Conquiste e regressi femminili: dal Medioriente all’ Europa

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Giornata Internazionale della Donna, sfide, conquiste e arretramenti

Maddalena Celano (Assadakah News) – L’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, è un’occasione per fare il punto sui progressi e le sfide che le donne continuano ad affrontare nel mondo. Se guardiamo ai diritti delle donne sia in Occidente che nel mondo mediorientale e arabo-islamico,  emergono luci e ombre: da un lato, la lotta femminile ha fatto enormi progressi, dall’altro, alcuni sviluppi recenti sembrano segnalare un segno di regresso.

 

Infine, non possiamo ignorare le donne arabe, le studiose e attiviste femministe, che rappresentano una corrente di pensiero fondamentale nel contesto del femminismo globale.

 

Penso in particolare a Amina Wadud, teologa islamica che ha cercato di reinterpretare il Corano e la tradizione islamica in una chiave femminista, rivendicando il diritto delle donne di partecipare pienamente alla vita religiosa, sociale e politica.

Amina Wadud, teologa islamica
Amina Wadud, teologa islamica
 

E donne come Fatema Mernissi che ha demolito le interpretazioni patriarcali dell’Islam, proponendo un’altra lettura del testo sacro che incoraggia l’emancipazione femminile. Le femministe islamiche non si limitano a lottare contro il patriarcato che esiste in alcune interpretazioni dell’Islam, ma cercano di recuperare la tradizione religiosa in un’ottica che consenta alle donne di essere soggetti attivi della propria fede e della propria vita.

 

Mentre l’Occidente assiste a una pericolosa regressione nei diritti delle donne, esistono movimenti femministi all’interno dell’Islam che stanno combattendo per un futuro più equo senza rinunciare alla propria identità religiosa.  Questo dimostra che la lotta per i diritti delle donne non deve necessariamente passare attraverso un processo di occidentalizzazione, ma può trovare radici e forza all’interno delle culture e delle religioni stesse.

Copertina del libro autobiografico della sociologa Fatema Mernissi, La Terrazza Proibita, Vita nell' Harem, pubblicato dalla Giunti nel 2007
Copertina del libro autobiografico della sociologa Fatema Mernissi, La Terrazza Proibita, Vita nell’ Harem, pubblicato dalla Giunti nel 2007

Progressi e regressi in Occidente

 

In Occidente, la condizione delle donne ha conosciuto enormi passi avanti rispetto ai secoli passati. L’accesso all’istruzione, il diritto al voto, la partecipazione al mondo del lavoro e una maggiore visibilità nelle istituzioni politiche sono conquiste straordinarie. Tuttavia, non possiamo ignorare i segnali di regressione che si sono fatti sentire negli ultimi anni.

 

Da un lato, le politiche per la parità di genere e la lotta alla violenza sulle donne sembrano essere state messe in secondo piano in molte nazioni, mentre fenomeni come il ritorno di discorsi conservatori sulla famiglia tradizionale sono segnali preoccupanti. Inoltre, il femminismo sembra aver affrontato una certa polarizzazione, con correnti di pensiero che entrano in conflitto riguardo a temi come i diritti delle persone transgender, creando divisioni all’interno del movimento stesso.

 

Femminismo sotto attacco: l’Occidente sta regredendo nei diritti delle donne?

 

Negli ultimi decenni, il femminismo occidentale ha conquistato diritti fondamentali per le donne, ma oggi sembra che si stia assistendo a un’inquietante inversione di rotta. L’aumento dei femminicidi, la crescita di movimenti negazionisti della violenza di genere e la diffusione di una misoginia sempre più esplicita segnalano una pericolosa regressione.

 

Femminicidi: una carneficina in aumento

 

I numeri parlano chiaro: la violenza contro le donne non è un fenomeno in diminuzione, anzi. Secondo l’Istat, nel 2022 in Italia sono state uccise 126 donne, di cui 106 in ambito familiare o affettivo. In Europa occidentale, il tasso medio di femminicidio è di 0,4 vittime ogni 100.000 donne. Nel mondo, ogni 11 minuti una donna viene uccisa da un familiare o un partner. Questi dati non sono solo cifre: sono vite spezzate, sogni distrutti, madri, sorelle e figlie cancellate dalla brutalità patriarcale. Eppure, il dibattito pubblico fatica a riconoscere l’emergenza.

