Femminismo a Geometria Variabile?

0
118

 

Maddalena Celano (Assadakah News) – Una Risposta Critica all’Evento “Femminismo Universale”

Questo 4 e 5 marzo 2025 si tengono, a Roma e Milano, due eventi intitolati “Femminismo Universale”, in cui interverranno donne israeliane, ucraine e iraniane per raccontare le violenze subite da estremisti religiosi, jihadisti, terroristi e regimi totalitari. Sebbene qualsiasi iniziativa che dia voce alle sopravvissute alla violenza sia meritoria, questo evento solleva diverse criticità dal punto di vista della prassi e della storia del femminismo.

 
Il Manifesto dell' iniziativa "Femminismo Universale".
Il Manifesto dell’ iniziativa “Femminismo Universale”.
 

Una Narrazione Unilaterale

 

Il primo punto critico riguarda l’assenza di pluralismo nell’evento. Vengono invitate esclusivamente donne provenienti da contesti specifici, lasciando fuori possibili voci di dissenso o di interpretazione alternativa delle dinamiche di conflitto. Inoltre, si nota una tendenza a selezionare solo narrazioni che confermano una determinata visione geopolitica, senza dare spazio a donne che potrebbero offrire prospettive differenti.

 

L’Esclusione delle Donne Palestinesi e delle Attiviste per la Pace

 

Un vero “femminismo universale” dovrebbe includere la voce di tutte le donne coinvolte nei conflitti, comprese quelle palestinesi, che da anni denunciano la violenza dell’occupazione e l’apartheid imposto da Israele. Voci come quella

dell ‘Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi,  un’organizzazione progressista che lavora per l’empowerment delle donne palestinesi attraverso l’istruzione, l’advocacy e il sostegno alla partecipazione politica. È impegnata anche nella resistenza contro l’occupazione israeliana. O voci come quella della Palestinian Working Woman Society for Development (PWWSD) che promuove i diritti delle donne attraverso programmi di sensibilizzazione, supporto psicologico e giuridico, e lotta contro la violenza di genere, mantenendo una forte posizione anti-coloniale. O come la voce del Women’s Centre for Legal Aid and Counselling (WCLAC) che fornisce supporto legale e psicologico alle donne vittime di violenza domestica, discriminazione e violazioni dei diritti umani da parte dell’occupazione israeliana. Senza dimenticare la The General Union of Palestinian Women (GUPW), un’organizzazione storica fondata nel 1965, legata all’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), che lavora per la partecipazione politica e sociale delle donne nella lotta per la liberazione nazionale. A tal proposito, chi non conosce Medea Benjamin, la celebre femminista e attivista per la pace, co-fondatrice dell’ Associazione CODEPINK? Le sue azioni clamorose – dall’irruzione nella conferenza stampa di Barack Obama per denunciare l’uso dei droni assassini, al gesto simbolico delle manette sventolate davanti a Henry Kissinger, accusato di aver favorito l’ascesa del dittatore cileno Pinochet – hanno fatto il giro del mondo. La Co-fondatrice di CodePink, uno dei più importanti movimenti antimilitaristi ed ecologisti degli Stati Uniti, è stata lo scorso 3 settembre 2024 a Roma, presso la Casa Internazionale delle Donne. Durante l’evento, ha parlato della situazione a Gaza, delle guerre senza fine che coinvolgono il suo Paese e delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Queste organizzazioni combinano l’impegno per i diritti delle donne con la lotta contro l’occupazione, dimostrando come il femminismo palestinese sia intrinsecamente legato alla resistenza e alla sovranità nazionale. Movimenti come il femminismo palestinese, le Donne in Nero e l’associazione CODEPINK hanno sempre lavorato per un dialogo femminista transnazionale, opponendosi tanto all’oppressione patriarcale quanto alle guerre imperialiste.

 
L' Associazione CodePink a Gaza
L’ Associazione CodePink a Gaza
 

La Critica Unilaterale all’Iran e la Voce delle Donne Iraniane Islamiche e Patriottiche

 

Un’altra problematica di questo evento è la rappresentazione dell’Iran unicamente come un regime totalitario oppressivo, senza tenere conto della complessità della società iraniana e delle donne che vi abitano. Sebbene il movimento “Donna, Vita, Libertà” abbia portato avanti una lotta importante, non si può ignorare che esistano molte donne iraniane che sostengono il loro Paese, criticano le interferenze straniere e rivendicano un’identità femminile che non si conforma necessariamente ai modelli occidentali di emancipazione. Un femminismo realmente inclusivo dovrebbe dare spazio anche a queste voci, senza ridurre l’Iran a una narrazione semplicistica che lo dipinge solo come un oppressore.

