Per Massimo Troisi, artista e poeta del piccolo e del grande schermo, è stata ideata una mostra da non perdere. Istituto Luce – Cinecittà regala al pubblico un omaggio a tra i più amati attori (e non solo) degli ultimi quarant’anni. Lo fa con la mostra fotografica e multimediale, “Troisi poeta Massimo”, organizzata e promossa da Istituto Luce-Cinecittà con 30 Miles Film, in collaborazione con Archivio Enrico Appetito, Rai Teche, Cinecittà si Mostra. L’esposizione, a cura di Nevio De Pascalis e Marco Dionisi e la supervisione di Stefano Veneruso, aperta al pubblico a ingresso gratuito al Teatro dei Dioscuri al Quirinale di Roma, fino al 30 giugno.
“Troisi poeta Massimo” arriva a 25 anni dalla scomparsa dell’attore. Un anniversario che registra la mancanza, all’arte e al pubblico, di un artista popolare nel senso più vero e nobile. E registra quanto Troisi in questo tempo si sia affermato in modo sorprendente come un mito, e in modo indiscutibile. Sorprendente perché la sua traiettoria è stata un lampo: la carriera di Troisi dura vent’anni, tra una folgorante ascesa teatrale, la fama in tv, appena quattro (o cinque) film da regista, e una morte quando un uomo si definisce ancora giovane. Ma a 25 anni dalla scomparsa pare impossibile non descrivere Troisi come uno dei più grandi attori di sempre del cinema italiano; come un grande narratore di storie; un grande regista indipendente, e un regista di enorme successo. Un comico che suscita il riso anche nei ragazzi di oggi, visto rivisto e imitato. Un autore i cui sketch in tv, i film, le interviste, continuano a essere visti e frequentati. Un personaggio che strappa sorriso e commozione immediati, come succede ai veri grandi, che si chiamino Totò, Eduardo, Mastroianni, Scola…. Questa grandezza non poggia solo su un talento comico straripante e naturale. C’è dietro un più di pensiero, di consapevolezza, di sensibilità, di poesia. Questo ‘di più’ è il tema di fondo che sin dal titolo la mostra Troisi poeta Massimo vuole raccontare. In questa che vuole essere una festa, più che un tributo doveroso, per un attore e un autore unico.
Troisi poeta Massimo è un percorso tra fotografie private, immagini d’archivio, locandine, audiovisivi, installazioni audio-video, e carteggi personali inediti che condurranno il pubblico nell’animo umano di Massimo. Un Pulcinella senza maschera, come è stato definito, naturale erede di Eduardo e capace di attualizzare la tradizione partenopea, sfuggendone dai cliché. Oltre 80 fotografie, provenienti da archivi familiari e di amici e colleghi, dall’Archivio storico Luce, le Teche Rai e l’Archivio Enrico Appetito (con le foto dai set di Mario Tursi), e altri fondi foto-cinematografici, una carrellata di ricordi che, attraverso musica e immagini, mette in risalto la poetica, le tematiche, le passioni e i successi di uno dei più grandi attori italiani. Un “mito mite”, un antieroe moderno e rivoluzionario, che più di altri ha saputo descrivere, con sincerità, leggerezza e ironia, i dubbi e le preoccupazioni delle nuove generazioni. Filo conduttore della mostra, il lato più sensibile e intellettuale: Massimo è stato un poeta senza definirsi tale, ha scritto poesie già in tenera età per ritagliarsi spazi d’intimità negati da una famiglia numerosissima e ha chiuso il cerchio con “Il Postino”, film in cui la poesia non è solo testo, ma anche e soprattutto un modo di vivere, di vivere poeticamente.
