Finora, non c’è stata quasi nessuna serie che mi abbia tenuta sveglia la notte, fino al momento in cui mi sono stata costretta a dormire. Caliphate, un dramma svedese in otto parti, su Netflix, ci riporta in Siria con dettagli vividi e avvincenti. La serie privilegia il nostro senso di realtà e ci trascina negli orrori dell’estremismo religioso. Anche se non siamo nuovi alla radicalizzazione e all’estremismo religioso in nome dell’Islam, attraverso Al-Qaeda o ISIS, Caliphate (Goran Kapetanović, 2020) è una serie che ci lascia con il cuore stretto in gola, in uno stato di incredulità a causa degli eventi che descrive e non si può fare a meno di guardare vite innocenti che vengono distrutte. La serie svedese “Caliphate” inizia in Siria con Pervin e altre donne che vengono rinchiuse in una piazza. Un uomo viene trascinato a un tavolo, il suo braccio poi viene teso su di esso; alle donne viene detto di distogliere lo sguardo. Quindi un uomo in piedi, accanto al tavolo, tira fuori una mannaia, la solleva e taglia la parte inferiore del braccio dell’uomo. Il thriller è basato su un attacco terroristico in Svezia e ruota, in parte, sul personaggio di Pervin ma anche su un affascinante insegnante (assistente educativo) svedese, che segretamente recluta miliziani per l’ ISIS. Pervin è sposata con Hasum, membro dell’ISIS di Raqqa, uno svedese musulmano. Pervin viene a conoscenza dell’attacco terroristico mentre l’ambiziosa agente dei servizi di intelligence svedesi, Fatima, le dice che ha bisogno di saperne di più in cambio di un passaggio sicuro fuori dalla Siria. Mentre tenta disperatamente di farlo, rischiando di essere scoperta, la vita di Pervin diventa la materia di un incubo. Prodotto da Filmlance (“The Bridge”) per l’emittente svedese SVT, venduto da Endemol Shine International e uscito il 12 gennaio 2020 su SVT, “Caliphate” è basato su un’idea di Wilhelm Behrman, che ha creato la serie insieme a Nikolas Rockström. Diretto dal regista premiato con Guldbagge Goran Kapetanovic (“My Aunt in Sarajevo”), la serie segna il seguito di Behrman e Rockström del thriller poliziesco “Before We Die”, un grande successo per SVT. Girato a Stoccolma e in Giordania, il thriller in otto parti mantiene una tensione al limite mentre gli eventi sembrano avviarsi verso l’attacco terroristico in Svezia e la difficile situazione di Pervin che, in Siria, sembra sempre più pericolosa. “Califfato” è la dimostrazione di come il fondamentalismo religioso possa sedurre gli individui e distruggerne la vita. Sembra una struttura perfetta per mescolare sia il dramma psicologico che il tocco da thriller. È una serie vicina alla verità ed è in parte basato su una storia di vita reale. Questo è ciò che ci tiene svegli la notte. In parte, è un thriller inquietante su un grave attacco terroristico sul suolo svedese, dal suo concepimento a Raqqa, per mano dell’Isis, fino alla sua esecuzione. Il tutto è progettato da un mix di ragazzi locali radicalizzati e assassini dell’Isis incalliti, arrivati in aereo dalla Siria. In parte, è una rappresentazione affascinante e plausibile di cosa significhi essere un immigrato musulmano in Svezia e di quanto sia facile essere sviati ed ingannati.
