Servono riforme, non elemosina di Stato

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L’onda dell’effetto annuncio non basta: c’è bisogno di misure strutturali

di ANTONIO RAPISARDA

In fondo questo è il trucco un po’ di tutti i moralismi. Annunciare un provvedimento minimale sull’onda mediatica come se fosse la soluzione di un problema enorme. Per carità, un po’ di sobrietà in più e un po’ più di stile da parte della classe politica non guasterebbero. Così come è evidente che enti inutili, deleghe fantasma e consulenze pagate oro siano parte di quel malcostume che è consustanziale a un sistema che non ha conosciuto riforma né stagione di discontinuità. Ma credere che tagliare gli stipendi dei parlamentari del 5%, come ha proposto il ministro leghista Calderoli, o anche di più, sia di per sé una soluzione alla grave crisi economica e anche ai pasticci della classe dirigente che stanno emergendo dalle inchieste sulla corruzione in corso, è francamente troppo.

Come si può facilmente dimostrare, il problema non è l’elemosina di Stato. Ma gli investimenti, le risorse e le riforme (anche quelle a costo zero) che sono più che mai necessarie. L’una tantum, come la storia ha dimostrato, non cambia una virgola. Come ha spiegato Silvano Moffa, presidente della Commissione Lavoro della Camera, «i veri tagli alla macchina statale si fanno con le riforme, il resto è populismo». Ed è vero. I nodi, alla fine, sono sempre gli stessi: la spesa sanitaria (raccontate dettagliatamente nel libro appena uscito di Luca Ricolfi), le province (il cui taglio era stato promesso e sul quale adesso si continua a tentennare perché tante di queste sono governate dalla Lega) e gli altri enti inutili così come gli sprechi che appartengono un po’ a tutte le amministrazioni. E poi la riduzione del numero dei parlamentari, la riduzione delle circoscrizioni nelle città (con “stipendi” per i consiglieri che si aggirano sulle 1.200 euro) e la lotta all’evasione che è una vera piaga nell’economia nazionale.

Anche perché, dall’altro lato, dietro l’angolo c’è la paura che monta per la manovra finanziaria. Per cui quando si parla di tagli non si può nemmeno più contemplarli in maniera orizzontale perché – come ha spiegato, rassicurando i contribuenti, il ministro della Funzione pubblica Brunetta – «puniscono allo stesso modo cicale e formiche», ma debbono essere selettivi, colpire cioè in maniera mirata proprio laddove si annidano le sacche di parassitismo e gli sprechi reali. Alla fine di tutto questo la preoccupazione della politica deve essere che non paghino ancora i ceti più deboli delle responsabilità che appartengono alla lentezza di chi doveva prevedere lo stallo. Insomma, ben vengano misure e tagli degli stipendi per le sacche privilegiate. Ma ciò non faccia dimenticare che servono misure per rilanciare la crescita economica e il benessere delle famiglie. Perché, se ciò non dovesse avvenire e dall’altro lato monterà la rabbia contro la politica come in una nuova Tangentopoli, non basterà più l’onda dell’effetto annuncio.

pubblicato su FareFuturo webmagazine

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