Tra le tante acquisizioni in termini di strumenti femministi che mi ha regalato la militanza passata in Arcilesbica, non vi è dubbio che una delle più importanti sia stata l’analisi di alcuni fenomeni in termini di mercificazione del corpo femminile che in realtà, all’interno del movimento LGBTQIA, venivano al contrario esaltati come esempi di nuovi diritti e di autodeterminazione (in particolare la cosiddetta GPA : Gestazione per altri, cioè , in versione addolcita, l’utero in affitto, così come la prostituzione in quanto lavoro).
Sappiamo anche come ciò abbia portato a una diaspora tuttora esistente e difficilmente sanabile all’interno del movimento LGBTQIA; di questa diaspora abbiamo visto altri aspetti in contributi che ho fornito in precedenza: in particolare la messa in discussione del concetto di identità di genere e di un approccio queer che rimuove le differenze per proporre un’integrazione delle diversità all’insegna della non distinzione sessuale.
Daniela Danna , in particolare, ha studiato la GPA e, quando facevo parte del Circolo AL di Modena, abbiamo presentato in due occasioni dei libri da lei dedicati a questo fenomeno (1).
Io non mi soffermerò su un’analisi sociologica della GPA in quanto essa è reperibile nei testi di Daniela Danna; posso fare qualche riflessione su questo tema in quanto donna transessuale, e quindi impossibilitata a vivere l’esperienza della gravidanza, soprattutto con riguardo alla relazione madre-figlio.
Perché è così importante, non solo su un piano concreto ma anche simbolico, questo tema per il femminismo?
Perché promuovere una pratica di questo tipo, che nei fatti è oggetto di una contrattazione economica tra le parti che mercifica il corpo della donna che partorisce, comporta la rimozione della dipendenza psicofisica necessaria del nascituro dal legame con la madre naturale.
In realtà anche il nascituro è reso in tal modo oggetto di una mercificazione: tanto la madre naturale quanto il nascituro vengono ad essere resi oggetto di un valore economico in nome di un presunto diritto alla genitorialità realizzabile attraverso il corpo di una donna che si riduce al ruolo di incubatrice.
Ciò che viene spacciato per autodeterminazione nasconde, in realtà, una forma di sfruttamento delle necessità economiche di donne povere, così come dello sfruttamento del bisogno di dipendenza di esseri che, appena nati, vengono privati in modo traumatico della possibilità di portare avanti con naturalezza il legame di dipendenza con le figure materne che li hanno avuti in grembo.
L’ipocrisia con la quale chi promuove la GPA la presenta come un dono viene smascherata dal fatto che , se si trattasse veramente di un dono disinteressato e gratuito da parte di donne che fanno un favore a coppie che non possono avere figli, allora non ci sarebbe bisogno di fare un discorso di rilevanza politico-pubblica al riguardo; sarebbe infatti qualcosa che nasce all’interno di una mutualità informale tra singoli esseri umani che non avrebbe bisogno di emergere a tema sociale.
Ma ovviamente non è così; chi ricorre a questa pratica sono persone benestanti (etero- o gay non importa) che attraverso il loro denaro comprano dei corpi, e tutto ciò in modo incurante rispetto alle ricadute a breve-medio-lungo termine che ne derivano sulla donna partoriente e sul nascituro .
Complementarmente anche le donne che si propongono gratuitamente come incubatrici sembrano essere piazzate abbastanza bene nella scala sociale; non è ancora giunta notizia di donne povere che si propongano di farlo per niente.
Rimozione della dipendenza e disumanizzazione
Su un piano più profondo questo tema solleva questioni molto importanti su una strisciante disumanizzazione di ciò che intendiamo per essere umano.
Cosa rende infatti umano un essere umano a partire dalla sua nascita?
Sviluppo le mie riflessioni a partire da chi nasce perché è l’esperienza che ho fatto, e non provo a mettermi dalla parte della madre, non essendo un’esperienza che potrei fare.
Non scegliamo di nascere; ci capita, succede e siamo in una condizione di completa dipendenza dalla madre che ci ha messo al mondo.
