C’era una volta a Copenhagen

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di FLORIANA BULFON

In una città a misura d’uomo- la dolce regina del Nord come la definì Kierkegaard- tra biciclette e mercatini di Natale, il 7 dicembre si sono riuniti delegati da tutto il mondo per tentare di raggiungere un accordo internazionale in grado di assicurare continuità all’azione di lotta al cambiamento climatico avviata dal Protocollo di Kyoto. La Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima che si terrà a Copenhagen è solo l’ultimo atto del processo che cerca di mettere un limite alle emissioni alla base del surriscaldamento terrestre.

Il primo grande accordo planetario in questo senso, il Framework Covention on Climate Change, fu firmato a Rio de Janeiro nel 1992. Il summit affermò definitivamente il principio secondo cui le questioni ambientali devono essere affrontate su scala globale.

Per arrivare a un accordo vincolante sul taglio delle emissioni fu però necessario aspettare il 1997, anno in cui venne firmato il Protocollo di Kyoto. Il trattato prevede l’obbligo per i Paesi industrializzati di ridurre, nel periodo 2008-2012, le emissioni di gas serra in una misura inferiore al 5% rispetto a quelle registrate nel 1990 e per l’Unione Europea tale limite è stato concordato nell’8%.

Nella piccola capitale danese si è cercato di trovare una strada per il post 2012 e si è cercato soprattutto di non ripetere gli errori commessi a Kyoto, primo fra tutti quello di non aver raggiunto un’intesa globale: nel 1997 rimasero fuori le economie emergenti, come Cina, India, Brasile, ma anche gli Stati Uniti, che oggi con Barack Obama sembrano intenzionati a cambiare linea.

A Copenhagen si è cercato prima di tutto un accordo per evitare una catastrofe climatica e ambientale. In molti preannunciano il fallimento, la possibilità di un mero accordo politico e non la realizzazione di un trattato post-Kyoto vincolante. Quel che è certo è che la Conferenza rappresenta un’occasione per dimostrare l’inadeguatezza delle attuali scelte politiche in campo ambientale e la necessità di affrontarle in maniera decisa e nuova.

Kyoto nel 2012 finirà e il mondo deve trovare la strada per un futuro più sostenibile, con obiettivi più chiari . Kyoto era un primo passo nella lotta ai cambiamenti climatici, Copenhagen deve rappresentare una risposta più ampia e condivisa. Una risposta necessaria. Non dovrà essere la soluzione finale, ma un punto di partenza chiaro e concordato.

A Copenhagen avrebbero essere essere chiariti gli obiettivi di abbattimento delle emissioni che i paesi industrializzati sono in grado di raggiungere nel breve termine, le iniziative che i paesi in via di sviluppo possono intraprendere, i mezzi tecnologici e le agevolazioni finanziarie capaci di permettere uno sviluppo globale e sostenibile.

Il punto di arrivo dovrebbero essere obiettivi realistici e soluzioni equilibrate nella ripartizione degli oneri. Ma le posizioni negoziali di partenza sono molto distanti. I Paesi sviluppati chiedono a quelli emergenti, in particolare Cina e India, un impegno maggiore nel contribuire alla riduzione dalle emissioni. Questi ultimi continuano a dichiarare di non essere disposti ad accettare vincoli che possano interferire con le proprie prospettive di sviluppo economico. Ed è così che, ancor prima dell’avvio ufficiale della Conferenza, davanti alla proposta della Danimarca, il ministro dell’ambiente indiano Ramesh ha dichiarato <<è inaccettabile, è un vicolo cieco>>. La Danimarca ha presentato un testo che prevede il dimezzamento delle emissioni al 2050 con l’80% dei tagli a carico dei paesi ricchi, ma anche obiettivi di riduzione a breve termine, entro il 2020.

India, Cina, Sud Africa e Brasile hanno fatto la loro controproposta, non negoziabile. Per loro è necessario maggior realismo. 2050 e non 2020 perché la data del 2020 non è attuabile e perché il contenimento del picco di emissioni nel 2020 fissa un target di diminuzione generale a cui tutti dovranno parteciparvi, compresi loro, i paesi più poveri, che rivendicano un bassissimo livello di emissioni pro-capite. Non negoziabile perché non ci può essere freno alla loro crescita economica, che è anche crescita sociale. Certo è che Copenhagen darà vita almeno ad un accordo storico, perché finalmente globale, dove i paesi in via di sviluppo avranno un ruolo chiave.

La Sirenetta appollaiata sul suo scoglio contempla in attesa del suo destino, ma le catastrofi climatiche e le questioni ambientali non sono una fiaba . Anderson ha condannato la sua Sirenetta a 300 anni di buone azioni per volare in paradiso. Ma per ogni bambino cattivo piangerà e aggiungerà un giorno per ogni lacrima. E’ tempo di buone azioni per un lieto fine.

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