Il fine settimana appena trascorso è stato testimone di una nuova strage di cristiani in Nigeria. Come già successo a gennaio e negli anni passati, il massacro è avvenuto nella regione di Jos, pressoché al centro del Paese. Questa volta si contano almeno 500 morti, fra donne, bambini e anziani, 200 in più rispetto a quelli di un mese e mezzo fa. La popolazione inerme dei villaggi che fanno da cintura alla città di Jos, abitati prevalentemente da cristiani, è stata fatta oggetto di un assalto plurimo da parte di bande armate di machete e kalashnikov. Saccheggi, incendi e correlati omicidi, che a questo punto possiamo considerare di massa, hanno scritto le pagine di cronaca di questi ultimi giorni in Nigeria.
A dispetto delle attese proteste però, l’Arcivescovo della diocesi locale, monsignor Ignatius Ayau Kaigama, ha invitato tutti a mantenere la calma. Ha sottolineato che dall’accaduto non si deve arrivare alla conclusione sbrigativa e semplicistica di uno scontro religioso, che sarebbe in corso nella regione. Anzi, l’opinione del prelato – in linea con quella di alcuni osservatori locali – è che la strage sia da vedere più come un regolamento di conti fra bande e tribù rivali. Si tratterebbe di scorribande da parte di miliziani fulani e hausa, i gruppi etnici dominanti in Nigeria, scesi dalle montagne per fare razzia nei ricchi ma indifesi villaggi della regione. L’ammonimento di monsignor Kaigama è plausibile. In un contesto tribale come quello nigeriano – dove è in netta crescita il traffico di armi –non si può pensare di poter spiegare tutte le espressioni di violenza come un rigurgito di guerre di religione. Si resta però sconcertati di fronte ad altre parole sempre di Kaigama, quando dice: “ogni cosa viene letta in chiave religiosa. Anche se due persone litigano al mercato, certi giornali tirano in ballo la loro fede come motivo del litigio”. In questo senso è difficile ridurre i recenti 500 morti a un “litigio in un mercato”.
Questa sorprendente tendenza a minimizzare l’accaduto, da parte di Kaigama, può avere lo scopo attenuare gli odi e le rivalità. Appare incisivo infatti il suo invito a “evitare un linguaggio che inciti gli animi, bensì predicare la pace e la riconciliazione”. Oltre agli interlocutori locali però, quella dell’arcivescovo di Jos appare come un’osservazione relativa all’intera area nigeriana e non solo. Per una serie di vicissitudini disconnesse ma coincidenti fra loro, il contesto sub sahariano sta tornando a essere una zona di crisi elevata. I miliziani di al-Qaeda dal Maghreb e dal Sahel si starebbero espandendo verso sud, in direzione proprio della Nigeria, con l’intenzione di creare nuove cellule terroristiche, ma soprattutto per destabilizzare un Paese già di per sé precario, ma strategico per le sue ricchezze di petrolio e gas. Allo stesso tempo va ricordato il golpe di cui è stato testimone il vicino Niger. Anche questo appare come un fattore di pericolo per tutta la zona. Infine l’attenzione dev’essere rivolta ad Abuja. Qui da oltre quattro mesi il futuro della stabilità del governo federale rischia quotidianamente di essere messa in discussione.
A novembre il Presidente Umaru Yar’Adua è stato ricoverato in una clinica in Arabia Saudita per un intervento cardiochirurgico. La sua prolungata assenza dal Paese ha innescato le proteste dell’opposizione, la quale ha chiesto al vice-Presidente, Goodluck Jonathan, di assumere il controllo del Paese, praticamente destituendo Yar’Adua. Il repentino rientro in patria di quest’ultimo dieci giorni fa ha evitato che anche la Nigeria fosse vittima di un palese Colpo di Stato. Permangono tuttavia le tensioni fra la Presidenza, l’opposizione e il vice Presidente Jonathan, le cui capacità di temporeggiatore hanno eluso un’escalation. Di fronte a tutto questo, appaiono chiare le intenzioni espresse da Kaigama in nome di tutte le comunità cristiane locali. Se nell’area dovesse accendersi una miccia di violenza, i cristiani non vogliono passare come i responsabili della stessa. Possono esserne le vittime, ma non i fautori. Meglio quindi, secondo questo vescovo tanto realista, minimizzare il peso di 500 morti e farli passare come un episodio di “litigio”, piuttosto che fomentare l’odio contro l’Islam presso la sua diocesi.
Pubblicato su liberal del 9 marzo 2010