Trama: Gli episodi iniziano con una giovane ragazza, Pervin (Gizem Erdogan), che dalla Svezia è andata a vivere a Raqqa, in Siria, con il marito, Husam (Amed Bozan), e la loro neonata. Dopo che la loro vicina è stata portata via dall’ISIS, per costringerla a risposarsi, dopo la morte del marito, spaventata per la sua vita perché anche Husam è un membro dell’ISIS, Pervin chiama Dolores Costa (Monica Albornoz), un’ attivista anti-radicalizzazione con il cellulare che la sua vicina le ha regalato. Pervin cerca aiuto per tornare a casa in Svezia. Dolores a sua volta la mette in contatto con Fatima (Aliette Opheim) che lavora con le forze di sicurezza svedesi. Fatima accetta di aiutare Pervin, a condizione che lei controlli le mosse di suo marito e di parlarle di un attacco terroristico imminente contro la Svezia. Pervin accetta di spiare ma a caro prezzo per la sua sicurezza. In Svezia due ragazze delle superiori, Sulleikha “Sulle” Wasem (Nora Rios) e Kerima (Amanda Sohrabi) subiscono il lavaggio del cervello da parte del loro “assistente educativo”, Ibrahim “Ibbe” Haddad (Lancillotto Ncube), affinché si radicalizzino e vadano in Siria. Ibrahim ha anche reclutato due svedesi musulmani convertiti, i fratelli Jacob (Marcus Vögeli) ed Emil Johannison (Nils Wetterholm), per usarli in un attacco terroristico di cui è la mente.
Il messaggio politico e sociale della serie:
La trama della storia sottolinea molti temi. Nonostante il tema principale sia l’estremismo religioso, la serie offre uno sguardo sulla vita delle persone impegnate su entrambi i fronti, i radicali e i, così detti, “liberali”, o comunque coloro che non credono nell’oppressione islamica attraverso la violenza. Non bisognerebbe confondere la serie con una rappresentazione ideologica dell’Islam, un Islam messo in cattiva luce. Al contrario, la serie rappresenta efficacemente le diverse “correnti” o “interpretazioni” dell’ Islam. Si mette in discussione la diversa interpretazione che ne viene fatta dalle persone più disparate, l’interpretazione dell’ Islam da parte degli estremisti, degli idealisti e dei, così detti, “progressisti”. In un certo senso, la religione lega insieme i personaggi ma sono solo le azioni delle persone a incidere la storia, non la religione. Così, anche all’interno dell’unica prospettiva dell’Islam, emergono molti conflitti, attraverso le ideologie e le identità. La Svezia è considerata il miglior paese quando si tratta di migranti e rifugiati provenienti da altri paesi, la maggior parte dei quali proviene da paesi islamici dilaniati dalla guerra. Eppure, anche se i confini sono accoglienti, il governo o il popolo potrebbe non esserlo. Essendo un paese in cui prevale la laicità e un certo cristianesimo, persistono problemi culturali di “inferiorizzazione” tra le minoranze religiose, anche se l’Islam ora è la seconda religione seguita nel paese. Molte persone ritengono ancora che l’afflusso di musulmani stia creando problemi nel paese, questo si presenta come un problema quando una nazione laica viene lacerata dalla sua stessa gente a causa degli stereotipi. La serie solleva, in modo molto sottile, la questione della crisi di identità, attraverso la rappresentazione dei suoi personaggi. Mentre Pervin affronta la crisi della sua libertà contro la paura di tradire suo marito, Sulle mal colloca la sua angoscia di essere una musulmana e una donna “brown”, in un paese bianco, prevalentemente cristiano, e mostra ingenuità e infantilismo quando dovrebbe mostrare perspicacia e malizia. Fatima vuole mettersi alla prova, essendo una donna nelle forze di polizia, una donna “brown” e una musulmana discriminata e “mobbizzata”, mentre Kerima vuole una tregua dal padre alcolizzato, e quindi ripone la sua fiducia in Ibbe che la radicalizza, sotto le false spoglie di uomo fintamente premuroso e altruista. I profili dei personaggi