L’esposizione è suddivisa in cinque ambienti, che snodano il percorso umano e artistico di Troisi in sequenza cronologica. L’ingresso accoglie con una gigantografia di Troisi, opera di Pino Settanni, e un video realizzato dall’Archivio Luce con brani di interviste tratte dal fondo Mario Canale, e momenti di backstage da “Il viaggio di Capitan Fracassa” di Ettore Scola e de “Il postino”. Momenti di parole e musica che richiamano su schermo un’atmosfera intima e l’avventura del suo cinema. Lo spettatore viene accolto dallo straordinario colpo d’occhio della volta del Teatro dei Dioscuri ricoperta interamente da un patchwork di immagini del mondo di Troisi. Un’opera visuale realizzata da Marco Innocenti per Brivido Pop, che riproduce l’effetto di una volta affrescata, e propone le immagini di una vita, dall’infanzia agli spettacoli ai film, a stralci di frasi e di giornale, con parenti amici amori: tutte le apparizioni dell’immaginario di Massimo. Un omaggio al suo essere un ‘artista totale’: con la mimica, la parola, le immagini, il pensiero. Uno spettacolo da ammirare a testa in su e dove perdersi. E uno stare per una volta, come Troisi con Savonarola nella mitica lettera di “Non ci resta che piangere”, “con la testa sotto i suoi piedi”.
La prima sala racconta l’infanzia e la vita familiare di Massimo. La nascita a San Giorgio a Cremano il 19 febbraio 1953, in una casa divisa con genitori, cinque fratelli, nonni, zii e rispettivi figli, un gruppo di 16 persone da cui nascerà uno spiccato senso di comunità e, per dirla con Troisi, la capacità di essere vittima di attacchi di solitudine in ambienti con meno di quindici persone. Lo spazio presenta preziose foto inedite familiari, come quella del neonato Massimo, cresciuto a robuste dosi di latte in polvere, la cui prima notorietà nazionale sarà una foto a due anni per la pubblicità del latte Mellin! Spicca una lettera manoscritta a 7 anni, per il cognato Giorgio Veneruso, marito della sorella Annamaria. E le foto della prima bruciante passione: il calcio. Cui dovrà rinunciare per la prima comparsa dei problemi al cuore, ma che non dimenticherà se una foto più matura lo ritrae al San Paolo a centrocampo a fianco di Diego Armando Maradona. Una passione che il visitatore trova legata a un’altra: uno spazio espone una serie di dattiloscritti e manoscritti di poesie di Massimo. Un filo che dalla giovane età si intreccia alla prepotente vocazione dell’autore. Seguono le foto della prima basilare esperienza nello spettacolo: quella del Centro Teatro Spazio. Un garage al 31 di via San Giorgio Vecchio, adattato a teatrino, che sarà il nucleo di momenti chiave: le prime farse scritte da Massimo all’inizio dei ’70, con la compagnia “RH negativo”, su temi sensibili come le donne, la politica, la Chiesa, la religione, l’aborto, i dilemmi della generazione; l’incontro con Lello Arena e Enzo Decaro; la mitologica calzamaglia nera, accompagnata dal cravattino bianco, che Troisi – incrocio in negativo tra Pulcinella e Charlot – abbandonò solo dopo anni; i primi amori. Qui le foto mostrano in nuce il Troisi che sarà: capace di far ridere su temi generazionali, di giocare con le istituzioni, in primis con la religione; un anarchico gentile, che irride il mondo circostante ma mette in mostra i seri dubbi su se stesso. Un’immagine su tutte: quella del ’73 con Troisi in jeans appeso a una croce, la maschera del viso tragicamente divertente, è già quella dei suoi futuri antieroi. La sala procede con le foto, le