 

Il Fraintendimento Occidentale del Femminismo Iraniano

Nel discorso mainstream, l’Iran viene spesso rappresentato come un regime patriarcale monolitico, dove tutte le donne sono oppresse e desiderano unicamente l’emancipazione secondo i modelli occidentali. Questa visione, però, è limitata e ignora la pluralità delle voci delle donne iraniane. Molte di loro non si riconoscono nella narrazione occidentale e rivendicano un’identità femminile islamica, patriottica e anti-imperialista.

L’Occidente tende a sostenere solo le donne che si oppongono al governo iraniano, ma ignora attiviste, accademiche e politiche che criticano l’ingerenza straniera e difendono un femminismo che tenga conto della cultura e delle tradizioni iraniane.

 

Zahra Eshraghi

Nipote dell’ayatollah Khomeini, sposa di Mohammad Reza Khatami, ex capo del Fronte di partecipazione islamico dell’ Iran, è laureata in filosofia, ed è un’ attivista e un ex funzionario governativo. Zahra Eshraghi è un’intellettuale che ha criticato duramente (e senza peli sulla lingua) alcuni aspetti delle politiche di genere in Iran e varie discriminazioini contro le donne. Tuttavia non ha mai sostenuto un’ingerenza occidentale o un regime-change. È una delle voci più autorevoli, che ha cercato di promuovere riforme interne, senza mai adottare una prospettiva occidentalizzata.

 
Zahra Eshraghi
Zahra Eshraghi

Marzieh Hashemi

Giornalista e conduttrice per Press TV, Marzieh Hashemi è una femminista musulmana che critica apertamente l’imperialismo occidentale e il doppio standard nei confronti dei diritti umani. Sostiene che le donne musulmane possano essere emancipate senza doversi conformare ai modelli laici occidental. Denuncia la strumentalizzazione delle questioni di genere per giustificare interventi stranieri.

 
Marzieh Hashemi
Marzieh Hashemi
 

La Necessità di un Femminismo Plurale e Anti-Imperialista

Un vero femminismo intersezionale dovrebbe riconoscere la pluralità delle esperienze femminili nel mondo, senza imporre un unico modello di liberazione. Il femminismo occidentale mainstream spesso ignora le voci delle donne musulmane che scelgono di vivere in un quadro islamico e patriottico, etichettandole come vittime inconsapevoli o complici del sistema. Questo atteggiamento è di per sé una forma di colonialismo culturale.

 

Perché è importante dare voce a queste donne?

– Criticare l’Iran senza analizzare il ruolo dell’imperialismo è miope. L’Iran è costantemente sotto attacco da parte delle potenze occidentali, e molte donne iraniane vedono le ingerenze straniere come una minaccia piuttosto che una soluzione.

– Non tutte le donne iraniane vogliono la stessa forma di emancipazione. Esistono attiviste che desiderano riforme, ma non vogliono un Iran trasformato in un satellite dell’Occidente.

– Il femminismo non dovrebbe essere uno strumento di regime-change. In passato, gli Stati Uniti e l’Europa hanno usato la “liberazione delle donne” come pretesto per interventi militari (Afghanistan, Iraq, Libia). Le donne iraniane sanno che un cambio di regime non garantisce necessariamente più diritti (basta guardare il caos in Libia dopo la caduta di Gheddafi).

Un femminismo realmente intersezionale e decoloniale dovrebbe riconoscere la complessità del femminismo in Iran, senza ridurlo a una dicotomia tra “donne oppresse” e “femministe pro-Occidente”. Dare spazio anche alle donne che sostengono la sovranità dell’Iran e che rivendicano un’identità femminile islamica e patriottica è fondamentale per una visione più completa della realtà.

 
 

Femminismo e Sorellanza: Una Prospettiva Storica

 

Tornare a Simone De Beauvoir?

 

Simone de Beauvoir (1908-1986) è stata una filosofa, scrittrice ed esistenzialista francese, considerata una delle figure più influenti del femminismo del XX secolo. La sua opera più celebre, Il secondo sesso (1949), ha rivoluzionato il pensiero sulla condizione femminile, analizzando come la società patriarcale costruisca la donna come “l’Altro”, subordinandola all’uomo. Con la celebre frase “Donna non si nasce, lo si diventa”, de Beauvoir sottolinea che l’identità femminile non è un destino biologico, ma una costruzione culturale e sociale. Compagna di Jean-Paul Sartre, condivise con lui l’impegno politico e filosofico, aderendo all’esistenzialismo e difendendo il concetto di libertà individuale. Oltre alla lotta per l’emancipazione delle donne, de Beauvoir si schierò contro il colonialismo francese, sostenendo le lotte di liberazione in Algeria e Vietnam. La sua eredità continua a influenzare il femminismo contemporaneo, soprattutto nelle correnti intersezionali e decoloniali, che riconoscono l’importanza di analizzare il patriarcato in relazione ad altre forme di oppressione, come il razzismo e l’imperialismo.

