Antanas Mockus, un verde per la Colombia?

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di GENNARO CAROTENUTO

Chi è Antanas Mockus, il candidato verde in testa ai sondaggi per le imminenti elezioni colombiane? Riuscirà un filosofo di origine lituana, ex sindaco di Bogotà, a sbaragliare il regime urubista? Non vale troppo la pena dar retta ai sondaggi in Colombia ma a quattro settimane dal voto le inchieste demoscopiche lo affiancano o addirittura lo mettono in testa, davanti al candidato uribista Juan Manuel Santos, padrone dei media e in grado di decidere della vita e della morte di molti colombiani. Il 30 maggio, data del primo turno, sapremo se la Colombia è attesa dalla presidenza di quello che Guido Piccoli definisce “un Beppe Grillo creolo”.

“Legge, morale e cultura” è questo in tre parole il programma con il quale Antanas Mockus vuole ripristinare la fiducia dei colombiani nello Stato. A 58 anni Aurelijus Rutenis Antanas Mockus Sivickas, ex rettore dell’Università di Bogotà ed ex sindaco della capitale rappresenta il partito verde, un’evoluzione di quel partito verde Oxigeno che candidò Ingrid Betancourt e a marzo, prima di una vertiginosa ascesa che ha portato Álvaro Uribe a violare ripetutamente la Costituzione attaccandolo, non superava il 5% nei sondaggi.

Di formazione filosofica europea, allievo di Jürgen Habermas e del teorico della post-modernità Jean Francoise Lyotard, è stato famoso in passato per alcune iniziative clownesche come mostrare il fondoschiena agli studenti che lo contestavano, vestirsi da Superman o sposarsi in un circo a cavallo di un elefante. Più che sulla giustizia sociale Mockus sembra puntare alla lotta contro la casta politica e la corruzione orientandosi sull’educazione, la partecipazione popolare e il dialogo come strumento di soluzione dei conflitti. Sulla partecipazione di chi in genere non vota punta tutto Mockus. Con numeri che in genere non passano il 50% di elettori, tra i più bassi del continente, alcuni sondaggi collocherebbero tra il 60 e il 70% il numero degli aventi diritto che si recherà a votare il 30 maggio, quasi tutti richiamati dalla novità Mockus e dal fatto che si presenti come un candidato di rottura rispetto alle élite corrotte tradizionali.

A sinistra in molti diffidano del candidato verde accusandolo di lasciare sullo sfondo questioni fondamentale come l’ingiustizia sociale, l’impunità o la sudditanza agli Stati Uniti e avere un programma che, se non per la legalità non si discosta da quello dei candidati tradizionali. Ma intanto il candidato del Polo Democratico Alternativo (che potremmo definire della sinistra tradizionale) Gustavo Petro non supera il 4% nei sondaggi. Per Guido Piccoli, il più importante esperto di cose colombiane in Italia, se Santos rappresenta l’élite che ha governato la Colombia per 200 anni Mockus è una sorta di “Beppe Grillo creolo, politicamente indefinibile. Negli anni di governo della capitale (dal 1995 al 1998 e dal 2001 al 2004), per scuotere l’apatia e la rassegnazione di milioni di bogotani, organizzò campagne originali e simboliche come ‘Il vaccino contro la violenza’, piazzò cinquecento mimi ai semafori per incentivare il rispetto del codice stradale, promosse le ‘notti delle donne’ per spingerle a riempire le strade e a vincere la paura, le cerimonie di scambio di armi e coltelli per regali natalizi, le piste ciclabili e il recupero dei parchi”.

Evocativo, bello, ma forse un po’ poco per un paese in guerra civile permanente dal 1948, con mezzo parlamento inquisito per corruzione endemica, con una guerriglia residuale ma non doma e con paramilitari e narcos colpevoli di decine di migliaia di omicidi con i quali il dialogo non è facile. Parecchio per le classi medie urbane, un po’ poco rispetto alla Colombia profonda, ai tre milioni di ‘desplazados’, piccoli coltivatori spazzati via dai paramilitari con la scusa della guerriglia per lasciar posto all’agroindustria neoliberale.

I sondaggi poi, possono dire quel che vogliono. A volte addirittura si rilassano quando chi paga non ha più interesse a ben figurare… Per esempio quelli che concernevano la popolarità di Álvaro Uribe in Colombia sono in rapido sgonfiamento. E’ bastato che la Corte Suprema non ammettesse la possibilità di una ri-rielezione per il presidente sudamericano più vicino agli Stati Uniti perché quelle inchieste che per anni lo avevano indicato come straordinariamente popolare (fino al 70% in certi momenti) si presentassero alla stregua di un palloncino bucato scendendo in poche settimane sotto al 50 ed ora intorno al 30%. Parafrasando Giulio Andreotti si potrebbe dire che “il potere logora chi sta per perderlo” o, più plausibilmente, che i sondaggi sono un investimento per creare un ambiente favorevole. Per questo motivo non è bene sopravvalutare le inchieste che vedono Mockus superare comodamente il 40% al primo turno e battere sempre Santos al secondo. In un paese come la Colombia chi risponde ai sondaggi ha il telefono, vive in centri abitati e non viene spinto a votare (o almeno a rispondere ai sondaggi) in punta di baionetta dai paramilitari.

Chiarito questo aspetto resta la fascinazione e la speranza del candidato che viene (apparentemente) dal nulla, dall’aspetto e i modi post-moderni, che esprime “ammirazione” (poi moderata in “rispetto”) per Hugo Chávez anche se nei programmi non si differenzia tanto dagli altri candidati e afferma di appoggiare la prosecuzione del Plan Colombia, gli “aiuti” militari statunitensi con tanto di megabasi militari che invece proprio questa settimana il Brasile torna a sfidare apertamente. E’ probabile che la Colombia non si possa permettere più di un Mockus, o forse abbia proprio bisogno di un filosofo bizzarro, di un cappellaio matto che punta tutto sull’onestà e sulla legalità e che infatti è temutissimo da Uribe e dai suoi. O forse, dopo 62 anni di guerra e otto anni di uribismo più di ciò non è lecito sperare.

Gennaro Carotenuto insegna Storia del Giornalismo presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Macerata. Laureato in Storia presso l’Università di Pisa e dottore di ricerca a Valencia, Spagna, è stato prof. invitato in università in Uruguay, Cile, Tunisia.
Giornalista pubblicista, dal 1998 collabora con programmi di Radio3Rai e il trimestrale Latinoamerica dove scrive dal 1992. Ha lavorato o collaborato con quotidiani come El País di Madrid, La Stampa di Torino, La Jornada di Città del Messico. Dal ‘97 è analista di politica internazionale ed è socio della cooperativa editoriale del settimanale uruguayano Brecha.
Nel 2005 ha pubblicato Franco e Mussolini, la guerra vista dal Mediterraneo, Sperling&Kupfer, Milano. Nel 2007 ha curato il volume Storia e comunicazione. Un rapporto in evoluzione, EUM. Nel 2009 Giornalismo partecipativo. Storia critica dell’informazione al tempo di Internet.

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