della serie sono stati creati in modo molto intelligente. Nessuno è dipinto nei toni del nero o del bianco, tutti i personaggi sono nei toni del grigio. Pertanto, la serie diventa molto più credibile poiché i personaggi sono a più dimensioni. Anche il personaggio che viene presentato al pubblico come il cattivo della serie presenta dei dubbi, quando si tratta della sua personalità. La serie descrive anche una falsa pista attraverso il personaggio che crediamo sia il supereroe, ma il climax rivela una visione molto diversa della storia in cui siamo arrivati a credere. La storia prende forma principalmente attraverso narrazioni femminili, poiché il punto focale della serie sono le storie di Pervin, Fatima e Sulle. Alle donne è stata data l’autorità di fare scelte in situazioni tragiche, di esprimere la propria opinione, benché sotto scacco, plasmando la storia in una prospettiva di resistenza e di rivendicazione, che oserei definire “femminista”. Non posso menzionare nessun attore o attrice individualmente per aver recitato bene, poiché tutti gli attori si sono esibiti con la massima brillantezza. Eppure, sento che le stelle più brillanti della serie sono Gizem Erdogan che ha interpretato il personaggio: Pervin, e Simon Mezher che ha interpretato Sulleiman Wassem. Con Pervin, ho potuto percepire la sua frustrazione di essere bloccata in un paese in cui la libertà non è menzionata nel dizionario delle donne. Le sue lotte sono personali e il pubblico si sente attaccato a lei, attraverso la sua trama intimista. Sulleiman Wassem vuole ciò che è bene per le sue figlie e, così facendo, imprime loro le sue ideologie riguardo alla religione, esprimendo dissenso e rabbia quando vogliono scegliere da sole ed è questo che incoraggia l’angoscia di Sulle. L’oscurità persiste per tutta la serie e quindi anche le parti soleggiate sembrano offuscate. Guardando “Califfato”, ero sempre in apprensione: mi ha offerto una sbirciatina realistica e concreta nel mondo dell’estremismo religioso, senza la propaganda dei media. È una serie a più strati, proprio come una cipolla, che mostra le realtà sottostanti dell’essere musulmano all’interno di due ideologie polarizzate. Il film politicamente è molto interessante giacché non è affatto una specie di orribile apologia scandinava della sinistra liberale, sul terrorismo islamico. I jihadisti dell’Isis che incontriamo a Raqqa sono prevalentemente ragazzi disadattati, perdenti o psicopatici che si eccitano con le armi, con gli stupri, la misoginia autorizzata e l’ ultraviolenza; i loro simpatizzanti, in Svezia, sono sinistri, cinici e subdoli. Inoltre, il film evidenzia anche verità politiche molto scomode, sia per la destra e che per la sinistra liberale: la maggioranza degli estremisti religiosi dell’ Isis sono nemici giurati di Bashar Al Assad (il presidente siriano tanto odiato dall’ Occidente liberal-liberista): la serie non lo nasconde affatto. Tuttavia, si comprende anche la facilità dell’ Isis nell’ attirare nuove reclute, essendoci vere e proprie “talpe” (che lavorano in segreto) all’ interno dell’ apparato statale svedese (come di ogni altro paese “liberale” e occidentale). Reclute come Pervin, la dolce sposa turco-svedese dell’ Isis, che incontriamo per la prima volta a Raqqa, desiderando ardentemente che possa scappare. Poi le si presenta un’opportunità quando un’amica le regala un telefono illecito e lei parla con i servizi segreti svedesi. Sono quasi troppo tese per essere guardate, le scene in cui, per cercare di salvare se stessa e la sua bambina, Pervin deve spiare la cellula del terrore Isis, suo marito, sfogliando il suo taccuino; cercando di entrare nel suo laptop quando è mezzo addormentato, poi si sveglia da un incubo sulle atrocità a cui ha assistito; sussurrando al telefono (“Con chi stavi parlando?”), quando la scoperta si tradurrebbe in una condanna a