Scontri in Ecuador, a seguito delle misure che il governo di Lenin Moreno ha imposto alla popolazione, conseguenza delle richieste del Fondo Monetario Nazionale, in cambio di un credito di 4,2 miliardi di dollari.
Le misure di austerità e di macelleria sociale prevedono: l’aumento del prezzo del carburante di oltre il 100%, l’aumento del prezzo di beni e servizi; la riduzione delle ferie pagate da 30 a 15 giorni; una riduzione del 20% dello stipendio per i dipendenti pubblici; un piano di privatizzazioni e una diminuzione dei contributi pensionistici a fronte di una conseguente riduzione delle pensioni.
Da tempo il governo di Moreno ha tradito il suo mandato con gli elettori, quando fu eletto nelle file socialiste e fu sostenuto dall’ex Presidente Rafael Correa, per poi, qualche mese dopo, sostenere politiche antisociali, antisocialiste e fortemente liberali.
Moreno ha disconosciuto così tutto il lavoro del suo predecessore Rafael Correa, così come ha disconosciuto prima il suo Vicepremier, Jorge Glas, accusandolo e facendolo incriminare ingiustamente per corruzione (e per questo ancora in carcere) e successivamente, nell’aprile 2019, accusando l’ex Ministro socialista di Correa – Ricardo Patino – di istigazione alla protesta e pertanto costringendolo ad emigrare in Perù, come rifugiato politico.
L’Ecuador, da quando Moreno è in carica ed ha traghettato il partito Alianza Pais – prima socialista – su posizioni liberali e autoritarie, ha drasticamente peggiorato la sua situazione sociale ed economica, sino alle proteste di questi giorni.
Con Rafael Correa, eletto nel 2007, il Paese aveva dato il via alla famosa “Revolucion Ciudadana”, ovvero la “rivoluzione cittadina”, democratica e civile, che portò il Paese a rinegoziare il debito con l’estero, a ridurre l’influenza straniera (in particolare quella dei rapaci USA), a ridurre la povertà, l’analfabetismo e, con una nuova Costituzione, a permettere l’inclusione nella vita politica dei cittadini.
Correa, già brillante economista, sulla spinta del Socialismo del XXI Secolo promosso da Hugo Chavez, Evo Morales e Nestor Kirchner, introdusse il modello economico del Buen Vivir ecuadoriano, ovvero un modello di sviluppo ispirato al “buon vivere” dei popoli andini indigeni. Un modello sociale alternativo rispetto al modello edonista e competitivo liberale precedente, il quale garantiva ricchezza a pochi oligarchi.
Con la Rivoluzione Cittadina di Correa, l’Ecuador si era dunque liberato da secoli di sfruttamento coloniale, dalle successive dittature militari e dalle pseudo democrazie corrotte amiche degli USA e del Fondo Monetario Internazionale.
Con Lenin Moreno ed il suo tradimento politico e sociale, ecco che il Paese sta tornando drasticamente indietro.
L’Ecuador rischia infatti di diventare una nuova Argentina liberale di Macri. Dove a pagare il prezzo dell’indebitamento con il Fondo Monetario Internazionale e le sue perverse politiche è, ancora una volta, la popolazione.
Lenin Moreno dichiara lo stato di emergenza, a seguito delle proteste di piazza nella capitale, Quito, e in numerose altre città. 19 gli arrestati. Moreno ha dichiarato altresì che non cederà “ai ricatti” della piazza.
Una piazza che ormai è in rivolta, come già di recente accaduto nella Francia di Macron; nell’Argentina di Macri; nella Grecia di Tsipras e nella Russia di Putin. Il popolo non è più disposto ad accettare le misure di austerità e le politiche liberal-capitaliste.
Correa e i suoi sostenitori, ovvero i socialisti, hanno ad ogni modo da qualche tempo fondato un nuovo partito, “Revolucion Ciudadana”. E proprio in questi giorni l’ex Presidente Correa ha invitato, nei canali social, la popolazione a resistere. Perché la Rivoluzione Cittadina è destinata a tornare e a vincere sull’odio dei traditori e degli oligarchi.
Luca Bagatin