Negli ultimi anni in molti paesi occidentali si è assistito all’affermazione di culture politiche che contrappongono il popolo all’elite e che invocano il protezionismo e il ripristino della sovranità nazionale. L’ideologia è relativamente semplice: c’è un popolo inteso come un blocco omogeneo cui si contrappone un’elite altrettanto omogenea nell’essere corrotta e lontana dai problemi dei cittadini. In mezzo a queste due entità non c’è spazio per corpi intermedi, come associazioni della società civile, organismi tecnici, autorità indipendenti, sindacati istituzioni proprie del sistema di checks and balances delle democrazie occidentali consolidate. La rappresentanza del popolo risponde a principi di democrazia diretta, in nome della quale si sottopongono molte decisioni a referendum. Prevale a tutti i livelli il principio maggioritario a detrimento delle minoranze.
Sul piano internazionale si propugna l’abbandono del multilateralismo in nome del bilateralismo, ritenendo inutili o dannose le istituzioni sovranazionali istituite dopo la Seconda Guerra mondiale.
Cosa spiega questi sviluppi che modificano radicalmente le tradizionali divisioni fra destra e sinistra, gli assi del conflitto politico e che hanno già messo in crisi le socialdemocrazie europee? Questo interrogativo, che ha stimolato molta ricerca economica negli ultimi anni, sarà al centro della prossima edizione del Festival di economia di Trento, dal 30 maggio al 2 giugno 2019.
Una prima spiegazione del successo del populismo-sovranismo ha a che vedere con la crescente vulnerabilità ai cambiamenti tecnologici e alla globalizzazione di ampi strati della popolazione, acuita durante la Grande Recessione. Questa vulnerabilità ha alimentato una forte domanda di protezione sociale, di recupero di sovranità nazionale e di chiusura delle frontiere di fronte all’arrivo di beni prodotti in altri paesi o di immigrati. Questo spiega perché populismo e sovranismo siano spesso sinonimi. Tuttavia una lettura strettamente economica dei cambiamenti intervenuti nelle democrazie occidentali non riesce a spiegare perché il populismo ha avuto successo in paesi che hanno conosciuto poche e brevi crisi negli ultimi 10 anni, come la Svizzera e la Polonia, mentre non ha attecchito in Irlanda o in Portogallo, dove la crisi è stata profonda e duratura.
Un secondo ingrediente del successo di questi movimenti è probabilmente legato alla sfiducia nei confronti delle rappresentanze tradizionali. Una quota crescente di cittadini non ha più fiducia nelle classi dirigenti e si rivolge a una offerta politica alternativa, caratterizzata da una radicale carica antisistema.
Come cambiano, se cambiano, le politiche economiche in questo nuovo quadro d’insieme? Spesso le ricette sovraniste si scontrano con le necessità di bilancio, con la realtà dei mercati, coi trattati internazionali. Come fanno i governi sovranisti a risolvere questi nodi? Quali paradigmi economici vengono messi in discussione? Quali le possibili alternative?
Nella prossima edizione del Festival, economisti, scienziati politici, storici e studiosi di varie discipline rifletteranno insieme a operatori e rappresentanti politici e istituzionali su queste interazioni fra conflitto politico e conflitto economico, come sempre guardando al di là del caso italiano e ponendo l’attenzione sui cambiamenti rilevanti nella politica economica americana e sulle incertezze dell’unificazione economica e politica europea.