Quella Prima Repubblica, nella quale, governavano partiti di autentico Centro-Sinistra.
E’ la storia di un socialista democratico, raccontata in primis da Mattia Granata, nel suo “Roberto Tremelloni, riformismo e sviluppo economico”, edito da Rubbettino, con il contributo del Centro per la cultura d’impresa.
Di Roberto Tremelloni (1900 – 1987), che ricoprì i Ministeri dell’Industria e del Commercio; del Tesoro, delle Finanze e della Difesa, Enrico Mattei ebbe a scrivere, a proposito del suo modo di fare politica: “Socialista genuino, uomo di cultura moderna, l’On. Tremelloni ha indicato, senza demagogia, quello che un governo socialista deve fare (…), un dirigista, certo, ma un dirigista serio, non un facilone né un demagogo”.
Tremelloni nacque a Milano, in una famiglia povera e questo ha formato profondamente il suo carattere e il suo modo retto di fare politica.
Come riporta Granata, nel suo saggio, Tremelloni scrisse di sé: “Mi sembra molto importante, nel lungo andare della mia vita, il fatto di essere nato povero. Ciò ha giovato alla formazione del mio carattere. Io benedico spesso di essere stato allevato in un ambiente di difficoltà e ristrettezze materiali. Benedico questa scuola perché le difficoltà e le ristrettezze non mi fanno più paura. Perché lo sforzo per superarle diventa abitudine”.
Economista serio, fuori da ogni ideologismo e dogmatismo e sempre dalla parte della collettività, Tremelloni riteneva che fosse “Il proletariato che può e deve alzare la bandiera dello sviluppo economico nell’interesse di tutta la collettività”.
La sua politica fu sempre in contrasto con quella dei conservatori di ogni colore “anche se sono mascherati da etichette progressiste dei più vari movimenti di destra e sinistra”, affermava.
Da adolescente aderì al Partito Repubblicano Italiano di mazziniana e risorgimentale memoria, così come Pietro Nenni. Partito della trasparenza e della rettitudine per eccellenza, oltre che collocato all’estrema sinistra democratica e laica.
Tremelloni si definiva, già da allora, un risorgimentale fabiano, un umanitarista socialista mazziniano e patriottico e tali idee si rafforzarono anche grazie all’amicizia con il liberalsocialista Carlo Rosselli e il padre del Socialismo italiano, Filippo Turati.
Idee che guardavano a un libero mercato regolato a beneficio della collettività e non dell’egoismo privato. Oltre ogni visione classista di matrice marxista-leninista e contro ogni autarchismo di matrice fascista, che Tremelloni avversò con tutto sé stesso, in particolare quando fu chiamato ai suoi primi incarichi di governo, nella ricostruzione dell’Italia, nel dopoguerra.
Un socialismo municipalista e gradualista, il suo, che lo porterà a sostenere, così come il liberalsocialista e amico Ernesto Rossi, la lotta ai monopoli e la promozione della nazionalizzazione dei settori chiave dell’economia, a partire dal settore energetico.
Un socialismo che lo farà approdare, nel 1922, al Partito Socialista Unitario di Turati e Treves e, nel dopoguerra, al Partito Socialista di Unità Proletaria di Nenni e al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani di Giuseppe Saragat, successivamente Partito Socialista Unitario e, infine, Partito Socialista Democratico Italiano.
Si occupò, in gioventù, di giornalismo, sia sportivo che di cronaca e, nel 1919 fondò, con il fratello Attilio, la Casa Editrice Aracne e diresse la rivista della Confederazione Generale Del Lavoro, “Battaglie sindacali”, fino alla soppressione, durante il fascismo.
Nel 1926 fondò, peraltro, con Rosselli e Pietro Nenni, la rivista socialista “Quarto Stato”, anch’essa presto soppressa dal regime.
Ma la sua vera passione sarà sempre l’economia. Laureatosi nel 1924 in Scienze economiche, nel 1930, iniziò ad insegnare Economia politica presso l’Università di Ginevra.
