di ALESSANDRO MARCHETTI
Ora che le principali piazze finanziarie hanno reagito positivamente, dopo due giorni di segno negativo, e che la Germania (mercoledì scorso) si è convinta della necessità di avallare un piano di prestiti bilaterali alla Grecia (con l’aggravarsi della situazione e il declassamento del rating potrebbe raggiungere persino i 120 miliardi in tre anni), è necessario fare chiarezza su alcuni aspetti opachi di tutto il dossier Grecia.
Nel raccontare, passo dopo passo, vertice dopo vertice la “tragedia greca” che in questi giorni vive l’Europa, c’è un aspetto che i media italiani
(televisione in primis) hanno fin troppo trascurato: quello che riguarda,
per così dire, gli effetti collaterali sulle tasche dei contribuenti.
Non si tratta di propinare, magari sulle solite colonne di nicchia, il lamento liberista sulla schizofrenia della governance comunitaria, che pure è la principale vittima della crisi finanziaria di Atene. Magari col rischio di scivolare nel più insidioso dei qualunquismi. E neppure di fare stecca sul coro europeista, di solidarietà verso un paese che è pur sempre membro della Uem (l’Unione economica e monetaria), il quale durante i giorni della crisi ha avuto in Giulio Tremonti il miglior capocoreuta. Tutt’altro: dicesi informazione.
Nel nostro piccolo, ci proveremo qui.
Quanto costerà all’Italia lo scherzetto della Grecia
Secondo calcoli di massima, sulla base dell’importo del prestito bilaterale concordato ormai lo scorso 11 aprile – 45 miliardi nel 2010 di cui 30 dall’Ue e i restanti dal Fondo – la crisi della Grecia costerà a ciascun italiano ben 92 euro. Lo si desume dalla quota italiana dei 30 miliardi di euro che
i paesi dell’Eurozona hanno accordato al governo di Atene, pari a
5,5 miliardi (all’incirca il 18,3 per cento). Stesso importo per i
francesi, con i 6 miliardi circa di aiuti per 65,4 milioni di persone.
Una quota inferiore di spesa pro-capite sarà a carico dei tedeschi, che contribuiranno con 8,4 miliardi di euro, e un costo pari a 103 euro per abitante. Ovvio che si tratta di semplici proporzioni in base alla popolazione, e che quindi non sarà intaccato minimamente il potere d’acquisto della moneta, almeno nel breve periodo. Nessun italiano quindi – alto, basso o medio che sia il suo reddito annuo – avrà meno spiccioli in tasca, ma di sicuro parecchi rischi per la redditività dei propri risparmi. In effetti che ne dica il ministro Tremonti, i dubbi, per le ricadute sul nostro debito, sono più che leciti. Sebbene l’asta di giovedì sui Btp (buoni del tesoro pluriennali) sia andata liscia – 12,2 miliardi di richieste a fronte dei 7,6 miliardi collocati dal ministero dell'Economia – siamo proprio sicuri che gli investitori istituzionali nei prossimi mesi saranno così fiduciosi sulla stabilità di un Paese a rischio come l’Italia?
Intanto, dopo il declassamento del rating di Spagna, Portogallo e Grecia, il prossimo a subire l’effetto domino potrebbe essere l’Irlanda.
Staremo a vedere se, nelle prossime aste, chi dovrà rinnovare Bot e titoli in scadenza si troverà di fronte interessi più alti, e uno spread (il margine fra il tasso di interesse dei titoli di Stato rispetto ai titoli del debito tedesco) non proprio promettente.
Caro Tremonti, due o tre dubbi da dissipare
Inoltre, il titolare di via XX settembre non ha ancora spiegato agli italiani (è auspicabile che lo faccia in Parlamento in sede di votazione del decreto per il finanziamento del piano) se e quanto l’intervento servirà a rimettere in riga i conti greci nel medio-lungo periodo.
Anche qui alberga più di un dubbio. Un disavanzo previsto quest’anno
al 13,6 per cento, e che appare destinato ad ulteriore peggioramento,
fa pensare a un serio, e concreto, rischio default. Siamo sicuri che
l’erogazione non servirà solo a mantenere la Grecia in condizioni
di liquidità di breve (o brevissimo) termine? E qualora la Grecia non
riesca a far fronte al debito? In proposito, dice bene un osservatore
attento e preparato come Mario Seminerio quando sostiene che “gli
esiti potenzialmente distruttivi non sono tanto per la Grecia, quanto
per la Ue, in quanto se Atene non rientrerà nei termini in modo rigoroso (rientro entro 3 anni a un tasso del 5%, ndr) il mercato sarà indotto a pensare che la Ue ha deciso di salvare tutti i propri membri in condizioni fiscali compromesse”. Il che, vista la lunga lista di possibili salvataggi (Spagna, Portogallo, Irlanda, etc.) significherebbe la morte dell’euro, il fallimento della Bce e dell’intera architettura monetaria europea.
Uno scenario catastrofico per l’Italia che meriterebbe quantomeno
di essere considerato dal ministro dell’Economia. E, di conseguenza,
scongiurato pubblicamente.