Si è aperto ieri a Thimphu, nel Buthan, il vertice dei capi di Stato e di governo della Associazione dell’Asia meridionale per la cooperazione regionale (Saarc), al quale parteciperanno anche il Primo ministro indiano, Manmohan Singh, e quello pakistano, Yusuf Raza Gilani. Le segreterie dei rispettivi Governi non si sono sbilanciate nel prospettare un incontro bilaterale indo-pakistano a margine del summit. D’altra parte è quasi naturale che Singh e Gilani si confrotino su alcune tematiche che interessano entrambi. Se così fosse, si tratterebbe del terzo vertice bilaterale tra i due Paesi dall’inizio dell’anno a oggi. Il primo si è avuto a febbraio, il secondo due settimane fa a Washington, in coicidenza con il summit mondiale sul nucleare. Al di là dei risultati finora emersi dai due precedenti incontri, va sottolineata l’inversione di tendenza fra due Paesi da sempre in reciproca avversione. Dal 2008, prima ancora degli attentati di Mumbay di novembre dello stesso anno, India e Pakistan avevano interrotto le relazioni diplomatiche, limitandosi a tenere aperte le rispettive ambasciate di Islamabad e New Delhi. La ripresa del dialogo è un merito della mediazione da parte degli Stati Uniti, i quali sono interessati affinché le tensioni fra questi due giganti centro-asiatici vengano levigate il più possibile.
Le argomentazioni trattabili tra Singh e Gilani sono di ogni tipo, sia strutturale sia contingente allo scenario geopolitico regionale di queste ultime settimane. Spesso di tende a circoscrivere il rapporto India-Pakistan al contesto afghano e alla guerra in corso. Gli stessi governi dei due Paesi sembra che abbiano preferito limitare momentaneamente il confronto a questo settore, accusandosi reciprocamente di fomentare la guerra talebana, impedendone di conseguenza la risoluzione. Il Pakistan considera il sovrastante Afghanistan un’area di “profondità strategica” da utilizzare come riserva difensiva in caso le frizioni con l’India dovessero degenerare. Escalation di questo tipo sono già accadute in passato. Dal 1947, anno di dichiarazione di indipendenza dell’India dall’Impero britannico, i due eserciti si sono scontrati tre sanguinose guerre. Dalla prospettiva indiana, l’Afghanistan appare un’opportunità per la sua locomotiva industriale, sempre alla ricerca di nuovi mercati, nonché una scorciatoia strategica per raggiungere i ricchi giacimenti petroliferi iraniani, bypassando il territorio pakistano. Non è un caso che proprio lunedì il Presidente afghano, Hamid Karzai, fosse in visita ufficiale a New Delhi e che oggi prenderà parte anche lui al summit della Saarc. Dal 2001 a oggi, l’India ha investito 1,2 miliardi di dollari per la ricostruzione del Paese centro-asiatico. È facile supporre che tra Singh e Karzai si sia ormai consolidato un rapporto di dialogo privilegiato. Una relazione questa però che certo non piace a Islamabad, il cui governo desiderebbe ottenere maggiore ascolto dal suo omologo di Kabul.
Al di là del “dossier Afghanistan”, Gilani e Singh dovrebbero anche cominciare ad affrontare questioni che paiono accantonate e che, proprio per questo, nessuno vuole che esplodano improvvisamente come problemi di difficile gestione. Il fatto di essere due potenze nucleari, peraltro molto vicine all’Iran, costituisce una fonte di preoccupazione per l’intera comunità internazionale. Il contesto di sicurezza della zona fa sì che i rispettivi arsenali militari siano un potenziale bersaglio per i gruppi terroristici legati ad al-Qaeda e alla guerra talebana. C’è poi la questione religiosa. Il Pakistan, con i suoi 170 milioni di abitanti, è un Paese schiettamente musulmano. L’India, per quanto la sua comunità islamica sia composta da 150 milioni di unità, si dichiara apertamente induista. Le due culture, unite a suo tempo sotto la Corona britannica, non riescono a trovare un punto di dialogo e di reciproca tolleranza. Anche in questo caso, l’insicurezza così elevata dell’area non facilita la risoluzione del problema. All’induismo più radicale fa da specchio un atteggiamento simile in seno all’Islam, il quale peraltro è diviso dalle rivalità fra sunniti e sciiti, le cui comunità appaiono frammentate in tutti i Paesi. Infine si arriva alla questione del Kashmir, vero casus belli della rivalità strutturale fra India e Pakistan. Dal 1990 a oggi tuttavia, sono 47 mila le vittime degli attentati che si sono susseguiti lungo la line of control (Loc); Islamabad e New Delhi preferiscono evitare il termine “confine”, in quanto incherebbe la formalizzazione di un accordo che invece manca. Gli attacchi più recenti si sono registrati fra gennaio e febbraio, a ridosso delle elezioni regionali nel Kashmir pakistano. Un’eventualità potrebbe essere che, approfittando dell’attenzione mediatica concentrata solo sull’Afghanistan, il terrorismo possa intervenire proprio sulla Loc, generando un nuovo focolaio di instabilità.
Ieri l’ennesimo attentato suicida nella città pakistana di Peshawar ha provocato la morte di 4 poliziotti. Nel frattempo a New Delhi è stato arrestato un funzionario dell’Ambasciata indiana presso Islamabad con l’accusa di aver trasmesso informazioni riservate al governo pakistano. Entrambi i fatti mettono in evidenza quanto sia sempre più necessaria la stabilizzazione di una partnership trasparente e di lungo periodo fra India e Pakistan, per l’interesse di tutta la regione.
Pubblicato su liberal del 29 aprile 2010