L’”errore” della presidente della Bce Christine Lagarde, che ieri ha provocato il tonfo delle Borse dell’Eurozona (Milano ha chiuso a -16,92 per cento e lo spread a 260), è talmente clamoroso e grossolano che c’è da dubitare che di errore si tratti.
Certamente le aspettative dei mercati per le mosse della Bce di fronte ad una crisi economica che si annuncia persino peggiore di quella del 2008 sono state deluse. Quantitative Easing aggiuntivo da 120 miliardi, nuove aste di liquidità a lungo termine (Ltro) e migliori condizioni per le Tltro, ma niente taglio dei tassi (già in territorio negativo), quando una riduzione anche solo simbolica, di uno 0,10, sarebbe almeno apparso come un segnale di consapevolezza della gravità del momento, in linea con le riduzioni di mezzo punto decise dalla Federal Reserve e dalla Bank of England.
Il primo errore, dunque, è di merito, di sostanza: la Bce disallineata rispetto alle mosse di Fed e BoE. La Fed, nei giorni scorsi e ancora ieri mattina, ha usato il suo bazooka (pur sempre troppo piccolo per soddisfare in pieno il presidente Trump) e tutti gli occhi erano puntati su Francoforte, che invece ha rivelato la sua impotenza. Ma d’altronde – ci arriveremo tra poco – la Bce non è la Fed, è una banca centrale con le armi spuntate per statuto.
I mercati non hanno bocciato solo il “pacchetto”, hanno preso atto della mancanza del “whatever it takes”. Peggio, quel “non è compito nostro ridurre gli spread, ci sono altri strumenti e altri attori per affrontare questi temi” pronunciato dalla Lagarde è suonato come l’esatto contrario del “whatever it takes” pronunciato da Draghi nel 2012. A dimostrazione che è proprio questo il punto, anche gli spread sui titoli di altri Paesi periferici dell’Eurozona sono schizzati in alto, non solo quello italiano. I mercati hanno fiutato che oggi potrebbe non esserci la determinazione che c’era con Draghi alla guida della Bce a fare tutto il necessario per preservare la moneta unica: se nemmeno di fronte a una pandemia vale il “whatever it takes”, allora persino l’euro potrebbe diventare una delle vittime illustri del coronavirus.
“Il problema dell’asserragliamento dell’élite, sia sul piano sociale che istituzionale, è che ad un certo punto i Mario Draghi finiscono ed iniziano le Lagarde”, ha efficacemente osservato Lorenzo Castellani su Twitter.
Ma davvero si può credere che quella della Lagarde sia una gaffe? La sua incompetenza economica e la sua pochezza politica sono note, ma a tal punto da non rendersi nemmeno conto del peso delle parole di un banchiere centrale? No, crediamo ci sia di più.
Il messaggio arrivato ai mercati dal pacchetto di misure, giudicato insufficiente, e dalla conferenza stampa della Lagarde è che la Bce non può fare di più e che il resto per affrontare la crisi dovranno mettercelo i governi con le loro politiche fiscali. Peccato che l’Italia (e forse anche altri Paesi) lo stimolo fiscale che sarebbe necessario non può permetterselo senza il “whatever it takes” della Bce a garanzia dei suoi titoli pubblici. Torna il tema del prestatore di ultima istanza.
Altro che “errore comunicativo”… Se Draghi ha interpretato in modo, diciamo, estensivo il mandato della Bce, forse oltrepassandone i limiti e certamente scontrandosi con gli altri membri del Consiglio direttivo, tedeschi in primis, la Lagarde oggi ha confermato di essere la mera esecutrice dell’orientamento prevalente in quel Consiglio, che è di tornare alla lettera del mandato della Bce, i cui compiti statutari sono limitati: mantenere la stabilità dei prezzi e del sistema bancario. Stop. Anche se è proprio questo il peccato originale dell’intero edificio della moneta unica: l’assenza di un prestatore di ultima istanza. È stato Draghi l’eccezione (e non è detto che in fin dei conti ci abbia fatto bene). Naturale che i mercati non l’abbiano presa bene, perché questo significa che l’Italia è sola, non potrà fare il necessario per affrontare la crisi, ma che tutti gli stati membri lo sono e l’intera Eurozona potrebbe non reggere l’urto.