Furono quelli gli anni in cui si dedicò maggiormente agli studi economici e meno all’impegno politico, purtuttavia rimase sempre un antifascista della prima ora, non mancando mai di rivolgere critiche alla politica economica del governo mussoliniano, come fa presente il saggio di Granata.
Egli fu, peraltro, fra i fondatori del giornale economico “Il Sole 24 Ore”.
Nel 1931, a Milano, fondò il GAR, ovvero il Gruppo Amici della Razionalizzazione, ovvero una sorta di centro studi economico, fortemente critico nei confronti dell’economia autarchica del regime.
Riuscì, ad ogni modo, a sfuggire alla condanna al confino, grazie al supporto della rete antifascista.
Nel dopoguerra, Tremelloni tornerà ad essere politicamente attivo, sebbene – come ricorda Mattia Granata – considerasse gran parte dei programmi dei partiti italiani piuttosto vaghi, nebulosi, poco concreti. Alla ricerca più del consenso o di non perdere consensi, piuttosto che fondati sulla ricostruzione del Paese, in favore della comunità.
Già allora egli mostrava il suo carattere pragmatico e non ideologico e, con questo spirito, contribuirà, nel 1947, a dare vita, con Saragat, al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).
Partito di sinistra laica, socialista democratico e oltre i blocchi contrapposti DC – PCI.
All’indomani della Liberazione, fu incaricato di ricoprire il ruolo di Vicepresidente del Consiglio Industriale per l’Alta Italia, ove si occupò di gestire e riattivare le strutture dell’economia produttiva.
E’ in questo ruolo che ebbe modo di applicare la sua visione economica, basata sulla razionalizzazione della produzione, contro ogni forma di parassitismo e di spreco di danaro e energie pubbliche, oltre che contro ogni forma di protezionismo economico.
Ampliamento dei mercati e produzione economica di massa di beni utili e non voluttuari, erano le sue linee guida, per garantire una diffusa prosperità.
Il tutto, secondo Tremelloni, era possibile attraverso un “ordinato e funzionante” intervento pubblico nell’economia del Paese.
In questo senso, fu un sostenitore della nazionalizzazione di ferrovie, compagnie telefoniche e elettriche; dell’abolizione di ogni forma di monopolio e della promozione della meritocrazia in ambito occupazionale.
La politica di Tremelloni, in ambito economico, che era il cuore del programma del socialismo democratico dell’epoca, rifuggiva, dunque, da ogni forma di collettivismo classista e da ogni forma di liberalismo economico, come ottimamente sottolineato dall’autore del saggio biografico.
E questa sarà la politica che egli sempre porterà avanti, anche nei successivi incarichi di governo, all’Industria e commercio (1947), al Tesoro (1962), alle Finanze (1963) e alla Difesa (1966).
Una politica improntata alla buona amministrazione, all’evitare sperperi e sprechi, al risanamento dei conti pubblici ed alla razionalizzazione della spesa, ma all’insegna dello spendere meno, ma meglio, in particolare in settori importantissimi quali sanità e istruzione, sui quali Tremelloni intese investire maggiormente.
Inutile dire che si scontrò moltissimo con i politici della sua epoca, in tal senso.
Fu, come moltissimi esponenti del suo partito, un sostenitore dell’adesione dell’Italia al Patto Atlantico, ma allo stesso tempo fu, come tutti i socialisti democratici, un sostenitore della pace, del disarmo e del dialogo e della cooperazione internazionale con tutti i Paesi del mondo, oltre che dell’autonomia decisionale dell’Italia.
Fu, da Ministro delle Finanze, un sostenitore non solo della progressività delle imposte e dell’abolizione dell’esenzione fiscale a deputati e senatori, ma anche della lotta all’evasione fiscale e ciò gli attirò numerose critiche, da destra e sinistra.
