“Among the key questions are not only the size of the Recovery Fund and balance between grants and loans, but also how the money will be distribuited, and how it gets repaid”
Financial Times, 19 maggio 2020
Il 23 aprile una veloce videoconferenza ha ratificato le linee di massima dei tre programmi di prestito ai quali potrebbe accedere l’Italia (Bei, Sure, Mes), eppoi “convenuto di lavorare per la creazione di un fondo per la ripresa, che è necessario e urgente”. Di quest’ultimo sono ancora ignoti tempi-natura-volume-beneficiari, durata nemmeno menzionata, le risposte demandate alla Commissione europea. Passa un intero mese e, il 18 maggio, Macron e Merkel se ne escono con una proposta grande 1/3 le iniziali richieste francesi ed italiane: 500 miliardi, gettati sul tavolo di un ulteriore round di trattative.
I tempi. Conte aveva detto di voler far approvare tutto a giugno ed anticipare i fondi a luglio, addirittura “immediatamente”, ciò che la stampa amica definiva “vitale per l’Italia”. È riuscito solamente a far cambiare al Consiglio europeo la frase “we agree to explore a recovery fund”, in “we agree to work to establish a recovery fund that is urgent and needed”. Talmente “urgente”, da venire rinviato a data sconosciuta, “il prima possibile”. Chiosò Charles Michel: “Non ho mai indicato un accordo nel mese di giugno”… non ha indicato nemmeno l’anno, se è per quello. Più precisa la vicepresidente della Commissione Vera Jourova: “Il primo gennaio 2021 è una data molto ambiziosa”.
Il volume. I 500 miliardi della proposta franco-tedesca verrebbero finanziati da un “Recovery Instrument”: una obbligazione emessa dalla Ue e collocata sul mercato. L’idea è che tali 500 miliardi vengano impiegati insieme a somme eguali finanziate dagli Stati che li ricevono (cofinanziamento), ovvero insieme a prestiti raccolti altrove, per importi complessivi 2-3 volte maggiori: da qui la pretesa di Scholz e della Von der Leyen, che il Recovery Fund possa mobilitare “almeno 1.000 miliardi di euro” (secondo Gentiloni 1.500 miliardi, addirittura).
La data dell’emissione. Non si sa su quanti anni verrà distribuita l’emissione dei 500 miliardi, la Commissione inizialmente pensava a tre anni. Merkel, al Bundestag, aveva fatto cenno ai primi due anni. Lars Feld, più vagamente, ai “primi anni”.
La durata. Francia e Germania propongono che l’obbligazione emessa dalla Ue venga rimborsata “beyond the current MFF on the EU budget”, oltre il prossimo Bilancio Ue 2021-2027. Non sappiamo se un giorno o un lustro dopo.
La natura dell’esborso. Apparentemente, Macron e Merkel propongono che gli esborsi avvengano a titolo di trasferimento dal bilancio Ue agli Stati membri. All’opposto, Austria Olanda Svezia Danimarca vogliono che gli esborsi avvengano interamente a titolo di prestito e secondo l’art. 122 del Trattato (che prevede “condizioni”). L’ultima proposta di mediazione della Commissione proponeva circa 1/3 a trasferimento e 2/3 a prestito.
Chi paga. Gli esborsi a titolo di prestito verrebbero rimborsati dai Paesi che li ricevono, semplicemente. Più complesso il caso degli esborsi a titolo di trasferimento, che verrebbero rimborsati da tutti i Paesi, in base alla propria quota di contribuzione al Bilancio Ue. Nel 2018 i contributi degli Stati membri furono circa 142 miliardi (al netto delle poche risorse proprie), dei quali 29 dalla Germania, 17 dall’Italia. Si fa un gran parlare di una riduzione della quota di contribuzione dell’Italia, ma ciò pare meno probabile dopo che, lunedì, Merkel ha detto di non prevedere un innalzamento della quota della Germania. Senza dimenticare che le trattative sul nuovo bilancio Ue fallirono già lo scorso febbraio sulla base di una proposta all’1,06 per cento: figurarsi oggi che la richiesta è quasi doppia.
Ne segue che, nella proposta franco-tedesca (ancorché espressa con “deliberata vaghezza”, come nota persino Fubini), i 500 miliardi verrebbero versati: 102 dalla Germania, 60 dall’Italia, probabilmente scaglionati lungo l’intera durata dell’obbligazione. Con buona pace della viceministro Castelli che parla di fondi “senza necessità di rimborso”.
I beneficiari. A fronte dei 60 miliardi da versare, la Castelli immagina di ricevere 100 miliardi mentre Conte, più modestamente, parla di 80. Naturalmente, gli altri Paesi dovrebbero versare la differenza; il che appare estremamente improbabile, tanto se in forma di maggiori contributi netti percentuali, quanto se in forma di nuove tasse “federali” (tassa Ue sulla plastica, sul digitale, sulle emissioni, addizionale Iva Ue…).
