Sono passati sessant’anni da quel 24 maggio 1963, giorno della scomparsa di Mario Bergamo, antifascista della prima ora, repubblicano mazziniano, garibaldino e dannunziano dimenticato persino da quel Partito Repubblicano Italiano al quale si iscrisse giovanissimo.
Mario Bergamo nacque a Montebelluna, nel trevigiano, l’8 febbraio 1892 e, nel 1912, a Bologna – ove si laureerà i legge due anni dopo – fonderà l’Alleanza Universitaria Repubblicana.
Ardente interventista, partecipò volontario alla Prima Guerra Mondiale, come molti suoi compagni di partito.
Nel Partito Repubblicano Italiano fu capostipite della corrente denominata “Repubblica Sociale”, la quale mirava a recuperare l’ideale autogestionario e cooperativista di Giuseppe Mazzini.
Fervido sostenitore, anche negli organi di stampa, dell’impresa di Fiume di D’Annunzio e De Ambris, oltre che del cooperativismo, nel 1919, fonderà, assieme all’allora repubblicano Pietro Nenni ed al fratello Guido e al socialista Arpinati, il Fascio di combattimento di Bologna, abbandonandolo poco dopo nel momento in cui le idee squadriste e violente di Mussolini presero il sopravvento. Egli stesso ricevette le percosse dei fascisti e il suo studio fu più volte devastato.
Fu eletto, nel 1924, nelle file del Partito Repubblicano Italiano e, dalle colonne de “La Voce Repubblicana”, organo ufficiale del PRI, divenne uno dei più acerrimi oppositori al fascismo mussoliniano e propose la costituzione di un partito repubblicano-socialista, in grado di raccogliere le migliori forze antifasciste.
Nel 1926, accusato dell’attentato contro Mussolini, fu costretto a fuggire, assieme al socialista Pietro Nenni, prima a Lugano e successivamente a Parigi, contribuendo alla costituzione della Concentrazione antifascista, ponendo ad ogni modo come primo obiettivo l’abolizione della monarchia e la nascita della Repubblica.
Nel 1928 propugnò l’idea di costituire un’Internazionale Repubblicana e, in quell’anno, elaborò – unificando ideali repubblicani, anarchici, socialisti e comunisti – la sua teoria sul Nazionalcomunismo, che molti punti aveva in comune non solo con la Prima Internazionale dei Lavoratori del 1864, ma anche con l’esperienza d’annunziana di Fiume e con il Nazionalbolscevismo promosso dall’ex socialdemocratico tedesco Ernst Niekisch e Karl Otto Paetel, i primi a combattere – in Germania – il nascente nazismo hitleriano e a subirne le persecuzioni.
Il Nazionalcomunismo, termine ideato dallo stesso Bergamo, non era altro che un recupero del repubblicanesimo mazziniano e garibaldino originario e degli ideali della Prima Internazionale dei Lavoratori del 1864, fuso con il nascente Bolscevismo sovietico e gli ideali patriottici. Una fusione, in sostanza, fra il nazionale e l’internazionale, che avrebbe dovuto portare alla nascita di una Repubblica Sociale, antifascista e antitotalitaria.
Non sappiamo ad ogni modo se Bergamo – che sempre si definì un “socialista mazziniano” – abbia avuto rapporti, anche epistolari, con Niekisch o avesse attinto alle sue pubblicazioni (al giornale Widerstand ad esempio), ad ogni modo, anche il Nazionalbolscevismo, negli stessi anni, voleva fondere gli ideali comunisti con quelli nazionali e patriottici, in opposizione al capitalismo, al liberalismo, all’antisemitismo dei regimi totalitari nazifascisti, proponendo un radicale rinnovamento sociale di stampo repubblicano.
Negli Anni ’30, Mario Bergamo, editò la rivista “I nuovissimi annunci”, ove elaborò e diffuse le sue teorie socio-politiche e, nel 1935, a Parigi, diede alle stampe “Un italiano ribelle” (Un italien révolté), raccolta di epistole a personalità europee nelle quali egli condannava la politica coloniale fascista in Etiopia e l’ipocrisia della Società delle Nazioni.
