Vergot significa “qualcosa” ed è il contrario di “negot” che significa niente. Qualcosa è certamente l’amore, amore che – in questo documentario girato in Valle di Cembra – parla una lingua due volte differente. E vedremo perché!
Gim ha 17 anni quando inizia a capire di essere omosessuale, a 19 ne parla con il fratello Alex. Gim è un ragazzo languido e gentile, Alex un ragazzo moderno tipicamente “delle valli”. Entrambi vivono con la mamma e con il papà per l’appunto in una valle alpina, la Valle di Cembra; località di indubbio fascino, un bellissimo luogo tra le montagne, dove il tempo passa lentamente, le sere sono tutte uguali e non conoscersi tutti – tra adolescenti – tra bar e scuola e lavoro – è impossibile.
Per questo – poiché il contesto è moderno ma contenuto – nascondersi non è possibile e evitare di entrare in conflitto con la famiglia, cattolica, di montagna, tradizionale, è altrettanto inutile.
Gim non ha vita facile con il papà, arrabbiato di aver messo al mondo un figlio omosessuale, vorrebbe “poter rimediare” in senso lato .. contrito e esasperato tra sensi di colpa e rabbia. E che cosa se ne farà mai Gim della sua omosessualità in un posto così piccolo, dove il “bar” offre karaoke e freccette e dove se non si va in motocicletta e se non si va a donne è perché ci sono gli alberi da potare?
Insomma, non sarà semplice il dialogo con le parti, con i coetanei – intimoriti dalla diversità – con la famiglia, che logicamente non ha molte altre famiglie uguali con quel “Vergot” da condividere.
La famiglia sperimenta il linguaggio della diversità mentre gli spettatori sperimentano un linguaggio forte e colorito, un doppio sperimentare che è funzionale – forse senza ricerca – alla comprensione della difficoltà emotiva.
E però ci pensa il film di Cecilia Bozza Wolf, che con la telecamera registra e gira e ciacka, tanto che attualmente porta ad Orizzonti Vicini una storia indubbiamente d’amore, un amore decisamente rock (per attori e per spettatori) ed esternamente molto forte nella esiguità della debolezza di un equilibrio precario e sempre da discutere. Trasparente. Semplice.
La naturale semplicità di questi personaggi, che sono personaggi nella loro stessa normalità, diventa significativa di un “Vergot” che ha evidentemente lasciato un segno, aperto una porta.
Il film documentario è di difficile comprensione, trattandosi di dialetto, ma al contempo diviene di semplice interpretazione, esattamente per lo stesso motivo.
Non serve aggiungere altro: questa pellicola di 60 minuti è meritevole di attenzione, quantomeno per aver parlato del Trentino in modo sincero e diretto, come raramente accade, specialmente se si parli di giovani.
A cura di Martina Cecco