De Beauvoir si oppose alla guerra d’Indocina (1946-1954) e successivamente alla guerra del Vietnam, entrambe combattute dalle potenze occidentali per mantenere il dominio coloniale. La sua critica si basava sull’idea che l’oppressione delle donne fosse parte di un sistema più ampio di sfruttamento e dominio, che includeva il colonialismo e l’imperialismo. Attraverso il suo attivismo, sostenne le lotte di liberazione dei popoli colonizzati, sottolineando l’ipocrisia delle democrazie occidentali che predicavano libertà e uguaglianza mentre opprimevano altre nazioni.

 
Simone De Beauvoir
Simone De Beauvoir
 

Femminismo e Decolonizzazione: Un Legame Indissolubile

Il pensiero di Simone de Beauvoir suggerisce che il femminismo non possa essere separato dalle lotte contro il razzismo, l’imperialismo e il neocolonialismo. Le donne nelle colonie erano oppresse sia dal patriarcato sia dall’occupazione straniera, e le loro battaglie per la libertà non potevano limitarsi alla sola emancipazione di genere, ma dovevano includere la liberazione politica e sociale delle loro nazioni.

  • Lotta delle donne nei movimenti di liberazione: De Beauvoir riconosceva il ruolo fondamentale delle donne nei movimenti anticoloniali. In Algeria, ad esempio, molte donne combatterono attivamente contro l’occupazione francese, sia come combattenti che come organizzatrici politiche. Questa partecipazione sfidava la narrazione occidentale che vedeva le donne delle colonie solo come vittime, piuttosto che come soggetti attivi nella loro liberazione.

  • Solidarietà con le donne del Sud globale: De Beauvoir era consapevole che il femminismo occidentale non poteva ignorare la condizione delle donne nelle ex colonie. Il suo pensiero suggerisce che il femminismo debba essere necessariamente internazionale e intersezionale, ovvero capace di riconoscere le molteplici forme di oppressione che colpiscono le donne in base alla classe, alla razza e alla posizione geopolitica.

     
     

     Perché Tornare alle Origini del Femminismo con Simone de Beauvoir?

Nel panorama attuale, in cui il femminismo è spesso frammentato e a volte depoliticizzato, riscoprire il pensiero di Simone de Beauvoir significa recuperare una visione radicale e intersezionale della lotta per l’uguaglianza. Tornare alle origini del femminismo attraverso Il secondo sesso e i suoi scritti politici significa:

  1. Riconoscere che il patriarcato è un sistema globale, intrecciato con il capitalismo e l’imperialismo.

  2. Comprendere che la liberazione delle donne non può essere separata dalla lotta contro il razzismo e il neocolonialismo.

  3. Superare il femminismo neoliberale che si concentra su successi individuali, trascurando le strutture di oppressione sistemica.

  4. Collegare la lotta femminista a quella anticoloniale e anticapitalista, come faceva de Beauvoir.

In sintesi, il pensiero di Simone de Beauvoir è più attuale che mai. La sua critica al patriarcato e all’imperialismo offre una prospettiva rivoluzionaria che può guidare il femminismo contemporaneo verso un’analisi più profonda delle relazioni di potere globali.

 Il femminismo intersezionale è spesso stato frainteso e ridotto a una serie di battaglie separate e individualistiche, mentre invece è una visione globale e olistica della lotta contro le oppressioni.

 
 

 L’Intersezionalità fraintesa: Un’Analisi Strutturale e Non Individuale

L’intersezionalità, un concetto elaborato dalla giurista Kimberlé Crenshaw negli anni ’80, nasce per analizzare come diverse forme di oppressione (sessismo, razzismo, classismo, imperialismo, omofobia, transfobia, abilismo, ecc.) si intersecano e si rafforzano a vicenda. Non è un semplice elenco di identità o un’idea banale di “lotta per tutti”, ma uno strumento critico per comprendere che il sistema di dominio non colpisce in modo uniforme tutte le donne, e che alcune sono oppresse in modo più intenso proprio a causa della loro posizione sociale, economica e geopolitica. Ad esempio, una donna nera migrante non subisce solo sessismo, ma anche razzismo e sfruttamento economico in un sistema che la colloca in una posizione subordinata sia rispetto agli uomini sia rispetto alle donne bianche privilegiate. Allo stesso modo, una donna indigena in America Latina può subire violenza patriarcale e, contemporaneamente, essere vittima del neocolonialismo e dello sfruttamento ambientale da parte delle multinazionali.