Alternativamente, si era pensato ad una riallocazione dei fondi nel Bilancio Ue già presenti a titolo “politica di coesione”, dunque sostanzialmente a carico dei Paesi dell’est Europa, che stanno provvedendo ad impedirlo.
Ne segue che, delle due l’una: o una quota assai rilevante degli esborsi avverrà a titolo di prestito; ovvero beneficiari del Fondo saranno tutti i Paesi membri. Questa seconda è la proposta franco-tedesca la quale, infatti, parla di un Fondo “mirato ai settori e alle aree geografiche dell’Europa maggiormente colpiti” e che “sosterrà gli investimenti in particolare nella transizione digitale e verde”. “È importante guardare settore per settore, il turismo è molto colpito”, ci informa Charles Michel: pure il turismo dell’Isole di Helgoland, aggiungiamo noi. Senza dimenticare l’industria automobilistica francese e tedesca, un settore certamente molto colpito dal coronavirus ed apparentemente impegnato in una “transizione verde”. Ricaricano i Paesi dell’est: “Siamo stati risparmiati dalla pandemia, ma colpiti dalle sue conseguenze economiche”. Chiosa il Lussemburgo: “il coronavirus ha colpito pure noi”.
Non si può escludere una componente di ridistribuzione, forse. Ma minore ed a favore dei Paesi membri già beneficiari netti. Fra i quali non è l’Italia, né lo sarebbe se pure la crisi del coronavirus ne riducesse il contributo netto sino ad azzerarlo: alla meglio, riceveremmo dal Fondo esattamente quanto vi verseremmo.
Il vantaggio per l’Italia. Se prevalesse l’ipotesi franco-tedesca, tutto ciò che l’Italia porterebbe a casa sarebbe evitare di contabilizzare un prestito diretto nel debito pubblico (come sarebbe, invece, col MES). Sostituendolo con un canone annuo, a deficit ma non a debito pubblico. Alla maniera di come fanno le imprese che rifinanziano un mutuo (a bilancio) con un debito leasing (fuori bilancio). Non di “federalismo” si tratterebbe, quindi, ma di ottimizzazione contabile.
Tale vantaggio verrebbe interamente meno se prevalesse l’ipotesi di Austria Olanda Svezia Danimarca, dunque se gli esborsi a titolo avvenissero interamente a titolo di prestito.
Il danno per l’Italia. V’è costante cenno ad un “chiaro impegno dello Stato membro a politiche economiche sane ed un ambizioso programma di riforme”, che però sarà tanto più blando, quanto più di esborsi del fondo saranno distribuiti fra tutti i Paesi.
Per converso, pure nella più favorevole ipotesi Macron-Merkel, i fondi dall’Italia versati, sarebbero dalla Ue all’Italia ritornati già pre-assegnati a particolari capitoli di spesa, pre-determinati da Bruxelles e non necessariamente aderenti alle priorità di spese italiane. Nel caso peggiore, tali fondi verrebbero fatti transitare dal neonato capitolo di spesa detto BICC (Budgetary Instrument for Convergence and Competitiveness) ovvero da un ancora misterioso capitolo “Ripresa e resilienza”, dai quali i versamenti uscirebbero subordinati a “contratti di riforma” da determinarsi: una nuova riforma delle pensioni, il taglio lineare degli stipendi pubblici, chi può dire?
Qualora l’Italia non volesse sottomettersi, ovvero non potesse a causa della probabile presenza di un obbligo di cofinanziamento, allora i fondi verrebbero semplicemente dirottati su altri Stati membri. Ed al danno si aggiungerebbe la beffa.
Infine, il Fondo verrà negoziato insieme al resto del Bilancio Ue 2021-2027. La cui composizione non è neutrale: si può immaginare che Austria Olanda Svezia Danimarca proporranno di scambiare una quota minore di prestiti nella parte Fondo, in cambio di una politica di spesa (agricola, industriale…) più favorevole alle proprie produzioni nel resto del Bilancio. Chi chiede ha sempre torto.
Logica tedesca. Il Bilancio Ue riguarda tutti e 27 i Paesi, non la sola area dell’Euro. Il Recovery Fund, in altre parole, si configura come moltiplicatore del drenaggio di fondi, dai Paesi contribuenti netti membri dell’Euro ad occidente, verso i Paesi beneficiari netti membri del solo Mercato Comune ad oriente. Il destino del detto Fondo non sarà in alcun modo legato all’incerto destino dell’Euro, né sarebbe possibile fosse altrimenti, dopo la sentenza di Karlsruhe. Chi presenta la proposta franco-tedesca come “l’inverso” di Karlsruhe (Libération), come il modo di “stabilizzare l’area euro” (Fubini) è evidentemente accecato dai propri desideri. La Germania investe sì, un pochino, ma nel Mercato Comune.
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