Le motivazioni della sentenza di Milano sono utili a chiarire il ruolo dello Stato Liberale
di PIETRO PAGANINI
Le motivazioni della condanna di Google rese pubbliche da poche ore smontano il disegno totalitario. Internet, la libertà di espressione e la democrazia non sono in pericolo, non lo sono mai stati, almeno in questa parte dell’occidente. A mettere la Libertà in pericolo sono semmai coloro che ci forniscono un’idea di Internet distorta, plasmata pericolosamente a loro immagine e somiglianza. Essi sostengono che la rete sia altro rispetto alla realtà, secondo la logica della emancipazione sociale espressa dalla teoria marxista. Confondono la Libertà con l’assenza di regole, nella presunzione che tutti agiscano allo stesso modo. La loro è una visione totalitaria; ma è anche una visione egoistica perchè della rete pretenderebbero di essere i padroni. Tale pensiero è tanto povero di idee quanto vecchio di secoli. Esso è il retaggio e la conseguenza del “berlusconismo”, cioè dell’idea che la libertà di espressione sia continuamente e ovunque messa in pericolo. Il “berlusconismo” è una delle ragioni del problema, non illudiamoci perché il problema esiste a prescindere dal “berlusconismo”. Mi chiedo infatti perché essi, così attenti alla libertà di espressione, non si preoccupino anche, del diritto alla dignità della propria persona, che è un diritto individuale fondamentale, e quindi una libertà: difendere la propria libertà e, nel caso in questione, la propria privacy, il diritto di essere lasciati in pace.
Rispetto al passato tuttavia, c’è una novità: ieri era lo stato centrale a rappresentare l’idea del mondo, oggi questa è rappresentata da una corporazione che vende annunci commerciali attraverso un modello economico tanto intelligente quanto subdolo: sono gli stessi fruitori della pubblicità, gli utilizzatori del motore di ricerca, infatti, ad alimentarne il successo, fornendo dati accurati sul proprio conto ad ogni ricerca effettuata. Sono i nostri dati personali, la “moneta” dello scambio, molto spesso inconsapevole.
Ripetiamolo, Internet, che lo si consideri uno strumento di comunicazione o uno spazio a se, non è “altro” rispetto a quanto gli individui fanno nella realtà contingente. Come nella realtà, così anche in rete la Libertà è plurale e alla libertà di espressione corrisponde la libertà di tutelare la propria dignità.
Le ragioni della sentenza si sono dimostrate molto più Liberali di come, in pochi, avevamo ipotizzato. Il plauso va ai giudici, quindi, per lo sforzo e il coraggio nell’affrontare per primi un caso originale quanto complesso. Non era facile produrre una sentenza del genere in un clima globale poco propositivo dove si tende a stravolgere il dibattito per scopi commerciali e politici. La Corte di Milano ha di fatto applicato la norma esistente dimostrando al contempo che l’impianto normativo in essere non è sufficiente per legiferare in un ambito sempre più nuovo come quello di Internet. Sono stati gli stessi giudici infatti a sottolineare la necessità di una legislazione transnazionale capace di rispondere alle istanze proposte dalla complessità globale di Internet.
La rete non è un’azienda sola, Google, e non è nemmeno il parco giochi di alcuni pionieri della nuova rivoluzione totalitaria. Se la rete è un’autostrada, come è stato affermato, ha delle regole come tutte le arterie stradali, siano esse di comportamento o di sicurezza. Chi ha sostenuto che la società che gestisce le autostrade non è responsabile per gli incidenti tra automobili, si sbaglia. Chi costruisce e gestisce le strade, su cui per altro applica una tassa, si deve attenere a norme e principi di sicurezza che può applicare passivamente o proattivamente. I partigiani dell’idea totalitaria di Internet non si devono scandalizzare se per un incidente (il ragazzino disabile schernito da alcuni coetanei) si sanziona il gestore della rete. Così come ci sono i cartelli stradali di avviso pericolo, che sia nebbia, alci, dossi, messi dalla società che gestisce l’Autostrada, per ridurre il rischio di incidenti, così come si chiudono le strade pericolose per evitare rischi eccessivi, così Google avrebbe dovuto avvisare del pericolo. Non lo ha fatto. Non solo, avrebbe negato persino la verifica, e peggio, avrebbe tentato di nascondere la propria responsabilità – almeno stando al Giudice. Avrebbe fatto meglio a chiedere scusa per il mancato segnale e a metterlo in piedi immediatamente. Ma forse il cartello scoraggia il traffico e perciò il balzello al casello?
A questo va aggiunto che Google non è certamente esempio di trasparenza, vista la propaganda elargita durante e dopo un processo svoltosi a porte chiuse su sua richiesta. Non è nemmeno un esempio di Libertà, vista l’idea totalitaria che promuove attraverso il tentativo di monopolizzare il mercato, non solo della pubblicità – fondato sui dati degli utenti – ma, più pericolosamente, del sapere.