Il Fraintendimento del Femminismo Intersezionale

Negli ultimi anni, il femminismo intersezionale è stato spesso depoliticizzato e ridotto a una questione di rappresentanza o empowerment individuale. Alcuni fraintendimenti comuni includono:

  • Frammentazione delle lotte: Alcuni pensano che l’intersezionalità significhi creare categorie sempre più specifiche di oppressione e dividerle tra loro, portando a una sorta di competizione tra gruppi oppressi (chi soffre di più?). In realtà, il concetto nasce per unire le lotte, non per separarle.

  • Femminismo “identitario” e neoliberale: Invece di combattere le strutture di potere, l’intersezionalità è stata spesso ridotta a un discorso di “inclusione” nei sistemi esistenti. Questo ha portato a fenomeni come il corporate feminism (aziende che si appropriano del femminismo per vendere prodotti) o la promozione di figure femminili di successo che però non mettono in discussione il sistema (es. CEO donne in multinazionali che sfruttano altre donne).

  • Femminismo occidentale egemonico: Spesso il femminismo dominante nei paesi occidentali ignora le lotte delle donne nel Sud globale o impone una visione eurocentrica dell’emancipazione, ignorando il colonialismo e il neocolonialismo come forme di oppressione.

     
     

 L’Intersezionalità Come Visione Olistica e Rivoluzionaria

Un vero approccio intersezionale riconosce che tutte le forme di oppressione sono interconnesse e che la lotta femminista non può essere separata dalle lotte sociali, economiche e politiche più ampie. Ciò significa:

  • Superare il femminismo liberale, che si concentra solo su diritti individuali (come l’accesso alle posizioni di potere) senza sfidare le strutture che producono disuguaglianza.

  • Collegare la lotta di genere a quella contro il capitalismo e l’imperialismo, riconoscendo che il patriarcato è sostenuto da un sistema economico e politico globale.

  • Riconoscere la centralità delle donne del Sud globale, che spesso subiscono una doppia marginalizzazione (sia nei movimenti femministi mainstream che nei loro contesti nazionali).

  • Promuovere la solidarietà tra le oppresse, invece di cadere in divisioni basate su un’idea rigida di identità.

     
     
    Simone De Beauvoir
    Simone De Beauvoir
     

Un Femminismo Intersezionale Coerente con Simone de Beauvoir

Come abbiamo visto, Simone de Beauvoir già negli anni ’50 e ’60 capiva che la lotta delle donne non poteva essere scollegata dalla lotta contro l’imperialismo e il colonialismo. Il suo sostegno alle lotte di liberazione in Algeria e Vietnam mostra come un femminismo realmente intersezionale non possa ignorare il contesto storico e politico in cui le donne vivono.

Tornare a una visione autenticamente intersezionale significa dunque recuperare quella prospettiva radicale, anti-imperialista e anticapitalista che oggi viene spesso annacquata. Un femminismo globale e olistico non cerca solo di aggiustare le ingiustizie all’interno del sistema, ma vuole trasformarlo radicalmente.

Il femminismo ha sempre avuto una vocazione internazionale e solidale, cercando di unire donne di diverse origini per costruire un linguaggio comune di liberazione. Figure come Audre Lorde, Angela Davis, Monique Witting, bell hooks, Chandra Talpade Mohanty, Leila Ahmed e Jasbir Puar hanno mostrato come il femminismo debba essere intersezionale, tenendo conto delle differenze culturali, razziali e di classe. Angela Davis, in particolare, ha sempre sottolineato il legame tra la lotta delle donne nere, palestinesi e di altre comunità oppresse, opponendosi all’uso strumentale dei diritti umani per giustificare interventi imperialisti.

Se vogliamo parlare di “femminismo universale”, allora dobbiamo assicurarci che questo sia davvero tale, includendo tutte le donne, anche quelle che mettono in discussione le narrative dominanti. Altrimenti, il rischio è quello di trasformare il femminismo in uno strumento geopolitico parziale, anziché in un autentico movimento di liberazione globale.