La sua linea rigorosa era comprensibilmente giustificata proprio dal fatto che, grazie alle imposte progressive, non solo le classi meno abbienti avrebbero pagato meno, ma i servizi pubblici potevano essere resi più efficienti, se tutti avessero pagato ciò che a ciascuno competeva.
Come fa presente Mattia Granata nel suo saggio, Tremelloni mirava a moralizzare la vita pubblica e politica e spesso si trovò a scontrarsi con una dura realtà, fatta di malcostume diffuso, che spesso gli causò non poche delusioni e persino problemi di salute.
Egli detestava l’inefficienza, il malaffare, il trasformismo, la superficialità, la degenerazione partitocratica.
Tutte cose che riscontrerà anche da Ministro della Difesa, incarico che egli mai avrebbe voluto assumere.
Pacifista della prima ora, anche in quel caso, con grandi difficoltà, cercò di razionalizzare la spesa militare, pur non riuscendovi e trovandosi difronte a una realtà clientelare diffusa.
Tentò di riformare il SIFAR, trasformandolo in SID e tentando di correggere quelle deviazioni dei servizi segreti che stavano portando il Paese a subire un colpo di stato di estrema destra, durante la crisi del governo Moro-Nenni, nel 1964.
All’epoca, Tremelloni, fu lasciato solo persino da molti suoi compagni di partito, essendosi ormai inimicato gran parte dei poteri forti che si stavano sostituendo allo Stato.
Nel saggio “Roberto Tremelloni, riformismo e sviluppo economico”, Mattia Granata riporta alcune significative annotazioni di Tremelloni, relative a quel periodo: “Mi trovai intorno una cerchia abbastanza ampia di nemici giurati. Non solo i colpiti (evidentemente quelli del Sifar), ma anche i loro sovvenzionati (…) legati da vincoli di complicità e omertà, mi attaccarono e fecero attaccare con insolita durezza e con la diffusione delle più varie calunnie contro di me attraverso la mafia solidale degli informatori Sifar, che i servizi segreti avevano in ogni partito, in ogni agenzia giornalistica, in ogni centro di informazione o centro politico. (…). “Il Sifar si vendicava rabbiosamente (…) tutto lo Stato nello Stato si ribellava contro chi aveva osato mettersi contro di lui”.
Da allora, inizierà il declino politico di Tremelloni, sempre più isolato anche all’interno di un un PSDI che stava perdendo gran parte del suo glorioso passato socialista ed era in inevitabile calo di consensi da parte dell’opinione pubblica.
Così scriveva Tremelloni, all’indomani dell’esperienza al Ministero della Difesa: “Il partito non mi difese dagli attacchi e dalle calunnie, non fece quadrato attorno a me nella difficile e spericolata traversia che mi aveva attirato gli odii di tutti gli amici dei potentissimi servizi segreti (…) anche nei partiti di sinistra”.
In un PSDI guidato da Mario Tanassi, le personalità di alto profilo come Tremelloni erano sempre più tenute ai margini (la stessa pasionaria del socialismo, Angelica Balabanoff, negli anni, rimase sempre più delusa dai vertici del partito dei socialisti democratici e non mancò di sottolinearlo, nelle sue memorie).
Tremelloni non venne più considerato in seno al PSDI e gli veniva preferita, nel 1968, il sostegno – nel suo stesso collegio milanese – alla candidatura di Eugenio Scalfari alle elezioni politiche e, solamente grazie al ripescaggio dei resti, e all’interessamento di Pietro Nenni, sarà rieletto, come fa presente il saggio di Granata.
Tremelloni, ad ogni modo, non smise mai di scrivere, studiare e battersi contro il fenomeno dell’inflazione, sottovalutatissimo dalla gran parte dei politici dell’epoca. E ciò di pari passo con la denuncia tremelloniana di un aumento degli sprechi nel settore pubblico.
