Montaigne: Ozio e Pensiero

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Un pensiero che pensa se stesso è forse il paradosso più difficile da risolvere e più difficile da non risolvere. E’ indubbio che cartesianamente parlando giustifichiamo quel che esiste con il fatto che corrisponda a quel che pensiamo esso sia, ma nel momento in cui il pensiero si trovi a pensare se stesso, diventa complesso arrivare a definirne, se c’è, il limen, ovvero l’origine e il confine.

Potremmo per questo arrivare a darci delle misure matematiche, cercando di non temere il vuoto e il nulla: se il pensiero non vuol meditare di sé, può oziare. Ed è proprio nel Saggio V, l’Ozio, che Montaigne riscopre la bellezza di lasciare il pensiero come i cavalli, a briglia sciolta.

Improbabile o possibile che Montaigne, partendo dalla saggezza platonica, si riferisse ai cavalli nel senso filosofico del termine, oppure che fossero semplicemente metafora della libertà?

A prescindere da questo l’idea di Montaigne, in merito alle facoltà della nostra mente, è piuttosto semplice: la mente continua a partorire idee, fertili come una donna se si incontrano con qualcosa di fertile, infertili e grasse se non si incontrano con nessuno. Insomma, l’idea che la dialettica, seppure con se stessi, sia alla base del flusso del pensiero, che deve avere un oggetto, un perno, un argomento, è quel che sostiene il filosofo.

Se non ci si daranno degli scopi, non si riuscirà ad arrivare da nessuna parte. Questo è il motivo per cui, nonostante non più giovane, egli sentì il bisogno di fermarsi e di fare il punto su una vita, la sua, cercando con questa sorta di vademecum di aiutare chi forse volesse fare altrettanto.

L’animo che non si proponga alcun fine preciso, si perde perché essere dappertutto vuol dire non essere in alcun luogo. Montaigne. Saggi (Classici Vol. 353) (p.11). REA Multimedia. Edizione del Kindle.

Martina Cecco

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