Se le destre vincono è perché il sinistrismo borghese (che ad esse finge di contrapporsi) non è socialismo

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Stupisce che molti si stupiscano dell’avanzare delle estreme destre in un Occidente liberal capitalista da tempo sempre più irresponsabile, sempre meno democratico, sempre più guerrafondaio e reso così dalle varie maggioranze Ursula, dai vari Biden, dai finti socialisti, finti verdi e vere destre, benché si presentino come “moderate”.

Ovvero da un “sinistrismo” borghese che, da una trentina d’anni, ha affossato il socialismo, la giustizia sociale, la sovranità nazionale, per smantellare progressivamente lo stato sociale e i diritti dei lavoratori (vedi i vari Jobs Act); sdoganare le più assurde culture “woke”; promuovere i diritti e le libertà per i più ricchi (come i vari uteri in affitto); promuovere le esportazioni di democrazia a suon di bombe e imporre embarghi a Paesi sovrani, solo perché non allineati ai desiderata degli USA o delle multinazionali europee.

Un sinistrismo borghese (in Italia ampiamente rappresentato da PD; Cinque Stelle; Bonelli e Fratoianni; Calenda, Renzi e Bonino) niente affatto diverso da quelle destre liberal capitaliste (di cui la Meloni, Salvini e Tajani sono i più celebri esponenti, in Italia), più o meno estreme, alle quali finge di contrapporsi.

Da almeno una decina di anni scrivo, sia in articoli che saggi, che occorre un sano ritorno al socialismo originario, ovvero a un sano populismo di sinistra, che recuperi gli ideali e i valori della Prima Internazionale dei Lavoratori (sintesi fra pensiero socialista umanitario, repubblicanesimo, marxismo e anarchismo) e che guardi a esperienze moderne e vincenti, quali il Socialismo Latinoamericano del XXI Secolo (di cui il Presidente brasiliano Lula è uno dei più noti esponenti); il socialismo con caratteristiche cinesi di Xi Jinping (ovvero economia socialista di mercato); quello slovacco di Robert Fico e Peter Pellegrini e alle proposte della tedesca Sahra Wagenknecht, dell’irlandese Mick Wallace; del francese Mélenchon e del britannico Jeremy Corbyn.

Un socialismo (un tempo, in Italia, rappresentato in particolare dal Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi, ma anche dal PRI di Mario Bergamo e Randolfo Pacciardi e dal PSDI di Pietro Longo), che abbia valori antichi e promuova scelte moderne; che rompa con l’egemonia liberal capitalista; che ponga al centro il cittadino e la comunità; che riporti nelle mani pubbliche i settori chiave dell’economia (società energetiche; telecomunicazioni; trasporti; settore bancario, siderurgico e militare); che apra all’autogestione delle imprese da parte dei lavoratori; che getti le basi per una società ordinata, senza sconti nei confronti di una criminalità sempre più dilagante; che punti alla costruzione di un mondo multipolare, portando l’UE nei BRICS; riduca le spese militari, anziché irresponsabilmente volerle aumentare, come vorrebbero le destre e il “sinistrismo” borghese europeo; investa massicciamente in ricerca, sanità e istruzione; promuova il dialogo e la cooperazione internazionale.

Tutto ciò a me pare anche più che evidente. Che ciò sarà possibile, in un momento storico come quello attuale, in cui il socialismo è stato totalmente affossato nei Paesi liberal capitalisti (e non solo, pensiamo anche alla recente detronizzazione del socialismo laico in Siria, nel silenzio più assordante dei sedicenti “laici” e “democratici” di casa nostra), non mi illudo affatto lo sia.

Luca Bagatin

www.amoreeliberta.blogspot.it

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