locandine, i documenti dedicati a La Smorfia, il gruppo Troisi-Arena-Decaro che dal 1977 al 1980 incendierà locali, discoteche, trasmissioni televisive e infine i grandi teatri italiani, con una comicità dialettale capace di toccare tutta una nazione. Quella che Decaro ha definito la “napoletanità”, e una capacità di essere dentro una tradizione comica forte ma rivoluzionandola da dentro, dimostrava di conquistare il pubblico d’Italia. Il visitatore trova qui alcuni momenti irripetibili del teatro comico italiano: foto dagli sketch (“La Guerra”, Troisi in panni di pia donna ne “L’Annunciazione”), la locandina dello spettacolo al Teatro Tenda di Roma, ‘dal 3 all’8 aprile’ 1977: a forza di repliche e richieste La Smorfia ci restò per 82 giorni. E ancora documenti, riviste, immagini da mandare a memoria. E i primi spazi multimediali della mostra: due totem per vedere e ascoltare le interviste realizzate appositamente per Troisi poeta Massimo a persone a lui vicine: amici, affetti, colleghi. Testimonianze che rivelano aspetti personali e alcuni inattesi dell’uomo e dell’artista. A raccontarcelo troviamo il nipote e collaboratore Stefano Veneruso, Enzo Decaro, la compagna, amica, co-sceneggiatrice Anna Pavignano, Gianni Minà, Carlo Verdone, Massimo Bonetti, Gaetano Daniele amico d’infanzia e produttore, Renato Scarpa, Massimo Wertmüller, Marco Risi. E una postazione per ascoltare un documento importante: le canzoni composte in gioventù da Enzo Decaro e Troisi, rimaste per anni su carta, e poi riprese nel disco ‘Poeta Massimo’ da Decaro nel 2008, con un gesto musicale e fraterno davvero da recuperare. Perché testimoniano di un’altra passione vitale e proficua come fu la musica per Troisi. E perché le canzoni sono piuttosto straordinarie. Come lo sono i nomi ospitati nel disco, la cui produzione artistica è di Decaro e Riccardo Cimino: Paolo Fresu, il Solis String Quartet, Rita Marcotulli, Daniele Sepe, Ezio Bosso, Lino Cannavacciuolo, Cecilia Chailly, James Senese.
La seconda sala ci racconta La Smorfia in tv ossia un’epifania, il momento in cui davvero tutta Italia si accorse di questo fenomeno. Cominciò con “Non Stop”di Enzo Trapani, una trasmissione divenuta mitica, che lanciò nomi come Carlo Verdone e gruppi come I gatti di Vicolo dei Miracoli, i Giancattivi, (cioè i laboratori dei più grossi successi del cinema degli anni ’80). Una fucina di talenti, ma è proprio Verdone a raccontarci in un’intervista quanto l’apparizione di Massimo gli risultasse superiore, fuori quota, di un talento clamoroso. “Non Stop” fu l’occasione di incontri e speciali rapporti (Troisi vi conobbe Anna Pavignano, con cui iniziò un sodalizio personale e professionale fondamentale), e l’occasione per il terzetto di affinare una tecnica scenica con i tempi e gli spazi delle riprese. Un passo ulteriore verso il cinema. Con la tv, i programmi e le celeberrime comparsate, a fianco di amici e colleghi come Renzo Arbore, Gianni Minà, Roberto Benigni, Pippo Baudo… La Smorfia e Troisi esplosero con la loro opera. La sala ci restituisce quella stagione ed è arricchita da totem per la visualizzazione di altre interviste, dal video di “Morto Troisi, viva Troisi!” lo special per la Rai dell’82 diretto da Troisi che consacra e dissacra la figura di Massimo come personaggio popolare e irresistibile attore-autore-comico, e da un’installazione in ologramma, realizzata da Michelangelo Bastiani in cui il visitatore può vedere personaggi e scene della Smorfia con un effetto visuale suggestivo.