 
Audre Lorde
Audre Lorde
 

Audre Lorde (1934-1992) è una poetessa, scrittrice e attivista afroamericana, che ha esaminato le intersezioni tra razza, classe, sessualità, e genere in un contesto di patriarcato, imperialismo e oppressione coloniale. La sua visione del femminismo radicale è intimamente legata alla lotta contro le strutture di potere che comprimono l’individualità e l’autodeterminazione delle donne, specialmente le donne nere, lesbiche e di altre minoranze.

 

Femminismo Intersezionale

Audre Lorde è stata una delle prime a teorizzare un femminismo che non si limitasse a una visione universale e occidentale delle donne, ma che riconoscesse le diverse esperienze vissute dalle donne in base alla loro razza, classe, sessualità e geografia. Le sue opere più celebri, come Sister Outsider (1984) e The Cancer Journals (1980), affrontano il femminismo come una lotta contro il razzismo, il colonialismo, il sessismo, e l’omofobia, e sottolineano l’importanza di un femminismo che non escluda nessuna voce, soprattutto quelle delle donne nere, delle donne appartenenti a minoranze etniche e delle donne lesbiche.

Lorde ha enfatizzato l’importanza di riconoscere e celebrare le differenze tra le donne, invece di uniformare le esperienze femminili sotto una visione dominante. Per lei, la lotta femminista era legata alla solidarietà tra le donne di tutte le razze, etnie e sessualità, ma anche alla lotta contro l’imperialismo, che opprimeva i popoli neri e delle minoranze.

 

Il Corpo come Campo di Battaglia

Lorde ha visto il corpo delle donne, in particolare delle donne nere e lesbiche, come un “campo di battaglia” per il patriarcato. Il suo femminismo radicale è stato sempre anti-sessista e contro la medicalizzazione e l’oggettivazione del corpo femminile. Lorde ha combattuto la visione patriarcale e imperialista che riduceva le donne a oggetti da consumare o da controllare. La sua scrittura sul corpo femminile, soprattutto nel contesto di una malattia come il cancro, è stata una riflessione potente sulla sofferenza e la resistenza del corpo, e sulla lotta per rivendicare il controllo su di esso.

 
 
Manifestazione CodePink contro la guerra
Manifestazione CodePink contro la guerra
 
 

Abolizione del Sistema Carcerario

Lorde è stata anche una critica del sistema carcerario, che ha visto come un altro strumento di controllo delle donne, in particolare delle donne nere. La sua critica si estendeva a come il sistema carcerario opponesse le donne, marginalizzando le donne povere, le donne nere e le lesbiche, mentre promuoveva un sistema di punizione che minava l’autonomia e la dignità umana.

 

Monique Wittig: Femminismo Radicalmente Anti-Capitalista e Anti-Eteronormativo

 

Monique Wittig (1935-2003) è stata una teorica, scrittrice e attivista francese, una delle voci più forti del femminismo radicale. Wittig è conosciuta soprattutto per le sue teorie sulla “dissoluzione” della categoria di “donna”, e per la sua posizione radicale contro il sistema patriarcale, capitalista e eteronormativo.

Wittig collega questa oppressione sessuale alla struttura economica capitalista, che vede come una delle forze principali che sfrutta il corpo delle donne. La sua lotta è contro un mondo che definisce il femminile come una forma di oppressione e subordinazione rispetto al maschile, e che rende il corpo femminile oggetto di sfruttamento.

 
Manifestazione pro-Palestina dell' Associazione CodePink
Manifestazione pro-Palestina dell’ Associazione CodePink
 

Il Femminismo Anti-Capitalista

Wittig è una femminista che ha fatto un legame diretto tra capitalismo e patriarcato, vedendo il capitalismo come un sistema che non solo sfrutta il lavoro e la produttività delle donne, ma anche la loro sessualità. Secondo Wittig, il capitalismo ha bisogno del patriarcato per riprodurre la forza lavoro, e la subordinazione delle donne è cruciale per il funzionamento del sistema economico. La sua analisi include una forte critica alla divisione tra lavoro “pubblico” e “privato”, nella quale il lavoro domestico non remunerato delle donne è la base su cui si erige l’economia capitalista.

 

La Rifiutazione dell’Identità di Genere

Una delle posizioni più radicali di Wittig è stata la sua critica alla costruzione di identità di genere in quanto una forma di oppressione. Wittig riteneva che l’idea di “genere” non fosse una realtà biologica ma una costruzione sociale che serviva a mantenere l’ordine patriarcale. La sua visione è stata influente nel pensare la liberazione femminista come una rottura con le categorie binarie di genere e come un processo di liberazione da tutte le forme di oppressione strutturale.

