Caso Cicala: Aqmi concede altri 25 giorni

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[riportiamo l’articolo scritto dal nostro amico Antonio Picasso così come pubblicato su liberal del 2 marzo 2010]

di ANTONIO PICASSO

Altri 25 giorni. Questa la proroga che i rapitori di Sergio Cicala e di sua moglie Filomen Kabouree, originaria del Burkina Faso, hanno concesso ieri al Governo italiano, allo scadere dell’ultimatum. Il gruppo tuareg jihadista, che ha rapito Cicala il 18 dicembre nel Mali settentrionale, si è deciso a posticipare l’ultimatum in attesa delle reazione al video postato su internet due giorni fa, in cui il nostro connazionale chiedeva l’immediato soccorso delle autorità italiane. Per Roma si tratta di una boccata di ossigeno, che permette ai negoziatori sul posto di continuare le trattative. D’altra parte chi si fida di al-Qaeda?

Dopo la diffusione del comunicato di ieri infatti, sono giunti i commenti dei sostenitori di al-Qaeda sul web che invece insistevano affinché i rapitori procedessero “alla decapitazione degli ostaggi perché il Governo italiano non ha rispettato le richieste”. Quest’ultime prevedrebbero la liberazione di alcuni combattenti tuareg detenuti nelle carceri di Bamako. Cicala stesso aveva implorato Napolitano e Berlusconi affinché intercedano con le autorità maliane e risolvano questa crisi che si sta prolungando da quasi tre mesi. Roma, pur muovendosi con la massima cautela, è vincolata dalla necessità di mantenere un atteggiamento di irreprensibile fermezza nei confronti del gruppo terroristico. La lotta ad al-Qaeda nella regione impegna i governi locali, soprattutto quello algerino, in un confronto quotidiano che necessita l’appoggio dei partner occidentali. Se uno di questi, per vie unilaterali, cedesse ai ricatti del gruppo terroristico, buona parte degli sforzi collettivi finora spesi per contrastare il fenomeno risulterebbero vani. Roma, in questo senso, non può spezzare la catena. D’altra parte, vuole evitare il sacrificio di due nostri connazionali. Nella medesima situazione si trova la Spagna. Dal 29 novembre dello scorso anno infatti, anche tre volontari dell’Ong catalana “Acciò Solidaria” sono caduti nelle mani dei combattenti tuareg. In questo caso però il riscatto chiesto a Madrid è meramente economico: 5 milioni di dollari, secondo le fonti locali. Stando alla stampa spagnola, il governo Zapatero sarebbe orientato ad accettare lo scambio. I due governi europei si trovano di fronte a un problema simile, ma nato da cause differenti.

“Acciò solidaria” è, dalla sua fondazione nel 1995, un’organizzazione impegnata nella lotta all’Aids soprattutto in Africa. Per questo i suoi volontari pagano lo scotto di confrontarsi con realtà culturali, per esempio quella tuareg, che spesso si dimostrano restie al dialogo con i rappresentanti del mondo occidentale. Cicala a sua volta è celebre nel mondo degli “esploratori del Terzo millennio” per le sue avventure nelle quali già in passato aveva rischiato la vita. Nel 1994 nel deserto del Ciad, la sua jeep saltò su una mina. Cicala fu l’unico superstite dell’incidente. L’impegno sociale degli spagnoli e l’avventurismo individuale questa volta si sono però scontrati con lo stesso avversario. “Al-Qaeda per il Maghreb Islamico” (Aqmi) si è radicata nelle province settentrionali del Mali, al confine con l’Algeria e la Mauritania, stringendo alleanze con alcune tribù berbere, in particolare quelle tuareg, contrarie ai rispettivi governi nazionali, dei quali non riconoscono né l’autorità né tanto meno i confini fittizi disegnati sulle carte geografiche. Nella precarietà della situazione però, emergono due elementi che potrebbero giocare in vantaggio del Ministero degli Esteri italiano e di quello spagnolo. Da una parte la proroga di 25 giorni dell’ultimatum per la liberazione di Cicala, dall’altra i 5 milioni di dollari chiesti in riscatto degli attivisti di “Acciò solidaria”. Entrambi gli elementi suggeriscono che i sequestratori preferiscano ottenere un riscatto, anche negoziandolo, piuttosto che eliminare i rapiti.

In altri contesti, per esempio in quello iracheno e soprattutto oggi in quello afghano-pakistano, l’inflessibilità di al-Qaeda ha portato al fallimento delle negoziazioni e quindi alla morte dei sequestrati. Iniziando con Daniel Pearl nel 2002 a Karachi, in Pakistan, non si conta più il numero delle tante persone prima rapite e poi decapitate. In tutti i casi, l’“esecuzione capitale” è la conseguenza della mancanza di rispetto dell’ultimatum imposto dai rapitori. Ma soprattutto è un gesto dimostrativo di al-Qaeda, la quale vuol far vedere così che non è disposta a concedere dilazioni. Il caso dei sequestrati nelle mani di Aqmi sembra invece offrire proprio queste ultime. La proroga di 25 giorni può significare che i rapitori sarebbero disposti a trattare, trasformando quindi le loro istanze di liberazione dei detenuti in richieste economiche, come nel caso spagnolo. Da qui la deduzione che i tuareg alleati con al-Qaeda siano molto più malleabili rispetti alle tribù pashtun dell’Afghanistan, o ai guerriglieri sunniti in Iraq. La chiave di volta, ma soprattutto la speranza per la liberazione di Cicala e di sua moglie risiede nella capacità, da parte dei nostri uomini dell’intelligence attivi sul posto e delle loro fonti locali, di aumentare il gap che sussiste fra i guerriglieri tuareg e il jihadismo che al-Qaeda vuole loro trasmettere.

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