Miseria e nobiltà

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di BRUNO POGGI

In Emilia quando si vuole indicare una persona che spende generosamente e che ostenta la sua ricchezza si dice che è uno “Splendido”. Il più famoso degli “Splendidi” è il nostro ministro dell’Economia Giulio Tremonti il quale, non più di un mese fa, disse che “l’Italia, prima fra tutti i paesi UE, è pronta ad aiutare la Grecia con un prestito di 5,5 miliardi di euro”. Ve lo ricordate? Perché lui, e gran parte della classe politica, sembra esserselo dimenticato. Anzi, ora ci dicono che “se non vogliamo fare la fine della Grecia dobbiamo fare sacrifici pesanti per 24 miliardi di euro”. D’altronde questo è il destino degli “Splendidi”: trovarsi dei debiti per aver speso a piene mani denaro che non possedevano.

Detto ciò, vediamo di capire cosa sta succedendo: l’Italia, come tutti i paesi UE nonostante che per anni ci abbiano strombazzato la “stabilità figlia dei parametri di Maastricht”, deve ridurre il proprio debito pubblico se non vuole essere oggetto di attacchi speculativi da parte dei mercati. E qui c’è poco da dire; ha ragione il Presidente Napolitano che dice che i sacrifici sono necessari e a chiedere responsabilità a tutte le forze politiche. Ed è anche vero che quando devi rastrellare 24 miliardi di euro in poco tempo non si può andare troppo per il sottile: si prendono dove sono immediatamente disponibili. Però, a parte alcune misure impraticabili come il taglio degli stipendi pubblici (è palesemente anticostituzionale) quello che mi lascia perplesso è la solita mancanza di lungimiranza della nostra classe politica. Voglio dire che se si spende troppo bisogna cercare, oltre ai soldi per pagare i debiti nell’immediato, anche il modo per eliminare le cause dello squilibrio economico. Mi può anche andare bene fare dei sacrifici ora in cambio di un modo diverso di organizzare, e quindi spendere, il denaro pubblico.

Se, ad esempio, oltre alle misure ipotizzate ci fosse anche l’abolizione delle Province, che sono gli enti più inutili che esistono, avremmo un risparmio di svariati miliardi di euro e, soprattutto, sarebbe una riduzione permanente della spesa. La stessa cosa succederebbe se si riducesse, nell’arco di 5 anni, il numero dei dipendenti pubblici soprattutto dove sono in esubero (un esempio famoso sono le 24.000 guardie forestali della Regione Calabria). Se invece ci fosse una vera riforma fiscale, che trasferisse il grosso delle entrate fiscali dalla tassazione sui redditi a quella sui consumi, aumenterebbero in modo strutturale le entrate. Ma di tutto questo non vi è traccia all’orizzonte. Ma se non si fa così, se si agisce solo sugli effetti tagliando un po’ qui e un po’ là e non si agisce sulle cause, tra uno anno, due, tre anni saremo di nuovo da capo. Tra l’altro a fare dei tagli sono buoni tutti; più difficile è riorganizzare la macchina dello Stato secondo criteri di modernità ed efficienza. Perché in quest’ultimo caso è necessario saper fare una cosa che la stragrande maggioranza del nostro ceto politico non sa più fare: una politica nobile e di alto profilo.

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