 

 L’Impegno Comune di Lorde e Wittig

Sebbene Audre Lorde e Monique Wittig abbiano affrontato la questione del femminismo da prospettive leggermente diverse (con Lorde più concentrata sull’intersezionalità e le lotte di razza e classe, mentre Wittig più focalizzata sul corpo e sul rifiuto delle categorie di genere e sessualità), entrambe sono d’accordo sul fatto che la liberazione delle donne deve andare oltre la mera riforma del sistema patriarcale. Per entrambe, il femminismo è un movimento che abbraccia la decolonizzazione, la lotta contro l’imperialismo e la critica al capitalismo, e che rifiuta ogni forma di oppressione, sessuale, razziale e di classe.

La loro eredità rimane di fondamentale importanza per il femminismo contemporaneo, in particolare per le attiviste che si oppongono non solo al patriarcato, ma anche al colonialismo, all’imperialismo e al capitalismo globale che continuano a sfruttare i corpi delle donne.

 
La rivoluzionaria e femminista Angela Davis
La rivoluzionaria e femminista Angela Davis
 

Angela Davis e il Femminismo Antirazzista e Antimperialista

Angela Davis, filosofa e attivista afroamericana, ha sempre legato la lotta femminista alla questione razziale e alla lotta di classe. Il suo femminismo è intersezionale ante litteram, poiché evidenzia come il sessismo, il razzismo e il capitalismo siano sistemi intrecciati di oppressione.

Uno dei suoi contributi fondamentali riguarda la solidarietà con le lotte dei popoli oppressi, inclusi i palestinesi. Davis ha più volte denunciato la complicità del femminismo liberale occidentale con l’imperialismo e ha sostenuto il movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) contro Israele. Nel suo libro Freedom Is a Constant Struggle, analizza la connessione tra le lotte per i diritti civili negli Stati Uniti, la resistenza palestinese e altre battaglie per la giustizia globale.

Davis critica la strumentalizzazione dei diritti delle donne per giustificare guerre e ingerenze occidentali nei paesi del Sud globale. La sua posizione sul Medio Oriente si inserisce in una prospettiva decoloniale e antimperialista, opponendosi alla narrazione che dipinge i paesi arabi e musulmani come luoghi di oppressione da “salvare” con l’intervento occidentale.

 
Manifesto: taglia sulla testa della rivoluzionaria Angela Davis
Manifesto: taglia sulla testa della rivoluzionaria Angela Davis
 

bell hooks e il Femminismo Intersezionale e Comunitario

bell hooks (Gloria Jean Watkins) è una delle figure chiave del femminismo nero e intersezionale. Il suo lavoro si concentra sulla necessità di un femminismo che sia accessibile e legato alle esperienze quotidiane delle donne, in particolare delle donne nere e di classe lavoratrice.

Nel suo libro Ain’t I a Woman? denuncia il razzismo all’interno del movimento femminista occidentale e critica la visione borghese e bianca dell’emancipazione, che spesso esclude le donne non occidentali o non privilegiate economicamente.

bell hooks sottolinea il valore delle comunità come spazi di resistenza e lotta, opponendosi alla tendenza neoliberale che riduce il femminismo a una questione individuale di empowerment. Il suo pensiero è in linea con quello di Angela Davis e Chandra Mohanty, poiché sostiene che la liberazione delle donne non possa avvenire senza un’analisi delle strutture di oppressione globali.

 

Chandra Talpade Mohanty e la Critica al Femminismo Coloniale

Chandra Talpade Mohanty, teorica femminista postcoloniale, è autrice del saggio Under Western Eyes, in cui critica la tendenza del femminismo occidentale a trattare le donne del Sud globale come vittime passive da salvare. Mohanty sottolinea che molte narrazioni femministe ignorano la voce delle donne dei paesi postcoloniali, imponendo modelli di liberazione eurocentrici. Invece, invita a riconoscere l’autonomia e l’agenzia delle donne di diverse culture, ponendo l’accento sulle lotte anticoloniali e sulla necessità di alleanze transnazionali.

Questa prospettiva è particolarmente rilevante nel contesto della Palestina e dell’Iran: molte donne palestinesi e iraniane hanno sviluppato forme di resistenza proprie, che non necessariamente rientrano nei paradigmi femministi occidentali.

 

Leila Ahmed e il Femminismo Islamico

Leila Ahmed è una delle principali studiose del femminismo islamico. Nel suo libro Women and Gender in Islam, analizza la storia della condizione femminile nei paesi musulmani, sfatando il mito che l’Islam sia intrinsecamente patriarcale e oppressivo.