Aspetti, entrambi, peraltro, che porteranno alla crisi della Prima Repubblica, alcuni decenni dopo e sui quali soffieranno sia gli opposti estremismi, che i poteri forti internazionali e un’opinione pubblica manipolata dal sistema mediatico. Portando, dunque, al crollo dei partiti democratici di governo e alla fine dell’Italia per come l’avevamo conosciuta.
L’ultimo atto politico di Tremelloni fu la partecipazione al convegno milanese del PSDI “Una politica contro l’inflazione: per lo sviluppo nella stabilità”, del 1973 (degli atti di tale convegno, che conservo nella mia biblioteca, parlerò in un successivo articolo, fra qualche tempo).
Dopo di allora, come ricorda l’ottimo Granata, Tremelloni si allontanò dalla vita pubblica. Continuò a vivere una vita molto frugale (cibandosi, come sempre, di riso in bianco, una mela e acqua naturale) e a vivere un’esistenza molto ritirata, fra i suoi libri, i suoi studi, la compagnia della moglie Emma e della figlia Laura.
Molto lo aveva deluso la politica del tempo, che aveva accantonato una personalità di altissimo livello, che aveva dato molto al Paese e veniva ripagato con l’oblio e l’isolamento. Specialmente da coloro i quali avrebbero dovuto tenerlo in palmo di mano.
Come, del resto, accadde nel Risorgimento all’Eroe dei due Mondi Giuseppe Garibaldi (che si ritirò a Caprera, molto deluso, dimettendosi da deputato) e anche al grande leader e partigiano Repubblicano Randolfo Pacciardi, altro importante Ministro degli Anni d’oro dell’Italia del dopoguerra e che da tempo denunciava la degenerazione della partitocrazia italiana, sempre meno al servizio alla comunità. Ma che il PRI dell’epoca mise in un canto.
Dei migliori, del resto, pensiamo al Ministro socialista della Sanità, Luigi Mariotti, che fece chiudere i manicomi e si adoperò molto per il welfare, era meglio scordarsi, per lasciare spazio alla “mafia dei professionisti di partito”, come la chiamò lo stesso Tremelloni.
Se vogliamo comprendere le ragioni del disastro politico di oggi, italiano, Europeo e Occidentale, della totale irresponsabilità e perdita di qualità del personale politico degli ultimi trent’anni, non possiamo non ragionare guardando al nostro passato.
E non possiamo non onorare non solo la memoria di leader politici come Roberto Tremelloni, ma anche apprenderne gli insegnamenti, i percorsi, la lungimiranza e intelligenza.
Sono fra coloro i quali, pur socialista fin da ragazzino, non credono assolutamente a una rinascita del socialismo in Italia e Europa (e sicuramente non considero socialisti i partitini che si dicono, oggi, tali). E ne ho spiegato le ragioni, più e più volte. Molte di queste le ravvisò già Tremelloni. Molte di queste le ravvisò comunque anche Bettino Craxi, il cui PSI (l’ultimo dei partiti socialisti italiani, esistito fino al 1992) raccolse gran parte dell’eredità socialista democratica, ormai allo sbando.
Ciò che è possibile e necessario fare è studiare, approfondire, ricercare, agire in modo retto, austero, senza pregiudizi, senza tornaconti personali. Elevare ed elevarsi oltre una massa e una politica resa incolta e arida.
“Roberto Tremelloni, riformismo e sviluppo economico”, di Mattia Granata, scritto benissimo e altrettanto ottimamente documentato, è, in questo senso, un saggio preziosissimo.
Un documento raro, fondamentale, non solo per gli storici, ma anche e soprattutto per le nuove generazioni, siano esse formate da economisti, studiosi, militanti politici, socialisti democratici (se ancora ne esistono, specie fuori da partiti ormai senza alcun valore e fuori da elezioni ormai totalmente inutili), giovani, meno giovani e quanti vorranno recuperare il pensiero e l’azione di un grande uomo quale fu Roberto Tremelloni.
Di cui, chi vi scrive, parlerà ancora, in altri articoli, nei mesi a venire.
Luca Bagatin