, a mio parere, a questa impasse è la formazione di un governo di unità nazionale che comprenda, oltre al partito Likud di Netanhyau, anche Kadima di Tzipi Livni e i Laburisti di Ehud Barak. Questo governo dovrebbe varare una legge elettorale maggioritaria in modo da ridurre al minimo l’impatto dei partiti estremisti e dare ad Israele un governo stabile e coeso dal punto di vista ideologico. In fondo, seppur con modalità differenti, Israele ha lo stesso problema dell’Italia: la mancanza di una vera politica e un basso livello della sua classe dirigente.

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