 

Mentre i femminicidi aumentano, si moltiplicano i movimenti che negano la violenza di genere. Esponenti di gruppi neomaschilisti sostengono che le politiche a tutela delle donne siano discriminatorie verso gli uomini, diffondendo dati distorti e narrazioni fuorvianti. In questa strategia si inserisce il crescente attacco alle leggi sulla parità di genere e il tentativo di smantellare le misure di protezione per le vittime di violenza domestica. Questo negazionismo non solo offende le vittime, ma alimenta una cultura in cui la violenza è giustificata e normalizzata.

Incel e MRA: la nuova frontiera dell’odio misogino

 

Tra le realtà più inquietanti del panorama odierno troviamo i gruppi incel (celibi involontari) e i Men’s Rights Activists (MRA). Gli incel attribuiscono alle donne la colpa del loro mancato successo sentimentale e sessuale, alimentando un risentimento che in alcuni casi sfocia nella violenza. I MRA, nati con la pretesa di difendere i diritti degli uomini, celano spesso un’agenda misogina, opponendosi ai progressi femministi e diffondendo stereotipi tossici. Il rischio? Un’escalation di violenza motivata dall’odio di genere, come dimostrano le stragi perpetrate da individui radicalizzati in queste comunità online.

 

L’odio online: una macchina per la misoginia

 

I social media e i forum della cosiddetta “manosfera” sono diventati focolai di odio contro le donne. Le attiviste femministe, le politiche e le giornaliste vengono costantemente bersagliate da minacce di morte e stupri, con lo scopo di ridurle al silenzio. L’effetto è devastante: molte donne abbandonano la vita pubblica per paura, lasciando spazio a una narrazione dominata da chi vuole limitare la loro libertà.

 

La mercificazione del corpo femminile: un nuovo patriarcato travestito da libertà

 

Un’altra forma di regressione è rappresentata dalla crescente normalizzazione dello sfruttamento del corpo femminile. Siti come OnlyFans e le piattaforme pornografiche si presentano come strumenti di autodeterminazione, ma nella realtà rafforzano un sistema in cui le donne sono ridotte a meri oggetti sessuali. La “papponaggine” di questi ambienti, che lucrano sulla sessualizzazione estrema delle donne, viene spesso giustificata da un finto femminismo che confonde la libertà con la sottomissione al mercato del desiderio maschile.

 

Una guerra contro le donne?

 

Questa ondata di misoginia non è un fenomeno casuale, ma il sintomo di un sistema che, di fronte all’emancipazione femminile, reagisce con violenza. La questione non è più solo una lotta per nuovi diritti, ma la difesa di quelli già conquistati. La domanda da porsi è inquietante: l’Occidente sta regredendo nei diritti delle donne? Se non si agisce subito, la risposta potrebbe essere tragicamente affermativa.

 

Progressi nel mondo arabo-islamico  e in quello persiano

 

Nel mondo arabo e nel mondo persiano, nonostante i gravi ostacoli storici e culturali, sono emersi segnali di progresso, seppur insufficienti. In paesi come il Marocco, la Tunisia, e la Giordania, le donne hanno visto miglioramenti nei diritti civili e politici. La Tunisia, in particolare, ha fatto passi significativi verso la parità di genere, con riforme legali a favore dei diritti delle donne, tra cui una legge contro la violenza di genere. Inoltre, nei paesi del Golfo, ci sono stati alcuni segnali di apertura nei confronti delle donne, come il permesso per le donne saudite di guidare e la partecipazione femminile nelle elezioni politiche. Tuttavia, in molti di questi paesi, la libertà delle donne rimane strettamente limitata, e le donne continuano a subire discriminazioni strutturali, sociali e legali.

 

Teorie femministe e voci che hanno segnato il dibattito

 

Molti dei progressi e delle riflessioni più profonde sulla condizione femminile sono emersi grazie alle voci di autrici e teoriche femministe. In Occidente, pensatrici come Simone de Beauvoir, con la sua opera Il secondo sesso, ha posto le basi per una riflessione filosofica sulla condizione della donna, criticando la costruzione sociale del femminile e affermando che “non si nasce donne, lo si diventa”.

 

Betty Friedan, autrice di The Feminine Mystique, ha contribuito a scoprire e denunciare la frustrazione delle donne americane nella metà del 1900, spingendo per il riconoscimento della loro libertà di scelta.

 

Un altro nome fondamentale è quello di Judith Butler, con il suo lavoro sulla teoria del genere, che ha messo in discussione le nozioni tradizionali di sesso e identità, ispirando nuove riflessioni sul femminismo contemporaneo.

