Una triste notizia è questa: amici liberali, è morto a Roma il professor Lorenzo Infantino (1948), questa notte improvvisamente il suo cuore si è fermato. Il professor Infantino è stato all’avanguardia per quanto riguarda la storia e la sociologia del pensiero liberale. Un illuminato studioso della Scuola Austriaca, che ha spiegato a migliaia di studenti le teorie di Hayek e Mises e l’individualismo della ragione.
Poche figure si ergono con la stessa intensità e profondità di Lorenzo Infantino. La sua vita e le sue opere ci invitano a interrogarci su quanto possa essere fragile l’equilibrio tra individualismo e comunità, tra libertà e potere. Nonostante il suo contributo inestimabile alla diffusione del pensiero evoluzionistico liberale, la sua eredità, come un’eco, richiama le insidie e contraddizioni intrinseche al nostro modo di vivere.
Infantino si colloca nella scia dei grandi pensatori della tradizione scozzese, rinnovando e reinterpretando le intuizioni di Bernard de Mandeville, David Hume e Adam Smith. È un percorso costellato di ideali, ma anche di amarezze, che fa emergere la questione dell’umanità; le azioni umane, pur nate da buone intenzioni, si intrecciano spesso in modi imprevisti e incontrollabili, dando vita a esiti inaspettati e talvolta disastrosi. È qui che si fa prepotente la figura di un uomo in cerca di risposte, spaventato dall’ignoranza e dalla fallibilità che caratterizzano la condizione umana. In modo quasi profetico, il pensiero di Infantino si sofferma sul paradosso della libertà: mentre le istituzioni sociali – linguaggio, famiglia, mercato, Stato, denaro – emergono da un ordine spontaneo, sono anche il riflesso delle nostre fragilità.
Questa visione del mondo si esprime potentemente nelle sue opere principali. “L’ordine senza piano” (1995) offre una riflessione sul modo in cui particelle di libertà si aggregano per formare un tessuto sociale complesso, ma il titolo stesso ci ricorda che non esiste un maestro d’orchestra, solo una melodia che si sviluppa in modo imprevedibile. “Ignoranza e libertà” (1999) rimarca infine un paradosso inquietante: più siamo liberi, maggiore è l’ignoranza che ci accompagna, creando uno spazio di incertezze e timori che nessun mercato può veramente colmare.
Soprattutto con “Potere. La dimensione politica dell’azione umana” (2013), Infantino si confronta con la cruda realtà delle relazioni di potere, evidenziando quanto sia difficile sfuggire al destino di un intervento statale sempre più invasivo. Le sue parole echeggiano tristi come un canto funebre per la libertà, mostrando gli effetti deleteri di decisioni imposte dall’alto, dove la nostra stessa umanità sembra ridotta a mero strumento di controllo.
La sua opera rimanda continuamente alla necessità di una maggiore consapevolezza riguardo alle dinamiche sociali.
Ci troviamo ad affrontare un mondo in cui le applicazioni pratiche delle sue teorie si scontrano quotidianamente con la realtà delle interazioni umane, che faticano a mantenere l’ideale di cooperazione e mutualità.
In questo senso, ciò che risuona è il triste riconoscimento che, sebbene Infantino ci abbia fornito gli strumenti critici per comprendere la complessità della vita sociale, il suo messaggio si perde nel rumore assordante delle nostre insoddisfazioni contemporanee. L’individualismo, pur essendo una chiave fondamentale per il progresso, si trasforma facilmente in un’attitudine egoistica, mentre lo Stato, che dovrebbe servire la società, spesso diventa un ulteriore peso sui nostri destini.
Tra le sue opere la più bella senza dubbio è “A proposito di Rousseau” di cui ha curato l’edizione Rubbettino di David Hume.
Foto: Pagina Facebook Lorenzo Infantino