Ahmed critica l’uso dell’Islam come strumento politico, ma allo stesso tempo denuncia la strumentalizzazione del femminismo per giustificare l’imperialismo occidentale. Il suo lavoro ha contribuito a far emergere le voci delle donne musulmane che rivendicano un femminismo interno alle loro culture, senza dover adottare modelli occidentali.

Questa prospettiva è fondamentale per comprendere la complessità delle lotte delle donne in Iran, dove alcune combattono contro il velo obbligatorio, mentre altre lo rivendicano come scelta culturale e religiosa.

 

Jasbir Puar e la Teoria della Omonazionalismo

Jasbir Puar è una teorica queer che ha introdotto il concetto di “omonazionalismo” (homonationalism) nel libro Terrorist Assemblages. Con questo termine, descrive il modo in cui alcuni governi occidentali strumentalizzano i diritti delle donne e delle persone LGBTQ+ per giustificare il razzismo e l’imperialismo.

Secondo Puar, lo Stato di Israele utilizza la retorica dei diritti LGBTQ+ per promuovere un’immagine progressista e distogliere l’attenzione dalle violazioni dei diritti umani contro i palestinesi (fenomeno noto come pinkwashing). Lo stesso meccanismo si applica anche al femminismo: le donne arabe e musulmane vengono spesso rappresentate come vittime dell’oppressione maschile, mentre le violenze sistemiche causate dall’occupazione e dall’imperialismo vengono ignorate.

Questa teoria è fondamentale per comprendere come eventi come “Femminismo Universale” possano essere utilizzati per promuovere agende politiche specifiche, piuttosto che per favorire un autentico dialogo tra donne di diverse culture.

Il pensiero di queste teoriche dimostra che il femminismo non può essere separato da una critica al razzismo, al colonialismo e all’imperialismo. Un vero “femminismo universale” non può escludere le donne palestinesi, le attiviste iraniane patriottiche, o le voci che sfidano la narrazione dominante.

 
Manifestazione pacifista delle Donne in Nero a Piacenza
Manifestazione pacifista delle Donne in Nero a Piacenza
 

L’ Esempio delle Donne in Nero

Oggi, le Donne in Nero continuano la loro lotta non solo per la pace in Medio Oriente, ma anche per i diritti delle donne, contro il militarismo e per la giustizia sociale. Il movimento ha avuto rami in diversi paesi, incluso in Italia, dove le Donne in Nero si sono mobilitate in supporto alla causa palestinese, contro la guerra in Iraq e in Afghanistan, e in favore dei diritti umani globali.

 
Manifestazione pacifista delle Donne in Nero
Manifestazione pacifista delle Donne in Nero

Le Donne in Nero sono nate nel 1988 in Israele, come risposta all’occupazione israeliana dei territori palestinesi durante la Prima Intifada (la rivolta palestinese contro l’occupazione). Un gruppo di donne israeliane, tra cui storiche pacifiste, attiviste per i diritti delle donne e intellettuali, si riunirono per opporsi alla violenza e per sollevare la consapevolezza sul conflitto israelo-palestinese. Il movimento è stato ispirato dalla volontà di denunciare l’occupazione militare israeliana, ma anche di fare una dichiarazione politica contro la guerra e il militarismo. L’elemento distintivo delle Donne in Nero è il loro approccio pacifista e non violento: il gruppo organizza manifestazioni silenziose in spazi pubblici come piazze e strade, indossando abiti neri, simbolo del lutto per le vittime della guerra e della violenza. La scelta di una protesta silenziosa è un atto politico potente, che esprime una forma di dissenso pacifico e non invasivo. Le donne portano cartelli con scritte come “Stop the Occupation” (Fermiamo l’occupazione) o “End the War” (Fermiamo la guerra), sottolineando la loro posizione contro l’aggressione e a favore della pace. Nel tempo, il movimento ha guadagnato attenzione internazionale, espandendosi in altri paesi. In Italia, ad esempio, le Donne in Nero sono diventate attive nei dibattiti sulla Palestina e sull’occupazione israeliana, ma anche in occasioni globali come le guerre in Iraq e in Afghanistan. Sebbene le Donne in Nero non siano mai state un movimento di massa, la loro capacità di sensibilizzare e attirare l’attenzione delle media è stata significativa. Oggi, il movimento continua a mobilitarsi contro le guerre, l’occupazione e la violenza contro le donne. In un contesto politico sempre più polarizzato, le Donne in Nero si concentrano anche su altre problematiche globali, come il cambiamento climatico, la disuguaglianza sociale e i diritti umani.