 

Tuttavia, è fondamentale includere anche le voci delle femministe arabe e islamiche, che hanno spesso cercato di riformare le loro società dal di dentro, contrastando l’idea che l’Islam sia incompatibile con i diritti delle donne. Fatema Mernissi, una delle più importanti intellettuali marocchine, ha messo in discussione le interpretazioni patriarcali del Corano e ha proposto una lettura femminista dei testi sacri. La sua opera L’Harem e l’ Occidente ha esplorato il modo in cui il patriarcato si intreccia con la politica e la religione nel mondo musulmano.

 

In Iran, Shirin Ebadi, avvocata e attivista per i diritti umani, è stata la prima donna iraniana a ricevere il Premio Nobel per la Pace. La sua lotta per i diritti delle donne iraniane e la sua visione di un Islam che promuove i diritti civili sono esempi emblematici di come il femminismo islamico possa cercare di conciliare la fede con l’emancipazione.

 

In occasione dell’8 marzo, possiamo riconoscere i progressi che sono stati fatti in molti paesi, ma non dobbiamo dimenticare che il cammino verso l’uguaglianza è ancora lungo e tortuoso. In Occidente, i diritti delle donne sono messi sotto pressione da forze politiche conservatrici, mentre nel mondo arabo e persiano, nonostante alcuni miglioramenti, le donne continuano a lottare per una maggiore libertà e pari dignità. La lotta delle donne per i propri diritti non è una questione di un singolo giorno, ma un processo che continua a evolversi, con le voci femministe che rimangono fondamentali per alimentare il cambiamento.

 

Il dibattito femminista in Occidente, e in particolare in Italia, è un terreno che purtroppo sembra spesso polarizzarsi e arenarsi su posizioni ideologiche estreme, che talvolta rischiano di oscurare le voci più profonde e articolate del movimento. Sebbene il femminismo abbia avuto un’influenza enorme in Occidente, con molte pensatrici che hanno contribuito a plasmare il dibattito, oggi assistiamo a una situazione in cui alcune delle sue direzioni sembrano non riuscire a rispondere alle reali sfide sociali e politiche, finendo per intrappolarsi in logiche interne che poco hanno a che fare con le necessità concrete delle donne.

 

La frammentazione e la “gara a chi è più oppresso”

 

In molti ambienti femministi occidentali, il concetto di intersezionalità—un concetto che, come introdotto da Kimberlé Crenshaw, intende riconoscere le diverse forme di oppressione che le persone subiscono a causa di fattori come il razzismo, la classe sociale, l’orientamento sessuale, la disabilità, ecc.—è stato frainteso e, in alcuni casi, distorto. Il femminismo queer ha, infatti, monopolizzato l’idea di intersezionalità, trasformandola in una sorta di “gara a chi è più oppresso“. Questo approccio rischia di frammentare il movimento, portando a divisioni interne che indeboliscono la lotta comune per i diritti delle donne.

 

L’intersezionalità, invece, dovrebbe fungere da strumento per unire, per rafforzare la solidarietà tra donne provenienti da realtà diverse, non per crearne delle “categorie” contrapposte. Purtroppo, in alcuni ambienti, l’intersezionalità è diventata un modo per delineare gerarchie di oppressione, dove si tende a competere su chi ha il maggiore grado di vittimizzazione, piuttosto che concentrarsi sulla costruzione di alleanze e soluzioni concrete.

 

Femministe radicali e la loro alleanza con i conservatori

 

D’altra parte, in Italia, molte femministe radicali, pur avendo sollevato questioni fondamentali sul corpo delle donne, la parità dei diritti e la lotta contro la violenza di genere, hanno mostrato una tendenza preoccupante a allearsi con forze politiche conservatrici. Queste alleanze, benché strategiche su alcune tematiche, sono problematiche per il futuro del femminismo, in quanto non affrontano con sufficiente profondità le questioni geopolitiche e socio-politiche che realmente incidono sulle vite delle donne. Le femministe radicali italiane, purtroppo, in molti casi si trovano a sottovalutare le implicazioni di politica estera e di economia globale, che invece giocano un ruolo fondamentale nel determinare la condizione delle donne nel mondo, anche in Occidente. Questa visione ristretta e localistica non permette al movimento di evolversi e di farsi sentire davvero in un contesto globale, dove il femminismo ha bisogno di soluzioni ampie e di una visione che includa la solidarietà tra donne di ogni parte del mondo.

