A chi appartiene la vita? Ad ogni individuo libero di affidarla a chi vuole, in base a ciò che gli suggerisce la coscienza. Questa la frase che non mi scorderò mai di ripetere e che scrisse Roberta Tatafiore, la militante per i diritti civili che ad un certo punto della sua vita decise di suicidarsi.
La vita appartiene a ciascuno di noi. Può essere bella o meno bella, ma nessuno – nemmeno le leggi dello Stato – possono disporne al posto nostro. Siamo un Paese libero e democratico. Si dice.
Se così fosse esisterebbe la possibilità per ciascuno – come nella civile e democratica Svizzera (ove esiste la democrazia diretta !) – di decidere come e quando morire.
E non scoppierebbero assurdi “scandali” come i casi Englaro e Piero Welby. E nessuno si scandalizzerebbe e la Chiesa cattolica comprenderebbe, forse, che l’amore per le persone, per gli esseri viventi, passa anche attraverso la liberazione dalle sofferenze.
Perché la morte non è che la prosecuzione della vita in un’altra dimensione, in un’altra forma, non la sua negazione. Mentre la sofferenza è una forma di violenza. La sofferenza è la negazione vera della vita e dell’amore.
E così ecco gli angeli di Dignitas – associazione svizzera per il suicidio assistito – ed ecco gli angeli dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato e Mina Welby.
Il primo accompagnò dj Fabo il febbraio scorso in una clinica Svizzera che autorizza il suicidio assistito. Dj Fabo, cieco e tetraplegico a seguito di un incidente, non ne poteva più di vivere in quelle condizioni inumane. E aveva chiesto, con dignità, di farla finita. Non prima di aver trasmesso al Presidente della Repubblica Mattarella un messaggio chiedendo che il Parlamento approvasse al più presto una legge sul testamento biologico e sul fine vita.
Nei giorni scorsi Mina Welby ha accompagnato in Svizzera Davide Trentini, l’uomo che da anni soffriva di sclerisi multipla ed i cui dolori erano diventati insopportabili. Davide, come dj Fabo, chiedevano solo di essere liberi dalle sofferenze. Ed una legge che permettesse loro di poter porre fine alla loro agonia in Italia, senza dover ricorrere – con i costi ingenti del caso – ad una clinica Svizzera. E’ quello che chiedono molti malati, molte persone sofferenti.
Quella di Mina e di Marco, autodenunciatisi per aver accompagnato queste persone in Svizzera, è ed è stata solo umanità ed amore per il prossimo. Accoglimento di una estrema richiesta di aiuto.
Il Parlamento e le istituzioni italiane, invece, rimangono silenti sull’argomento. La legge sul fine vita è “in stallo”.
E’ questo un Paese civile, libero e democratico ?
E’ questo un Paese ove l’amore per il prossimo e per l’umanità afflitta è destinato a prevalere ?
Attendiamo risposte, al momento, con le lacrime agli occhi, perché non c’è nulla di peggio dell’indifferenza e della mancanza di libertà di coscienza dei cittadini.
Di Luca Bagatin