Questa dipendenza dalla madre naturale è un dato di realtà, in sé né positivo né negativo, dato che l’attaccamento si sviluppa prima ancora di venire al mondo; è una simbiosi rispetto alla quale come figli svilupperemo in modo altrettanto naturale un’ambivalenza che ci porterà di volta in volta o ad averne bisogno, e quindi a cercarla, oppure cercheremo di affrancarcene, anche se costerà fatica, per trovare una nostra autonomia prima adolescenziale e poi adulta man mano che cresciamo. Ed è proprio qui, nella ricerca di autonomia, più che in altri aspetti della dipendenza originaria, che a mio avviso si rivela necessaria la conservazione del rapporto del figlio con la madre naturale.
Se io figlio vengo tolto alla mia madre naturale e vengo dato a una persona che vuole essere genitore ma non mi ha avuto nel proprio grembo, non potrei mai sperimentare concretamente la potenza ambivalente dell’attaccamento psicofisico sviluppatosi già nella gravidanza; costruirei un tipo di attaccamento più superficiale e artificioso perché mancante della parte fisica.
Il genitore non naturale non potrebbe mai compensare psicologicamente con il cosiddetto affetto, con il prendersi cura, l’interruzione traumatica del rapporto che è primariamente fisico con la madre naturale.
Dipendenza e umanità
E ci avviciniamo così a dare una possibile risposta alla domanda: cosa rende umano un essere umano? Proprio il fatto che nasciamo all’interno di una simbiosi psicofisica che va lasciata evolvere in tutta la sua ambivalenza in modo graduale nel corso dello sviluppo; interromperla traumaticamente, così come avviene con la GPA, significa dissociare la componente fisica da quella psicologica, e il peso di questa dissociazione porterà a un tipo di essere umano più fragile e insicuro di sé.
Naturalmente ciò non significa fare un’apologia del ruolo materno naturale, o dire che le uniche buone madri possono essere quelle naturali, ma va detto con chiarezza che quello della genitorialità non è un diritto per le persone adulte che lo vogliono essere; è invece un diritto per i bambini che vengono fatti venire al mondo.
Ciò che voglio dire è che, anche qualora la madre naturale provasse sentimenti negativi nei confronti della maternità e del figlio, la loro relazione comunque si svilupperebbe a partire da radici profonde, ineliminabili, ancestrali, e noi esseri umani abbiamo bisogno di radici così anche per essere più forti nel cercare di affrancarcene, se è questo ciò che vorremo fare man mano che cresciamo.
Ma proprio il fatto che si cerchino di introdurre, spacciandoli per libertà e autodeterminazione, fenomeni che sopprimono questo nostro bisogno di radici umane, la dice lunga su quanto l’attuale egemonia politica e culturale del capitalismo, e la sua spinta a mercificare qualsiasi ambito dell’esistenza, stia disumanizzando sempre di più l’umanità stessa.
La persuasività psicologica e sociale del capitalismo si basa proprio sul promuovere una visione, non solo del mondo ma anche dell’essere umano, come di una risorsa incrementabile senza limiti, e ciò attraverso l’illusione che siamo monadi che possono fare a meno della dipendenza relazionale e sociale.
Esiste invece, in realtà, una interdipendenza che può portare a una crescita della capacità dell’umanità di abitare questo pianeta e le società in modo rispettoso solo riconoscendo le forme di sfruttamento che ci stanno opprimendo.
Le donne sono naturalmente le prime depositarie di questa saggezza naturale se non la rimuovono. Mettere al mondo una creatura è la responsabilità più grande che possa capitare a un essere umano; per gestire questa responsabilità in modo naturale la madre non ha bisogno di alcun esperto, ma solo di essere lasciata libera di assecondare l’ambivalenza tra il dover essere presente e il bisogno di pensarsi/curarsi come essere autonomo ( a propria volta bisognoso di sentirsi dipendente da altri esseri umani che non siano il proprio figlio).
Sempre di più mi sembra che i movimenti veramente rivoluzionari (e il femminismo può essere uno dei principali) sono quelli che non perdono di vista le radici concrete dei fenomeni umani.
Neviana Calzolari
Note:
(1) I libri di Daniela Danna presentati dal Circolo Arcilesbica Modena sul tema della GPA sono stati: “Fare un figlio per altri è giusto. Falso!”, Bari, Laterza, 2017; “Maternità. Surrogata?”, Trieste, Asterios Editore, 2017