 

Femminismi latino-americani e islamici come modelli di lotta

 

D’altro canto, forme di femminismo che vengono da contesti storici e politici radicalmente diversi offrono modelli di lotta più inclusivi e capaci di affrontare le sfide globali. Il femminismo latino-americano, in particolare, ha sviluppato una visione politica e sociale che spesso unisce le questioni di classe, di razza e di genere in modo più completo. Le lotte per i diritti delle donne in Nicaragua, Cuba e Venezuela sono esempi di resistenza e costruzione di un femminismo che non si ferma alle rivendicazioni individuali, ma che si intreccia con la lotta per l’emancipazione sociale e politica di tutta la collettività.

 

In Nicaragua, le donne hanno giocato un ruolo centrale durante la Rivoluzione Sandinista, e continuano a lottare contro le disuguaglianze sociali ed economiche. Il movimento delle Mujeres Sandinistas (Donne Sandiniste) ha svolto un ruolo determinante nell’affermare i diritti delle donne, ma le sfide restano, specialmente in un contesto di crescente polarizzazione politica.

 

A Cuba, il femminismo ha avuto un carattere fortemente integrato nella lotta rivoluzionaria, con figure come Vilma Espín, che ha guidato il movimento femminile cubano nella promozione dei diritti delle donne e nella lotta contro l’emarginazione. Nonostante le difficoltà e le critiche legate al governo cubano, le donne cubane hanno guadagnato un’uguaglianza sostanziale in molti ambiti, come l’educazione e la partecipazione alla politica, anche se restano ancora sfide legate alle problematiche economiche e strutturali.

 

In Venezuela, le Mujeres del Barrio (donne dei quartieri) sono diventate un simbolo di resistenza, non solo nella lotta per i diritti delle donne, ma anche contro il capitalismo neoliberista e l’imperialismo. Il movimento femminista in Venezuela è fortemente legato alla lotta contro le ingiustizie sociali ed economiche che affliggono il paese, facendo dell’emancipazione delle donne una parte fondamentale della lotta di classe.

 

Il femminismo islamico e le sue teoriche e pensatrici

 

Fatema Mernissi (Marocco, 1940-2015)

 

Sociologa e scrittrice marocchina, ha criticato l’uso selettivo delle fonti islamiche per giustificare la subordinazione femminile. Nei suoi libri, come L’Harem e l’Occidente, ha dimostrato come l’Islam possa essere interpretato in modo paritario, senza bisogno di modelli occidentali.

Fatema Mernissi nella sua dimora, mentre cucina.
Fatema Mernissi nella sua dimora, mentre cucina.
 

Asma Lamrabet (Marocco, 1961 – presente)

Medica e intellettuale marocchina, propone un’interpretazione femminista del Corano, basata sul concetto di giustizia di genere intrinseco all’Islam. Ha scritto Le Coran et les femmes e sostiene che il patriarcato è una costruzione culturale, non religiosa.

 

Amina Wadud (USA/Malesia, 1952 – presente)

Teologa afroamericana convertita all’Islam, ha sfidato i tabù guidando una preghiera mista nel 2005. Il suo lavoro Qur’an and Woman offre una rilettura del testo sacro attraverso un’ottica di genere, senza rinunciare alla spiritualità islamica.

 

Teologa afroamericana, convertita all’Islam,  ha rivoluzionato il dibattito sul ruolo delle donne nella religione musulmana. La sua ricerca si concentra su un’interpretazione egualitaria del Corano, sostenendo che le discriminazioni di genere non derivano dal testo sacro, ma da letture patriarcali sviluppatesi nel tempo.

 

Principali contributi

 

-“Qur’an and Woman” (1992). Nel suo libro Qur’an and Woman: Rereading the Sacred Text from a Woman’s Perspective, Wadud applica un’ermeneutica di genere al Corano, dimostrando che molte interpretazioni discriminatorie derivano da influenze culturali e non dal messaggio originario del testo sacro.

 

–  La preghiera mista del 2005. Uno degli eventi più simbolici della sua lotta è stata la sua decisione di guidare una preghiera mista (uomini e donne) nel 2005, infrangendo un tabù millenario. Questo gesto ha suscitato forti reazioni, tra cui minacce di morte, ma ha anche acceso un dibattito globale sulla leadership femminile nell’Islam.

 

– Islam progressista e inclusivo. Wadud si batte per un Islam che riconosca l’uguaglianza di genere come principio fondamentale e critica il concetto di supremazia maschile basata su interpretazioni patriarcali del Corano.

