Kirghizistan a rischio di una guerra etnica

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di ANTONIO PICASSO

Nella crisi del Kirghizistan si stanno aprendo gli spazi affinché il controllo delle piazze passi dalle mani dell’ex Presidente Bakiyev ai suoi oppositori. I termini dei negoziati sono che questi ultimi garantiscano l’incolumità fisica del leader deposto e della sua famiglia. Bakiyev quindi, che era stato salutato dal Paese come un nuovo “padre della Patria”, colui che avrebbe donato unità e benessere a tutti, sta trattando per scappare e abbandonare i suoi sostenitori che, negli ultimi giorni, si sono battuti nelle strade in suo nome. D’altra parte il rischio di una guerra civile rimane elevato. La situazione infatti è fluida, sia da un punto di vista della sicurezza, sia per quanto riguarda le prospettive politiche. Bakiyev, nascosto nel suo rifugio di Jalalabad, ha promesso di lasciare il Paese se le sue dimissioni venissero accettate. Può però fidarsi di chi gli sta di fronte? Il Primo ministro entrante, Roza Otunbaiyeva, ha escluso qualsiasi trattativa con “il dittatore sanguinario”, lasciando trasparire palesi intenzioni vendicative, invece che di compromesso. Il Ministro della Giustizia del Governo provvisorio, Asimbek Beknasarov, è irremovibile riguardo all’arresto dell’ex Capo dello Stato, a prescindere dal fatto che questo rimetta il mandato nelle mani delle Autorità. Ma chi sarebbero queste Autorità?

La Carta costituzionale prevede che, se il Presidente della Repubblica è impossibilitato a svolgere le sue funzioni, i poteri passino allo speaker del Parlamento, il quale dovrebbe sciogliere l’Assemblea nazionale e indire nuove elezioni. Attualmente però il Presidente del Parlamento kirghiso è a San Pietroburgo, dove si era recato in visita ufficiale prima della rivolta. E, stando a quanto di dice, non ha alcuna intenzione di tornare a Bishkek. Il Primo ministro Daniar Ussenov, che in ordine di protocollo dovrebbe assumere la leadership del Paese, si è dimesso una settimana fa. Al suo posto si è auto-installato Otunbaiyeva, le cui dichiarazioni restano inequivocabili sul da farsi. Interessante è notare che anche il vice Primo ministro del governo entrante Almazbek Atambaev sia in Russia – a Mosca per la precisione – da dove ha mostrato l’unico segno di apertura nei confronti del deposto regime. “Il Kirghizistan è pronto per le riforme che diano vita a una Repubblica parlamentare, sulla base di una nuova Costituzione, libere elezioni generali e le dimissioni ufficiali dell’ex Presidente”.
Un’altra coincidenza è che appena prima del Colpo di Stato, sulla scrivania presidenziale di Bakiyev era pronta una bozza per una riforma costituzionale relativa alla trasmissione dei poteri dello Repubblica al Responsabile dell’Amministrazione presidenziale in caso di impedimento del Capo dello Stato. La rivolta ha bloccato l’iter richiesto affinché gli emendamenti venissero approvati dal Parlamento.
Nel frattempo i ricchi imprenditori, che avevano sostenuto la presa di potere di Bakiyev nel 2005, ora preferiscono restare in disparte e attendere di doversi confrontare con un chissà quale nuovo regime. Una scelta, la loro, che fa pensare che sappiano già a chi andrà il governo del Paese. Per questo evitano di compromettersi con un leader ormai finito. Nessun gesto di eroismo quindi.

Solo le piazze restano alla mercé degli scontri etnici e clanici, che potrebbero esplodere ora che non esiste più un capo forte e carismatico capace di contenere i rancori tra i kirghizi al nord e la consistente comunità uzbeka delle regioni meridionali. Fino a ieri Bakiyev poteva contare sulla protezione armata del suo clan, che si è compattato intorno al suo capo, e l’appoggio del finanziere locale Kadyrschan Batyrov. Confrontandosi con il governo provvisorio, quest’ultimo aveva lasciato aperta la possibilità di trattare per una riforma costituzionale, sulla base delle uguaglianze etniche, nel rispetto dei diritti economici e politici di tutti i cittadini, incluso quindi l’ex Presidente. Ma il desiderio di Bakiyev di dimettersi ha reciso tutti i negoziati. Se sulla carta questa mossa appare essere provvidenziale per il Paese, in quanto buona uscita per evitare un’escalation dei disordini, l’aggressività dimostrata dal Governo provvisorio lascia pensare che le semplici dimissioni non siano sufficienti per risolvere la crisi.

Pubblicato su liberal del 14 aprile 2010

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