morte quasi istantanea, probabilmente per decapitazione. E ciò che rende la serie ancora più agonizzante è la verosimiglianza chiaramente ben studiata: tutto, dalla finta spavalderia dei jihadisti, mentre si siedono in un internet cafè di Raqqa, apertamente, senza mettersi al riparo da un attacco di droni, alle tecniche seducenti di Ibbe, il musulmano “figo”, assistente educativo in una scuola superiore per stranieri, in Svezia, che è segretamente un reclutatore dell’Isis, infiltrato nello Stato Svedese. Ibbe si nutre come un vampiro della sfrontatezza, dell’insicurezza e della fragilità emotiva delle ragazze adolescenti, affinando la loro sublimata brama per lui in un fanatico zelo religioso. Normalmente questa sarebbe solo una fase passeggera, ma poiché sono musulmani nella terra dei kuffar, Ibbe può armare questa ribellione e questo risentimento ormonale. Le sue antenne sono sintonizzate per individuare candidati promettenti: una ragazza ha un padre ubriaco e violento traumatizzato dalla guerra in Cecenia; un’altra è irritata dall’apatico secolarismo dei suoi genitori, che considera un affronto in un mondo in cui i musulmani sono così mostruosamente oppressi. Ibbe fornisce collegamenti a siti di ulteriore interesse, come uno – con una voce fuori campo americana proprio come si sente nei normali documentari americani – che spiega che l’11 settembre 2001 è stato un complotto di Israele e degli Stati Uniti per portare avanti la loro missione di soggiogare l’intero mondo islamico. È tutto spaventosamente plausibile. Temevo che questa serie potesse essere piena di ogni sorta di incomprensioni, imprecisioni ed errori. In effetti, è stata ben studiata, fino a elementi più sottili come la distinzione tra jihad al-akbar e jihad al-asghar, usando entrambi i termini in arabo. O il termine fard (dovere) senza traduzione. Il ritratto dell’ISIS a Raqqa mi è sembrato molto convincente, basato com’era su film e reportage autentici. La serie presenta la vita tormentata e claustrofobica di cinque donne. Queste donne hanno tutte una cosa in comune: opportunità di vita limitata. Sulle viene “colpita” (quanto affascinata) da un colpo di stato in una misogina Raqqa, in Siria; A Fatima viene negata la promozione sul lavoro, in Svezia, a causa di un collega ostile e invidioso; Sulle pensa che la scuola sia solo una farsa e che il miglior lavoro, che i devoti musulmani possano ottenere in Svezia, sia solo quello di fare le pulizie; Miryam, che Ibbe recluta per l’attacco terroristico, non può avere figli. Pervin vive come se fosse in ostaggio, in una Raqqa che sembra un carcere a cielo aperto. Kerima subisce le violenze un padre alcolizzato e disadattato. Questo senso di limitazione è semplicemente casuale? Ma il limite di Sulle è la sua mentalità più che la realtà, è una studentessa brillante e ha due genitori amorevoli ma si considera ancora una vittima in un mondo che non la comprende, fino in fondo, in una società che percepisce come omologante, indifferente e apatica. Una società che, appiattendo tutte le identità, stimola solo il sorgere di identità “difensive” fittizie quanto fintamente “radicali” (in realtà, strumentali al potere dominante) come, appunto, il terrorismo islamico. Nel 2015, il Nord Europa ha vissuto un’enorme crisi di profughi. Contemporaneamente, molti ragazzi disadattati, poco integrati, e insofferenti verso la stessa società che li ha accolti, nutriti ed educati, si sono uniti all’Isis, nel giro in un paio di anni. Inoltre, il terrorismo è diventato una realtà, a quel tempo, con attacchi mortali sia in Svezia, sia in Norvegia che in Danimarca. La serie ha ricevuto recensioni entusiastiche e ha ottenuto il maggior numero di recensioni, nel suo primo mese sul servizio televisivo svedese SVT. Sulla piattaforma Netflix, è diventato rapidamente uno degli spettacoli più popolari.
Maddalena Celano