 

Critiche e impatto

 

Mentre molti musulmani progressisti sostengono il suo lavoro, ambienti conservatori la accusano di distorcere l’Islam per renderlo più accettabile all’Occidente. Tuttavia, il suo approccio si basa interamente su fonti islamiche, evitando qualsiasi occidentalizzazione forzata.

Copertina del saggio di Fatema Mernissi, L' Harem e L' Occidente, Prefazione di Roberta Mazzanti, Giunti, 2024.
Copertina del saggio di Fatema Mernissi, L’ Harem e L’ Occidente, Prefazione di Roberta Mazzanti, Giunti, 2024.

Ziba Mir-Hosseini (Iran, 1952 – vivente)

 

Antropologa e giurista iraniana, critica le leggi sullo statuto personale che discriminano le donne nei paesi islamici. Ha co-fondato il movimento Musawah, che promuove giustizia di genere nell’Islam attraverso riforme giuridiche. Ha sfidato le legislazioni patriarcali basate sulla Sharia, dimostrando come possano essere riformate senza tradire l’Islam.

 

Principali contributi

 

– Musawah: giustizia di genere nell’Islam

 

È co-fondatrice del movimento Musawah (Uguaglianza in arabo), che promuove la giustizia di genere all’interno dell’Islam, lavorando per riformare le leggi discriminatorie sulla famiglia nei paesi islamici.

 

–  Studio del diritto islamico e delle sue distorsioni patriarcali

 

Nel suo libro Marriage on Trial: A Study of Islamic Family Law in Iran and Morocco (1993), analizza come le leggi sul matrimonio e sul divorzio siano spesso costruite per favorire gli uomini, nonostante il Corano proponga un modello più equo.

 

–  Critica dello statuto personale

 

Mir-Hosseini denuncia il fatto che, in molti paesi islamici, le donne siano trattate come cittadine di seconda classe nelle questioni di matrimonio, divorzio, custodia dei figli ed eredità. Secondo lei, queste leggi non sono divine, ma frutto di interpretazioni maschiliste del diritto islamico.

 

Critiche e impatto

 

Nonostante il suo lavoro sia ben accolto nei circoli progressisti, i conservatori la accusano di voler “secolarizzare” l’Islam. Lei, invece, ribadisce che il suo approccio è autenticamente islamico e volto a un’evoluzione giuridica coerente con i principi di giustizia e uguaglianza del Corano.

 

 
Foto di Ziba Mir-Hosseini
Foto di Ziba Mir-Hosseini

Sherin Khankan (Danimarca/Siria, 1974 – vivente)

Imam danese di origini siriane, ha fondato una moschea femminile a Copenaghen. Promuove un Islam progressista che dia maggiore spazio alle donne nella leadership religiosa.

 

Heba Raouf Ezzat (Egitto, 1965 – vivente)

 

Accademica egiziana, ha elaborato un modello di femminismo islamico che si oppone sia al patriarcato locale che all’imposizione di valori occidentali. Sostiene che la modernizzazione non debba significare occidentalizzazione.

 

 Zainah Anwar (Malesia, 1954 – presente)

Fondatrice di Sisters in Islam, combatte per i diritti delle donne musulmane in Malesia, riformando la Sharia senza negarne la validità. Il suo approccio è decoloniale e radicato nei testi sacri.

 

Malika Hamidi (Francia/Belgio, 1974 – presente)

Sociologa franco-algerina, promuove un femminismo islamico che rifiuta il dualismo tra tradizione e modernità. Sostiene che le donne musulmane possano essere protagoniste della propria emancipazione senza imitare il modello liberale occidentale.

Queste attiviste e studiose dimostrano che il femminismo islamico è un movimento variegato e potente, che cerca di conciliare fede, diritti e giustizia sociale senza svendersi all’imposizione culturale occidentale.

 

Saggio di Amina Wadud, curato da Jolanda Guardi e tradotto da Patrizia Messinese, Affatà Editrice, 2011
Saggio di Amina Wadud, curato da Jolanda Guardi e tradotto da Patrizia Messinese, Affatà Editrice, 2011
 

L’ auto-riflessione ideologica

 

Il femminismo occidentale, nonostante le sue conquiste, sembra intrappolato in un ciclo di auto-riflessione ideologica che non risponde appieno alle sfide globali. Il femminismo latino-americano e quello islamico, pur nelle loro diversità, offrono modelli di lotta che sono più radicati nelle reali necessità sociali e politiche delle donne. Le femministe che provengono da contesti più oppressivi e difficili hanno molto da insegnarci su come costruire un movimento globale veramente inclusivo e capace di affrontare le sfide del XXI secolo.

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