Il presunto “errore di comunicazione” è riuscito a risvegliare dal letargo anche il presidente Mattarella, che ha affidato il suo disappunto ad una nota fin troppo flebile viste le drammatiche circostanze:
“L’Italia sta attraversando una condizione difficile e la sua esperienza di contrasto alla diffusione del coronavirus sarà probabilmente utile per tutti i Paesi dell’Unione Europea. Si attende quindi, a buon diritto, quanto meno nel comune interesse, iniziative di solidarietà e non mosse che possono ostacolarne l’azione”.
Immaginiamo quanto dev’essere costata una nota simile ad un europeista entusiasta come Mattarella, costretto a prendere seriamente in considerazione l’eventualità che la tanto amata e celebrata Unione europea possa “ostacolare l’azione” dell’Italia nella lotta contro il coronavirus e nella mitigazione del suo impatto sulla nostra economia.
Comprensibile lo sconforto degli eurolirici orfani di Draghi in queste ore: nonostante tutti i sacrifici imposti agli italiani per restare all’interno del percorso di riduzione del deficit, veniamo lasciati senza paracadute ad affrontare una crisi che non dipende da noi ma da una pandemia. E non sfuggiranno gli interessi nazionali in gioco.
Tutto questo, mentre i morti si contano a centinaia e i danni economici a centinaia di miliardi, dovrebbe convincerli che non ci troviamo nel posto in cui credevamo di essere. Perché quel posto non è mai esistito. Alcuni ci hanno sinceramente creduto, altri pur sapendo come in realtà stavano le cose, hanno semplicemente badato al loro interesse personale o di fazione, che guarda caso è coinciso con l’interesse nazionale di altri Paesi.
Dovremmo quindi espiare il peccato del nostro elevato debito pubblico proprio oggi che veniamo colpiti da una crisi esogena, provocata dalla diffusione di un virus che colpisce tutto il mondo?
In effetti, che occorra proprio ora seppellire il “whatever it takes” di Draghi e tornare di corsa alla lettera del mandato della Bce, mentre ci troviamo ad affrontare una drammatica crisi sanitaria, costretti ad un lockdown anche produttivo, solleva il sospetto o di una follia cieca, tale da mettere a rischio la tenuta stessa dell’Eurozona (come nel 2008), o di un deliberato atto di guerra economica contro l’Italia (come nel 2011). Triste, ma a questo punto non possiamo escluderlo del tutto.
Un’impennata dello spread per ricordare all’Italia quanto le “convenga” firmare quanto prima la riforma del Mes?
Un’occasione da non lasciarsi sfuggire per acquisire a prezzi di saldo il controllo degli ultimi pezzi pregiati della nostra argenteria produttiva e dei nostri asset strategici? E come sappiamo in prima fila alla cassa c’è la Francia di Macron, che ha voluto la francese Lagarde alla Bce…
Sarebbe coerente con quanto visto finora. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria sono arrivate tardivamente o non sono mai arrivate le parole di solidarietà di Bruxelles e dei leader degli altri stati membri, mentre di aiuti concreti non s’è vista nemmeno l’ombra. “L’Italia ha già chiesto di attivare il meccanismo di protezione civile dell’Unione europea per le forniture di dispositivi medici. Nessun Paese europeo ha risposto”, ha ricordato l’ambasciatore italiano presso l’Ue. Un vuoto in cui si è abilmente inserita la Cina, che a quanto pare ci ha venduto forniture mediche mentre altri Paesi europei ne bloccavano l’esportazione. Una mossa dal forte significato geopolitico..
Di Federico Punzi in ATLANTICO QUOTIDIANO QUI