Gli invisibili

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di Elisa Palmieri

In Italia, in tempi recenti, la nuova riforma del lavoro ha rivoluzionato l’intero settore. Il che vuol dire che, tra laureati e diplomati, c’è un numero sempre crescente di disoccupati senza possibilità di pensione futura e, a volte, l’esclusione dell’opportunità, per i lavoratori in part-time verticale, di usufruire dell’assegno nucleo familiare per le giornate di assenza che capitano nel periodo contrattuale di pausa lavorativa o un mutuo in banca, ci vogliono garanzie che l’individuo in questione non può concedere.
Molti hanno la risposta nell’affermare che i posti di lavoro sono tanti ed i pretendenti troppi. In tal modo, hanno favorito il ricorso ad una maggiore “flessibilizzazione” del rapporto di lavoro rispetto al modello tradizionale. Da una parte l’esigenza del così detto “mercato”, che propone la flessibilità, il che vuol dire salari più bassi, possibilità di licenziare liberamente e tutto quel che serve per sgravare nel sociale i costi di gestione delle imprese e privatizzando, invece, gli utili a favore di pochi. I teorici dell’economia politica dicevano che il libero mercato avrebbe creato da sé le condizioni per la ripresa economica, e che la flessibilità, anche nel mondo del lavoro, avrebbe portato tutti nella condizione di piena occupazione. Non era forse noto da gran tempo che la meccanizzazione avrebbe prima o poi liberato l’uomo dalla “schiavitù” del lavoro?
Ebbene, lo sta liberando. Cresce a ritmi meravigliosi e, fra non molto, se ci ostineremo a concepire questa liberazione come “disoccupazione”, i “liberati” costituiranno la stragrande maggioranza della popolazione. Qual è allora il fatto politico, il dato che può diventare elemento concreto dell’analisi reale e della proposta generale. E’ il capitale sociale, cioè il “potenziale di interazione cooperativa che la società mette a disposizione degli individui”, cioè la possibilità per tanti singoli di trovare un destino comune, una crescita collettiva. E questo non riguarda solo le condizioni generali, comuni a tutta una generazione, le pensioni o le linee generali del Welfare. Questo può riguardare anche una piccola società, dove la verticalizzazione dei rapporti sociali è ferocemente analoga al resto d’Italia e dove trovare un frammento di politica per interrompere o attenuare il circolo vizioso.
Il vero motivo è che la nostra società è costruita male, perché la scuola, per prima, non tiene conto del mondo del lavoro. Il lavoro non è programmato alle esigenze della società e si studia solo per avere un posto. Dopo pochi anni di scuola, da idealisti si diventa realisti, accontentandosi di un posto qualsiasi, favorendo il lavoro nero, che è una triste realtà, ma accettata pur di sopravvivere. Allo stesso modo i contratti di formazione lavoro e gli stages condizionati dall’elevata domanda di sfruttamento della forza lavoro da parte degli imprenditori.
L’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera aggiuntiva le membra del corpo sociale, non distruggerle.

La struttura della comunità si è trasformata, provocando un cambiamento nelle relazioni interpersonali e la radicale modifica dei modelli di vita. Nella società contemporanea si affaccia la nuova ipotesi per cui la qualità della vita non può essere affidata in esclusiva allo Stato, né essere delegata al singolo, ma è pensabile che un miglioramento dell’esistenza umana parta dal presupposto del rinnovamento della comunità territoriale. I pubblici poteri dovrebbero cercare di ottenere il raggiungimento di un grado accettabile di inflazione e disoccupazione nel paese, è inconcepibile che l’inflazione salga quando esiste un tasso elevato di disoccupazione, mettendo in campo una combinazione di politiche monetarie e fiscali legate all’offerta (sussidi e incentivi), in grado di indirizzare l’economia verso risultati possibili e certi, che migliorino tutte le grandezze economiche raggiungendo l’equilibrio del sistema economico. Il quale non darà la certezza di cancellare la disoccupazione permanente, ma potrà essere adattata al sistema economico raggiunto. Assistere il controllo diretto dei lavoratori tramite la cooperazione coordinata per le grandi e medie imprese e la gestione a conduzione familiare delle piccole imprese e delle imprese artigiane. Si dovrebbe parlare in termini di giustizia sociale e di equa distribuzione dei redditi, affinché non ci sia un regresso della società rispetto alle conquiste dei lavoratori.

I trentenni degli anni ottanta hanno avuto alla fine di quel decennio uno ‘strappo’ che ha consentito un ricambio generazionale nella politica e nell’economia. Ora, anche se certo non molleranno quello che hanno conquistato, devono gestire una mediazione generazionale, creare gli spazi per non condannare chi è nato negli anni ’70 a restare a vita una generazione a tempo parziale e trasformare invece se stessi in una gerontocrazia.
Alcuni pensano che la persona disoccupata sia pigra, sfortunata o incapace di trovarsi un lavoro; altri la considerano vittima del sistema economico, dell’ingiustizia sociale e delle contraddizioni del regime capitalistico. O è colpa delle persone o di quello che le circonda. Le aziende, dal canto loro, dichiarano, licenziando migliaia di operai, che si stanno preparando per quando ripartirà il mercato. Ma quando riparte il mercato del lavoro? Il lavoro non è solo fonte di sicurezza economica, ma anche di dignità personale e autostima. A molti è preclusa questa possibilità, negando loro entrambe. Chi non lavora rischia di essere lasciato ai margini. Non ce n’è abbastanza per tutti. Il progresso di una società si ottiene a causa della passione, impegno e serietà che si attribuisce al proprio lavoro.

Il problema dell’agire politico è il problema della “realizzazione”, ossia della trasformazione di un’idea in realtà, della costruzione di una nuova realtà. Si fonda sulla capacità della persona e della sua coscienza che deve essere formata ai principi, ma anche capace di questo atto creativo e responsabile, capace di vivere e operare in mezzo a conflitti che avanzano tra ipotesi diverse. Facciamo parte di una Comunità Europea che, per essere tutelata in tutta la sua interezza, deve far in modo da garantire alle Nazioni appartenenti la completa autonomia. Assicurando lo scambio culturale ed economico, una collaborazione volta all’assistenza, se necessaria, creando uno sviluppo che sia controllato e che non diventi monopolio, favorendo il commercio tra popoli. La società odierna non andrà avanti se prima non avrà adottato il suo nuovo codice: quello fondato sulla morale come necessità sociale e non più come valore per conquistarsi il paradiso!

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