 
 
Manifestazione pacifista delle Donne In Nero
Manifestazione pacifista delle Donne In Nero
 

L’ esempio di CODEPINK

CODEPINK ha ampliato il suo impegno a sostegno delle donne palestinesi e della lotta per la sovranità dell’Iran. In particolare, hanno espresso forte solidarietà con il popolo palestinese, denunciando le violenze subite dalle donne e dalle famiglie palestinesi sotto l’occupazione israeliana. CODEPINK ha anche sostenuto le donne iraniane, difendendo il loro diritto all’autodeterminazione e alla libertà, e opponendosi alle politiche aggressive degli Stati Uniti verso l’Iran. CODEPINK si è battuta contro le sanzioni economiche che colpiscono duramente la popolazione iraniana.

CODEPINK è stata fondata nel 2002, durante la presidenza di George W. Bush, in risposta alla decisione del governo degli Stati Uniti di invadere l’Iraq. Il movimento è stato creato da un gruppo di donne progressiste (prevalentemente donne “cis” ma anche persone omosessuali) con l’intento di mobilitarsi contro la guerra e le politiche imperialiste degli Stati Uniti. Il nome “CODEPINK” è un gioco di parole, che fa riferimento al codice di sicurezza che veniva usato nelle scuole americane, trasformato in un simbolo di resistenza contro la guerra. Fin dall’inizio, CODEPINK ha avuto una strategia di attivismo visibile e provocatorio. Le attiviste del movimento hanno partecipato a manifestazioni, marce e azioni di disobbedienza civile, spesso in modo spettacolare, come quando si sono infiltrate in audizioni del Congresso o nelle sedi delle Nazioni Unite. Le attiviste hanno usato il loro corpo come strumento di protesta, indossando abiti rosa (per enfatizzare l’aspetto femminile e pacifista), e hanno cercato di attirare l’attenzione sui costi umani e sociali delle guerre. Con il passare degli anni, CODEPINK ha ampliato il suo impegno, mettendo in evidenza non solo la guerra in Iraq, ma anche altre violazioni dei diritti umani a livello globale. Uno dei temi ricorrenti è stato il sostegno alle donne palestinesi e la lotta per la giustizia in Palestina. CODEPINK ha criticato le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi, in particolare l’occupazione dei territori palestinesi, le violazioni dei diritti umani e l’uso della violenza contro i civili. Inoltre, il movimento ha lanciato numerose campagne contro il sostegno degli Stati Uniti a Israele. Inoltre, CODEPINK si è mobilitata a favore della sovranità dell’Iran. In un contesto di crescente tensione tra gli Stati Uniti e l’Iran, CODEPINK ha opposto resistenza alle sanzioni economiche imposte dall’Occidente e alle minacce di guerra contro l’Iran, sostenendo il diritto delle donne iraniane e del popolo iraniano a determinare il proprio destino. CODEPINK ha organizzato eventi, manifestazioni e campagne di sensibilizzazione per contrastare la narrativa bellica e per esprimere solidarietà con le donne iraniane, che spesso affrontano gravi discriminazioni. Il movimento è stato anche molto attivo nel difendere i diritti delle donne in altre regioni del mondo, tra cui l’Afghanistan, il Sud Sudan e il Congo, e ha supportato varie campagne per la pace e la giustizia sociale.

Confronto tra le due esperienze

Sebbene le Donne in Nero e CODEPINK siano nate in contesti e con obiettivi leggermente diversi, entrambe sono mosse da un forte impegno per la pace, la giustizia sociale e i diritti delle donne. Le Donne in Nero hanno focalizzato la loro attenzione sulla critica all’occupazione e al militarismo, mentre CODEPINK, oltre a essere un movimento pacifista, si è concentrata su una vasta gamma di problematiche globali, con particolare attenzione al Medio Oriente e alla difesa dei diritti delle donne palestinesi e iraniane. Entrambe le organizzazioni sono pacifiste e hanno cercato di influenzare la politica internazionale attraverso azioni dirette e campagne di sensibilizzazione. La forza di entrambe è nella loro capacità di mobilitarsi contro le ingiustizie globali, creando legami di solidarietà tra le donne di tutto il mondo e spingendo per una maggiore giustizia globale. Queste storie, seppur separate, mostrano come il movimento delle donne per la pace e i diritti umani continui a svolgere un ruolo cruciale nel dibattito internazionale, affrontando le questioni della guerra, dell’occupazione, della sovranità e dei diritti civili con coraggio e determinazione.

 
 

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento!
Inserisci il tuo nome