Non c’è più alcun dubbio.
Dopo il riconteggio dei voti – a più di un mese dal secondo turno elettorale – è confermata la vittoria alle elezioni presidenziali del maestro elementare marxista-leninista Pedro Castillo, che sarà il nuovo Presidente del Perù.
Castillo, 51 anni, leader della coalizione socialista populista “Perù Libre”, ha ottenuto il 50,12% dei consensi e batte la conservatrice di destra Keiko Fujimori, figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori, che – con “Forza Popolare” – ha ottenuto il 49,87%.
A decretarlo è stata l’autorità elettorale competente per l’esame dei ricorsi, il cui esito è stato accettato anche dalla stessa Fujimori, che aveva fatto ricorso.
Pedro Castillo entrerà in carica il 28 luglio prossimo e ha promesso l’istituzione di un’Assemblea Costituente e la redazione di una nuova Costituzione, democratica e inclusiva. Oltre a ciò ha in programma un’agenda di lotta alla corruzione, che ha dilaniato il Paese nei decenni, oltre che un programma di rafforzamento del sistema sanitario pubblico, di lotta al precariato e contro lo sfruttamento lavorativo, oltre che politiche in favore dell’ambiente.
Pedro Castillo, sindacalista e insegnante, è un uomo del popolo. Nato da genitori contadini analfabeti, ha lavorato e lottato sin da ragazzo per pagarsi gli studi e laurearsi in psicologia dell’educazione. E’ insegnante di scuola primaria dal 1995, oltre che cuoco della mensa e bidello e ha sempre vissuto in un villaggio rurale.
Da anni impegnato in politica, si definisce marxista-leninista e conservatore di sinistra, nel solco del Socialismo del XXI Secolo dei Paesi latinoamericani, che uniscono tradizioni arcaiche e indigene al socialismo originario di ispirazione marxista e socialista.
Quella di Castillo, in sostanza, è una sinistra molto diversa da quella alla quale siamo purtroppo abituati a vedere da decenni in Europa e in Nordamerica, la quale sembra essere sempre più simile alla destra per quanto concerne la tutela dei ceti borghesi e più abbienti.
La sinistra populista latinoamericana, molto simile peraltro a quella asiatica, eurasiatica e panafricana (pensiamo ai vari partiti socialisti e comunisti di Russia, Asia e Africa), unisce infatti anticapitalismo, lotta all’oligarchia e alla borghesia e recupero delle tradizioni arcaiche e comunitarie e ricorda molto i valori del socialismo otto-novecentesco europeo.
Una sinistra purtroppo invisa, da sempre, dalle élite borghesi di matrice liberale e capitalista che approfittano sempre per tentare di screditarla o destabilizzare i Paesi ove essa governa, vedi i casi di Cuba e Venezuela, ingiustamente bollate dalle élite liberali come delle “dittature” (pur essendo delle democrazie popolari, peraltro molto diverse fra loro).
Il nuovo corso del Perù potrà geopoliticamente avvicinarlo a Paesi fratelli quali la Bolivia, l’Argentina, il Venezuela, Cuba e il Nicaragua. Con una probabile prossima vittoria alle elezioni in Brasile di Lula e della sinistra socialista in Cile, probabilmente anche a questi altri due Paesi.
Luca Bagatin