Nel 1993 venne pubblicato, in Italia, dall’editore Roberto Napoleone, un interessante saggio utile a capire – oggi – molti avvenimenti del presente, a trent’anni esatti di distanza.
“L’enigma Gorbaciov”, che può ancora oggi essere reperito in qualche mercatino dell’usato o online, scritto da Egor Ligaciov, è un saggio chiaro e illuminante.
Ligaciov, nato nel 1920 e deceduto nel 2021 all’età di 101 anni, fu figura chiave del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) nel periodo gorbacioviano, oltre ad essere stato eletto per ben tre volte deputato alla Duma, nelle fila del Partito Comunista della Federazione Russa, sia in opposizione a Boris Eltsin che al suo delfino e successore Vladimir Putin, avendone sempre criticato le politiche.
Ligaciov fu un leninista riformista della prima ora, membro del Politburo e numero due del PCUS dal 1985 al 1990.
Come racconta nel saggio stesso, Ligaciov fu fra i primi, all’inizio del 1990, a sostenere l’esigenza di garantire pluralismo e Stato di diritto in URSS e a lanciare la cosiddetta perestrojka.
Lo fu a tal punto che fu fra i primi a sostenere la candidatura di Michail Gorbaciov alla guida dell’URSS, tanto che il Corriere della Sera, in quegli anni scrisse: “Ligaciov è diventato il sostegno di Gorbaciov nella sua politica di rinnovamento”.
Del resto, risale al 1983, sotto la leadership di Andropov, la stima reciproca fra Ligaciov e Gorbaciov e la loro politica di rinnovamento e di riforma, in continuità con gli insegnamenti del socialismo e del marxismo-leninismo e in opposizione tanto alla visione stalinista che a quella liberal-capitalista.
La stima di Ligaciov per Gorbaciov era tale che, non solo sostenne la sua candidatura nel 1985 alla guida del PCUS, ma invitò persino politici conservatori del calibro di Andrej Gromyko a proporne la candidatura e a sostenerlo.
Purtuttavia, lo stesso Ligaciov, come racconta nel suo saggio di memorie, ben presto si rese conto che, quel processo di riforma che avrebbe dovuto cambiare in meglio le sorti dell’URSS, si stava trasformando nel trampolino di lancio di quelle forze che Ligaciov definisce “radicali” ed “estremiste”, ovvero forza di matrice anticomunista, nazionalista, pseudodemocratiche, che cercavano di spingere le Repubbliche Socialiste Sovietiche verso il capitalismo.
E se ne accorse in particolare in quanto, sia la riforma del sistema elettorale che del sistema economico, seguivano un’accelerazione, senza minimamente consultare l’opinione pubblica sovietica.
Un’accelerazione che portò ad ammettere, ben presto, alle elezioni, fazioni anticomuniste e antisocialiste e smantellando totalmente il sistema socialista e privatizzando pressoché in toto l’apparato pubblico, abolendo non tanto il dannoso sistema burocratico del passato, quanto piuttosto abolendo ogni forma di pianificazione pubblica e favorendo l’oligarchia privata.
Ligaciov, oltre che l’insegnante Nina Andreeva, che per prima – con una dura lettera pubblicata sul quotidiano “Sovetskaja Rossija” – si permise di criticare il corso gorbacioviano, subirono un forte ostracismo da parte dei media e degli alti vertici del PCUS di allora.
Ligaciov, in particolare, attribuisce tale nuovo corso, a quella che definisce “eminenza grigia”, ovvero a Aleksandr Jakovlev, che si porrà alla testa di tali forze “radicali” e “antisocialiste”.
Jakovlev, politico di lungo corso sovietico, come ricorda Ligaciov, lavorò a lungo in Canada all’Accademia delle scienze sociali e fece uno stage di un anno presso la Columbia University di New York.
Nel 1972 diede scandalo un suo articolo, pubblicato dalla “Literaturnaja Gazeta” dal titolo “Contro l’anti-storicismo”, nel quale sviluppò le sue idee in senso liberale e entrava nello scontro interno al PCUS fra “occidentalisti” e “slavofili”, attacando questi ultimi.
Ligaciov, nel suo saggio, in sostanza, fa presente come la politica di Gorbaciov fosse diventata eterodiretta da Jakovlev, il quale, peraltro, nel 1992, una volta bandito il PCUS, venne sempre tenuto in alta considerazione da Eltsin.
Jakovlev, fra l’altro, fu il primo a scagliarsi contro Nina Andreeva e ad aizzare i media contro tutti i critici del nuovo corso liberale intrapreso dall’URSS.
Fra questi lo stesso Ligaciov che, senza uno straccio di prova, fu coinvolto nella “tangentopoli sovietica”, lanciata dai giudici Gdlian e Ivanov.
