di GIOVANNI RADINI
Come un’impresa rivoluzionaria potrebbe trasformarsi in un Grande Fratello, monopolista dell’informazione e della pubblicità, con conseguenze imprevedibili
Non è che Google stia diventando troppo grande, o, secondo alcuni, troppo arrogante. L’impressione è che la rivoluzione culturale dei giovani della Silicon Valley stia per trasformarsi, secondo la perfetta tradizione storicista, in una dittatura egemonica di un’ideologia ben precisa. Google spaccia per libertà – la “libertà della rete” – quella che è la propria, e dei suoi inventori e promotori, idea di libertà. La libertà di Google non è la pluralità di libertà di Dahrendorf. L’idea di libertà di Google è fortemente connessa ad un preciso modello economico, tanto straordinario quanto, all’occorrenza, pericoloso. Un’altra rivoluzione culturale ci attende: il “grande fratello” non è più incarnato da un Governo, ma da una corporazione, secondo l’accezione corporativa medievale.
Sono molti i fattori che dovrebbero farci riflettere, tanto pratici quanto significativi.
Già agli albori del meritato successo imprenditoriale, i fondatori di Google ci hanno fornito degli obiettivi ben precisi dei quali era già possibile immaginare le conseguenze. Ci siamo lasciati affascinare dallo slogan “don’t be evil” dimenticandoci di uno dei principali obiettivi aziendali, quello di catalogare l’intero sapere. L’intento potrebbe essere lodevole, perchè si vuole consentire l’accesso al sapere a tutti, in ugual misura. Le conseguenze – in questo caso inintenzionali di azioni intenzionali – potrebbero essere molto diverse, come ci ricorda Hayek. Infatti, Google è oggi il monopolista indiscusso non solo della pubblicità, questione della quale si sta occupando la Commissione Europea, ma anche – e peggio – della gestione del sapere. Non è poco, anzi. Tra l’altro, e questo aggrava la situazione, sono sempre più evidenti le prove che dimostrerebbero la scarsa neutralità dell’algoritmo di ricerca Google. Mentre i paladini della libertà unica e inscindibile della rete si battono per la neutralità della rete, dimenticandosi che la rete non è un concetto astratto ma corre per cavi ed antenne – della cui capienza e gestione dovremo prima o poi tener conto – solo in pochi si preoccupano di come sono gestite le ricerche e di conseguenza i criteri con cui gli utenti accedono a tale sapere condiviso – mica tanto.
Sarebbe sufficiente per essere profondamente preoccupati. I veri nemici della rete sembrano essere coloro che vorrebbero imporre il proprio modello di rete. Sono gli stessi che qualche settimana addietro si sono scatenati contro il tribunale di Milano per la condanna dei tre dirigenti di Google. Nessuno ha ancora letto le motivazioni della sentenza – dal momento che non sono ancora pubbliche – eppure in molti hanno già gridato alla la fine della libertà di espressione.
In pericolo invece non è la libertà di espressione, ma la trasparenza. A cominciare dal processo, al quale pubblico, media, esperti e fanatici della rete non hanno potuto assistere, su esplicita di Google affinchè si tenesse a porte chiuse.
Il processo tra l’altro, come lo stesso Giudice ha spiegato in una lettera pubblicata di recente, non si è occupato di libertà di espressione della rete, ma di privacy e di questioni economiche, dal momento che – non scordiamolo – Google opera, lecitamente, per produrre profitti. Il processo e la sentenza hanno a che fare quindi con il diritto alla privacy e con la mancanza di rispetto di alcune norme da parte di Google. Non è necessario approfondire la questione privacy, perchè la mancanza di un processo di ricerca neutrale e il dominio quasi assoluto nella gestione dei dati e della pubblicità, mettono in serio pericolo la nostra privacy e il nostro diritto ad “essere lasciati in pace”. E siamo solo all’inizio.
Secondo il gigante californiano questi che per noi sono incomprensibili abusi di mercato, servono a migliorare la qualità del servizio offerto, ed innovare. L’innovazione è un atto individuale e condiviso in un ambiente libero e senza regole. In verità Google cerca solo di imporre le proprie regole, per il controllo totale del mercato. Questa stessa azienda sta oggi investendo infatti in infrastrutture per la banda larga di nuova generazione, in impianti di energia rinnovabile e in molte altre attività. Tutto questo ha il chiaro scopo di creare tanti piccoli monopoli e di garantirsi una struttura completamente autonoma e indipendente da altri fornitori di servizi. I segnali sono quelli di una corporazione che vorrebbe erigersi a istituzione globale. Non succederà, ma prevenire è sempre meglio di curare. “Don’t be evil”, che eufemismo.