La terza sala ci porta dentro il cinema di Massimo Troisi. Con foto dei set, locandine, documenti, due touchscreen per vedere interviste ad attori e registi, la sala grande dei Dioscuri racconta il percorso dal successo inatteso e irresistibile di “Ricomincio da tre”(1981) all’incanto postumo e planetario de “Il postino”(1994). E l’evoluzione completa di un geniale autore comico, il cui riso è venato di una poesia riflessiva sin dai tempi giovanili del CTS di San Giorgio (e doveva averlo capito Eduardo De Filippo, quando incontrando Troisi al Teatro Tenda gli disse che era un bene che giovani come lui continuassero la tradizione…), e alla poesia totale arriva con l’adattamento dal romanzo del cileno “Skarmeta”. In mezzo c’è una regia che non fa sfoggio di virtuosismi – come non ne fa mai l’attore Troisi – semplice, essenziale, con dei tempi perfetti. C’è uno sceneggiatore che con Anna Pavignano cuce testi che dicono molto anche con silenzi, sospensioni, interruzioni. E affrontano argomenti non facili: le insicurezze dei giovani, la psicologia femminile, l’estraniamento (di un migrante, come di uno che si ritrova all’improvviso nel 1400…), l’amore, la politica. Un cinema, come è stato detto, di impegno civile, ma mai dichiarato, mai esposto. Troisi si è sempre sentito a disagio a definirsi regista o autore. In questa sala vediamo quale ricerca ci sia dietro la sua evoluzione registica. Vediamo un precisarsi di scrittura e temi nel rinnovato successo di “Scusate il ritardo” (1983) con un antieore generazionale. Vediamo lo spostarsi in tempi storici, dal picaresco “1400-quasi millecinque” di “Non ci resta che piangere” (1984) a fianco di Roberto Benigni (e bastano le foto in mostra a far ridere) al fascismo di “Le vie del Signore sono finite”(1987). Al passaggio fondamentale attraverso e con Ettore Scola in tre film: “Splendor” (1988) e “Che ora è”(1989), dove le immagini a fianco di Marcello Mastroianni suggeriscono quasi un passaggio di testimone e una parentela tra attori, e “Il viaggio di Capitan Fracassa” (1990), con immagini splendide di Troisi-Pulcinella. Scola chiamerà Troisi “il nostro attore dei sentimenti”, e non ci sarebbe definizione più esatta per descrivere la sensibilità e la gamma di passioni che Troisi lascia nel suo cinema. E il film che segue è forse il più bel film sul sentimento dell’amore di tutta una generazione: “Pensavo fosse amore invece era un calesse” (1991), un altro successo, e il passaggio a un cinema ancor più intimo, più autoriale. Un documento in mostra racconta indirettamente l’essere divenuto col tempo un autore in Troisi: una lettera dattiloscritta del 1991 in cui un giovane studente di Economia e Commercio, di nome Paolo Sorrentino, chiede a Troisi di potergli fare da aiuto per il prossimo film. Non sarebbe accaduto, ma è forte la suggestione di questa paginetta che lega due registi applauditi agli Oscar.
Il film che è insieme il punto di arrivo di una ricerca matura e poetica, e la possibile ulteriore apertura verso una nuova fase, come spesso capita all’artista Troisi, è “Il postino”, che nella mostra viene raccontato da un’installazione: una grande parete che da un lato ospita una gigantografia dal film, e l’esposizione della bicicletta su cui il giovane postino Mario porta la corrispondenza al poeta Pablo Neruda. Dall’altro lato ricrea un ambiente domestico e familiare, come in un film di Massimo, con documenti e riviste, e un giradischi che riproduce canzoni di Pino Daniele dai suoi film. Un ultimo spazio è dedicato alla proiezione di parti inedite del backstage che Stefano Veneruso ha realizzato durante le riprese de “Il postino”. Un controcampo toccante dell’atmosfera di divertimento, poesia e complicità vissuta sul set da Troisi con Philippe Noiret, Renato Scarpa, Maria Grazia Cucinotta, il regista Michael Redford, i collaboratori storici. Il modo inedito per chiudere una mostra e un appuntamento che fanno un punto nuovo su un artista amato come pochissimi. Uno dei più grandi talenti comici di tutti i tempi, che rivela qui il suo lato commosso, poetico, di un autore che sa rivoluzionare il cinema e il teatro italiani da vero anarchico del pensiero, con uno stile soltanto suo, ma con la tenerezza e l’empatia dei veri poeti. Un autore che commuove con il riso, che denuncia con leggerezza, che con i suoi non detti, le pause, le interruzioni, fa gridare i sentimenti e i segreti di un’anima. Un poeta, per parafrasare il suo postino, che ancora oggi dà poesia a “chi gli serve”: a tutti noi.
Di Gianfranco Ferroni in Atlantico Quotidiano