Proprio Ligaciov che, per primo, aveva puntato il dito contro la corruzione politica in Uzbakistan e che, nel Politburo, aveva iniziato a lanciare una campagna anti-corruzione.
Gorbaciov non difese l’ex amico Ligaciov, ma tacque, per quanto, ben presto, ogni accusa contro di lui venne a cadere.
Di tutto ciò che Ligaciov si rammarica in particolare, di quegli anni, che hanno determinato peraltro la Storia delle ex Repubbliche sovietiche sino ai giorni nostri, è racchiuso in queste frasi, che riporta nel libro: “Il vero dramma della perestrojka consiste nel fatto che i suoi leader, invece di usare la normale arma della critica contro i cosiddetti conservatori, fecero loro la guerra e, impegnati in questo, non videro invece – o non vollero vedere – il vero, grande, principale pericolo che gradualmente aumentava: il nazionalismo e il separatismo”.
Di lì a poco, infatti, scoppieranno – come nell’ex Jugoslavia – i primi conflitti fra Repubbliche ex sovietiche. Aspetto, che, peraltro, non è mai cessato e continuiamo a vedere ancora oggi. Esattamente come l’avvento al potere, in tutte le Repubbliche ex sovietiche, come prospettato da Ligaciov, di leader antisocialisti e autoritari.
Nel suo saggio, Ligaciov, riporta alcuni stralci della lettera che inviò – nel maggio 1990 – al Politburo del PCUS: “Il Paese è a un bivio. Il problema è questo: o tutto ciò che è stato raggiunto, con sforzi enormi di tante generazioni, sarà conservato e sviluppato sulla base del vero socialismo, o l’Unione Sovietica cesserà di esistere e al suo posto si formeranno decine di Stati con regimi diversi.
In Lituania i nazionalisti borghesi hanno preso il sopravvento, la repubblica sta andando alla deriva e si avvicina all’occidente. Nella stessa direzione vogliono andare Estonia e Lettonia. In alcune regioni occidentali dell’Ucraina il potere è passato nelle mani dei nazionalisti. Nel Caucaso è in corso una guerra fratricida. L’alleanza socialista in Europa si è spezzata, il paese perde i suoi amici mentre si rafforzano le posizioni dell’imperialismo.
I conflitti etnici, gli scioperi, le forze disgregatrici non tengono conto delle leggi, del Soviet supremo e dei decreti del presidente, rendendo impossibile la realizzazione della riforma economica.
Bisogna convocare il Plenum del Partito e elaborare misure urgenti e concrete per battere le forze antisocialiste e separatiste, riordinare le fila dei comunisti e rafforzare l’integrità territoriale dell’URSS”.
Sappiamo bene come, invece, gli eventi abbiano preso una piega opposta, nonostante il 17 marzo 1991, la stragrande maggioranza dei cittadini di tutte le Repubbliche sovietiche (ben il 77,85%) abbia votato per la sua conservazione.
Ligaciov, in ogni caso, non incolpa la perestrojka del precipitare degli eventi. In realtà rivendica il fatto che le aperture fossero necessarie – come peraltro avvenuto nella Cina socialista dalla fine degli Anni ’70 – e come l’economia sovietica fosse sana e tutt’altro che prossima al collasso.
Egli ritiene che fosse giusto far convivere pianificazione economica e libero mercato, ma non di certo aprire alla deregolamentazione e alla privatizzazione selvaggia, come invece è avvenuto, portando non solo alla deregolamentazione dell’economia, ma anche ad un impoverimento generale della popolazione.
In questo senso egli sottolinea, nel suo saggio, come anche nei Paesi capitalisti la totale deregolamentazione dell’economia – senza pianificazione – porti al totale collasso e sia economicamente insostenibile.
Ma sottolinea come, mentre i Paesi capitalisti – per far reggere la loro economia – abbiano largamente sfruttato i Paesi sottosviluppati e le loro risorse e gli operai stranieri immigrati, i Paesi socialisti non lo abbiano mai fatto e siano e siano stati unicamente fondati sul lavoro di milioni di cittadini.
Delle frasi, nei capitoli conclusivi del testo, riassumono, in particolare, il pensiero riformista di Egor Ligaciov: “Sono convinto che il socialismo sia una delle vie che conducono al progresso universale. Come intendo io il socialismo? Una società in cui si dà priorità all’uomo e alla democrazia. La base economica del socialismo è la proprietà sociale dei mezzi di produzione, ma in forme differenziate: l’uomo vi diventa comproprietario, e vi convivono pianificazione e libero mercato.
La base politica di questo regime sono i Soviet a tutti i livelli e uno Stato di diritto. Sul piano morale è una società in cui nei valori socialisti trovano posto sublimandosi i valori individuali; sul piano sociale è un regime di giustizia sociale, privo di oppressioni e ingiustizie, una società in cui non esiste la disoccupazione e in cui a ciascuno viene garantito il diritto al lavoro”.
Luca Bagatin