Allarme rosso, siamo in recessione! L’Istat nelle sue stime preliminari ha registrato una contrazione del Pil dello 0,2 per cento nell’ultimo trimestre dello scorso anno, dopo un calo dello 0,1 nel trimestre precedente. Dopo due trimestri consecutivi di decrescita, tecnicamente, si parla di recessione. Nonostante il Pil negativo riguardi l’Italia e non altri Paesi europei (almeno per il momento), c’è da dire che la nostra recessione deve probabilmente essere letta nel contesto di indebolimento dell’economia europea, più che nel quadro delle politiche del governo gialloverde o di quello precedente, ma non può esserne estraneo il clima di incertezza causato nel secondo semestre dal lungo e duro braccio di ferro Roma-Bruxelles – le cui responsabilità sono a mio avviso da suddividere equamente tra i due.
Per quanto riguarda il contesto europeo, anche se nell’ultimo trimestre del 2018 il Pil dell’Eurozona è cresciuto dello 0,2 per cento, si tratta comunque di un rallentamento della crescita. Ed è ormai noto che da decenni, quando ci troviamo in un ciclo di accelerazione della crescita, l’Italia accelera meno degli altri Paesi europei, mentre quando gli altri rallentano, noi rallentiamo molto di più. Questo perché nessuno dei nostri governi ha voluto e saputo affrontare le cause sistemiche della nostra cronica debolezza economica. Ma qui si aprirebbe un altro capitolo.
Il rallentamento è europeo, dicevamo. Anche l’economia tedesca nel secondo semestre ha frenato, la produzione industriale è crollata. Tanto che Berlino ha rivisto al ribasso le proprie stime di crescita per il 2019, dall’1,8 per cento all’1, praticamente dimezzandole. Com’è facile immaginare, l’economia tedesca condiziona quella europea. Ed essendo basata su export e surplus, quando la domanda globale rallenta, come in questa fase, a rallentare è anche la locomotiva tedesca con tutti i vagoni al seguito. Con un surplus di bilancio dell’1,5 per cento circa anche quest’anno e un rapporto debito/Pil addirittura sotto il 60 per cento, la politica economica di Berlino non aiuta certo la domanda interna europea come servirebbe, a maggior ragione in presenza di una freddata della domanda globale. Se non si può certo obbligare nessuno a spendere e a indebitarsi, è però evidente come la disciplina fiscale tedesca rappresenti un fattore di forte squilibrio nell’Unione.
Paesi come l’Italia, infatti, hanno pochissimi margini di bilancio per tentare di compensare sul lato della domanda interna e le politiche economiche del governo gialloverde ci sembrano tutt’altro che adeguate a questo scopo: zero tagli di tasse, investimenti pubblici fermi, nonostante gli auspici dei ministri Tria e Savona, quelli privati persino disincentivati, a cui va addirittura aggiunto il rischio di ulteriore autolesionismo, per esempio su Tav, infrastrutture in genere, trivelle, chiusure domenicali dei negozi.
Per questo riteniamo che sia sull’economia, più che in altri ambiti, che il contratto di governo tra Lega e Movimento 5 Stelle può entrare in crisi. La combinazione di un peggioramento della situazione economica e di scelte di politica economica inefficaci, se non dannose, potrebbe deteriorare ulteriormente i rapporti, considerando la constituency elettorale di uno dei contraenti nei ceti produttivi del nord del Paese: se non Di Maio, almeno Salvini sarà prima o poi costretto a porsi seriamente il problema della crescita.
Se i suoi oppositori non fossero così ossessionati da divise, selfie, migranti e navi ong, si potrebbe pensare che per Salvini le lancette dell’orologio abbiano iniziato a correre… tic tac tic tac… Non vediamo come imminente una crisi di consenso, dal momento che essi non rappresentano ad oggi, e difficilmente nel prossimo futuro, una credibile alternativa. Ma nemmeno può adagiarsi sugli allori e illudersi di avere chissà quanto tempo… Commetterebbe l’errore di Renzi. Viviamo in un’epoca in cui le stagioni politiche si susseguono freneticamente, il consenso è estremamente mobile, l’opinione pubblica volubile, l’ascesa di nuovi leader è repentina come il loro tramonto.
Tutto questo dovrebbe suggerire a Salvini di cambiare passo, di riorientare la sua agenda dall’immigrazione alla crescita, resistendo alla tentazione di restare sulla prima visto il gioco così facile che gli rendono gli avversari. E occorrerà imprimere una svolta, una discontinuità anche dopo maggio, comunque vadano le elezioni europee – sia che la Lega confermi sia che deluda le aspettative alimentate ormai da mesi dai sondaggi – soprattutto se la situazione economica dovesse peggiorare o non migliorare.
Dubito che un mero riequilibrio delle deleghe economiche in seno al governo, ammesso che Di Maio lo accetti, possa bastare. Il M5S dovrebbe abbandonare il suo approccio da decrescita. In caso contrario, sarebbe illogico e pericoloso per la Lega avventurarsi in una seconda legge di bilancio con i cinque stelle. Per quanto tempo gli elettori del nord si accontenteranno dei risultati sull’immigrazione irregolare mentre l’economia nella migliore delle ipotesi ristagna? E quanto tempo passerà prima che un’alternativa appaia non più così lontana ai loro occhi?