Sul finire degli Anni ’30 aderirà alla Lega dei combattenti per la pace e, allorquando i nazisti occuperanno la Francia, sarà attivo nell’aiuto ad ebrei e antifascisti.
Mussolini gli proporrà più volte di tornare in patria, ma Bergamo rifiuterà sempre, sdegnato. Così come rifiuterà di partecipare alla redazione della costituzione della Repubblica Sociale Italiana nel 1943, che non riconoscerà mai. Il suo rifiuto del fascismo e l’opposizione allo stesso furono sempre totali e intransigenti.
Mario Bergamo, peraltro, si rifiuterà di tornare in Italia anche alla fine della guerra, ritenendo che la nuova Repubblica non avesse imparato nulla dalle tristi vicende del fascismo e non rispecchiasse affatto l’idea di Repubblica popolare e socialista propugnata da Mazzini e Garibaldi.
Diverrà, successivamente, consigliere legale dell’editore socialista e garibaldino Cino Del Duca, il quale pubblicherà, nel 1965, postumo, il saggio “Nazionalcomunismo”, che raccoglierà gli ideali socialisti e repubblicani del Bergamo.
A Mario Bergamo è dedicato un capitolo dell’agile e ottimo saggio storico “Cento foglie d’Edera”, che l’amico Renato Traquandi, repubblicano di lunghissimo corso, ha pubblicato alcuni anni fa per Book Sprint Edizioni e che ripercorre la vita e le gesta degli esponenti illustri del PRI.
Traquandi, peraltro imparentato con il celebre antifascista di “Giustizia e Libertà” Nello Traquandi, combattente e compagno dei fratelli Carlo e Nello Rosselli e di Ernesto Rossi, ricorda come Mario Bergamo amasse molto la Francia e il suo popolo e come egli teorizzasse la costituzione di una repubblica franco-italiana, unita dal comune denominatore del laicismo integrale e da una visione profondamente sociale.
L’Ideale Nazionalcomunista e Nazionalbolscevico, può essere per molti versi contiguo e finanche aver ispirato il Peronismo argentino, il Sandinismo del Nicaragua, il Socialismo arabo, jugoslavo, panafricano e quello cubano. Un ideale repubblicano e laico, che mette al primo posto l’autogestione e l’autogoverno dei lavoratori e dei cittadini.
Decenni dopo la morte di Mario Bergamo e quella di Niekisch, in Russia – negli Anni ’90 – lo scrittore Eduard Limonov, il chitarrista Egor Letov ed il filosofo Aleksandr Dugin fonderanno il Partito NazionalBolscevico, propugnatore del ritorno del socialismo in Russia e oppositore del totalitarismo liberal-capitalista di Eltsin e Putin. E, per queste ragioni, il partito sarà messo fuorilegge nel 2007 dalla Corte Suprema russa e successivamente rifondato, con la denominazione “Altra Russia”, guidato dal solo Limonov e ancor oggi perseguitato.
Mario Bergamo, benché dimenticato dai più, ci aiuta a mantenere viva la fiammella dell’ideale mazziniano e garibaldino originario, fatto di fratellanza universale senza distinzioni, superamento dei totalitarismi, visione sociale e alternativa al capitalismo, che tutto mette in vendita.
Tale visione tentò ad ogni modo di portarla avanti, in Italia, il fratello di Mario Bergamo, Guido (1893 – 1953), da dissidente del PRI, il quale riteneva la lotta di classe indispensabile per l’emancipazione delle classi lavoratrici.
Come ricorda lo storico Silvio Berardi negli Annali della Fondazione Ugo Spirito, nel gennaio 1948, infatti, Guido Bergamo costituì a Venezia, assieme a Rino Ronfini, il Partito Repubblicano Italiano Sociale (PRIS), fondando come organo giornalistico “La Riscossa”, di Treviso. Ed egli stesso si candidò, non a caso, nella coalizione del Fronte Democratico Popolare, che aveva per effige Giuseppe Garibaldi e, oltre a social-comunisti, raccoglieva anche repubblicani sociali.
Luca Bagatin