Non si può mai stare tranquilli, nemmeno in Inghilterra. Dopo gli Stati Uniti, infatti, anche nel Regno Unito la nuova frontiera del politicamente corretto avanza pericolosamente, spostandosi nei territori del salutismo, dell’alimentazione, dell’imposizione statale di stili di vita “corretti” a suon di tasse e divieti.
La prima avvisaglia c’era stata qualche settimana fa, dopo mesi e mesi di martellante campagna mediatica e (purtroppo) con relativo cedimento del governo conservatore: l’imposizione di una nuova tassa sulle bevande gassate e zuccherate, per “punirne” e disincentivarne il consumo.
Sul Times di due giorni fa (prima pagina, prima notizia del giorno!) è arrivato il colpo di grazia, sotto forma di una preannunciata lettera al governo dei leader dell’opposizione (laburisti, liberaldemocratici, più personalità varie) per chiedere l’estensione del pugno di ferro anche nei confronti di quello che viene chiamato “junk food”, cibo spazzatura, merendine, prodotti ingrassanti.
E cosa si pretenderebbe? Un pacchetto di misure draconiane, da rieducazione di stato. Primo: estensione anche a questi cibi della nuova tassazione. Secondo: divieto di pubblicità per questi prodotti prima delle nove di sera. Terzo: divieto (non si capisce come) per personalità e celebrità di fare da testimonial pubblicitari. Quarto: divieto di usare negli spot i cartoni animati, perché potrebbero attrarre i bambini. Quinto: obbligo per i ristoranti di esporre i dati delle calorie. Sesto: obbligo di inserire sulle confezioni un “semaforo” di avvertimento sulle caratteristiche del prodotto. Settimo: divieto delle offerte “paghi uno-prendi due”, perché potrebbero incoraggiare un consumo eccessivo.
Come si vede, a parte un paio di misure informative (quindi accettabili anche in chiave liberale), tutto il resto è un pesante mix di divieti, imposizioni, punizioni. Intendiamoci bene: il problema esiste, e sarebbe ingiusto negarlo. Un terzo dei bimbi inglesi è a rischio di obesità prima di aver concluso il ciclo della scuola elementare, e per i bimbi di famiglie povere il rischio è addirittura doppio. Ma quello che colpisce è l’idea che, per affrontare il problema, servano leggi e tasse.
A ben vedere, si tratta di un’operazione tre volte pericolosa. In primo luogo, perché deresponsabilizza le famiglie, i genitori: sta a loro, non allo stato, occuparsi della dieta di ragazzi e ragazze. Chi non lo comprende, apre la porta a interventi sempre più penetranti del governo nella vita e nelle scelte private dei cittadini. In secondo luogo, perché questi prodotti sono già tassati attraverso l’Iva (in Inghilterra si chiama VAT). In terzo luogo, perché le tasse non sono un “martello etico” da dare in testa a chi abbia comportamenti ritenuti “devianti” rispetto alle logiche del politicamente corretto.
In una concezione minimamente liberale, il massimo che la mano pubblica possa fare è promuovere campagne informative, illustrare i rischi connessi a un certo stile di vita o a certe abitudini alimentari, incoraggiare la pratica sportiva come risposta ad alcuni pericoli per la salute. Ma, appunto, si tratta di informare, non di imporre regole o di penalizzare chi non le voglia seguire. E ciascuno dovrebbe restare libero di comportarsi come preferisce, a proprio rischio e pericolo.
Non tocca al ministro della sanità o al primo ministro prendersi cura di noi, rimboccarci le coperte, imporci la maglietta di lana d’inverno e quella di cotone d’estate. Se si entra in questo territorio, in un primo momento le conseguenze possono essere comiche: immaginatevi, qui in Italia, il giustizialismo applicato alle porzioni troppo abbondanti, ai cornetti con la crema, al panino troppo oleoso, all’hamburger con troppo ketchup, alle patatine fritte descritte come un nuovo killer… Ma, in un secondo momento, dal comico si può arrivare a qualcosa di più pericoloso: se passa il principio che lo stato, il governo, una maggioranza, possono decidere della mia alimentazione, allora potranno decidere anche per altri aspetti più delicati e sensibili della mia vita privata.
Addolora – ma non sorprende – che proprio a sinistra siano gli ultimi a capire queste cose: troppo presi a discutere di “diritti”, si sono dimenticati una cosa chiamata “libertà”, e non hanno alcun freno nell’immaginare uno stato onnipresente, onnipotente, onnidecidente. C’è da augurarsi che non finisca anche qui come in Inghilterra: dove a queste tendenze illiberali della sinistra ha finito per cedere anche una parte non irrilevante del centrodestra, per ragioni di “paternalismo”, o anche solo per non apparire insensibile ai dogmi del politicamente corretto. Deriva pericolosa, molto più di una merendina con troppi grassi.