Il sangue dei Siriani ed Aleppo

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Siria

Seguo con partecipazione emotiva le vicende della Siria, alle quali ho già dedicato più articoli in un recente passato. Concentro la mia attenzione su tre prese di posizione. La prima è del Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Persona che stimo e che era certamente animata dalle migliori intenzioni; anche se il bilancio dei risultati conseguiti, in particolare in politica estera, non è felice. Una cosa positiva Obama l’ha fatta: l’accordo con l’Iran, che, da un lato, tende a fermare la propensione di quello Stato a dotarsi di armi nucleari, e, dall’altro, toglie l’Iran dall’isolamento e dal regime di sanzioni, per riconoscergli a pieno titolo una nuova credibilità come potenza regionale che può svolgere un ruolo significativo per arrivare ad una pace stabile in Medio Oriente. Rispetto alle vicende della Siria ed alla battaglia di Aleppo, il Presidente Obama dichiara, da ultimo, che «il sangue dei Siriani è sulle mani del regime di Assad e di Putin».

La seconda presa di posizione è dell’ex ambasciatore italiano negli Stati Uniti ed ex Ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata; che ho ascoltato, dalla sua viva voce, il 17 dicembre scorso, grazie a Radio Radicale. Destano meraviglia, in un diplomatico di carriera, cotanto eccesso polemico, ed il manifestare un incontenibile sdegno, che ci si aspetterebbe in chi non abbia sufficiente esperienza di mondo, mentre è meno giustificabile da parte di chi, per età, esperienze lavorative e conoscenze storiche, dovrebbe avere un’idea chiara di quali siano le reali dinamiche della guerra, di tutte le guerre. Per Giulio Terzi, il Presidente siriano Bashar al-Assad ed il Presidente russo Putin sono responsabili del massacro della popolazione siriana. In particolare, Terzi sembra ossessionato dall’Iran, dipinto come la quintessenza di ogni male; così ama soffermarsi sul ruolo delle milizie sciite filo-iraniane, inclusi gli Hezbollah libanesi, le quali — a suo dire — si renderebbero colpevoli di indicibili efferatezze e di gratuite violenze. Ciò che l’ambasciatore Terzi vorrebbe, è vedere Assad e Putin chiamati a rispondere, come criminali di guerra, davanti ad una Corte di giustizia internazionale. C’è il piccolo particolare, non detto, che, per trascinare Putin davanti ad una Corte di giustizia internazionale, bisognerebbe prima combattere una guerra mondiale, che avrebbe le caratteristiche di una guerra combattuta anche con armi nucleari, e vincerla. Una quisquilia, com’è a tutti evidente.

Più costruttivo è l’editoriale del Direttore del quotidiano La Stampa, Maurizio Molinari, del 18 dicembre scorso. Molinari, il quale comprende bene la politica estera, osserva che la Russia, finora vincente sul piano militare, incontrerà presto due difficoltà. La prima è che, quando sarà definitivamente conclusa la battaglia di Aleppo, si renderà necessario iniziare la ricostruzione materiale della città, così come di tanti altri centri urbani siriani: una questione da miliardi di dollari. E’ ovvio che la Russia, da sola, non potrà farsene carico. La seconda difficoltà è che, quando bisognerà garantire il controllo dell’ordine pubblico nel territorio della Siria riunita sotto la leadership di Bashar al-Assad, l’esercito siriano, già fortemente provato ed indebolito, probabilmente non sarà in condizione di fare fronte a tutte le insidie che derivano dall’accumulo di odio in tanti anni di guerra feroce, a partire quindi dal rischio terrorismo. Anche in questo caso, la Russia non potrà sopperire da sola alle necessità, aumentando le proprie truppe; perché ciò, alla lunga, avrebbe un costo economico, oltre che umano, insopportabile. Di conseguenza, ci sarà bisogno di ulteriori accordi, tanto con Stati che appartengono all’Islam sunnita, in particolare la Turchia; sia, necessariamente, con la nuova Amministrazione del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

Tutto ciò premesso, è chiaro che la soluzione che si sta delineando in Siria lascia fortemente scontenti, nell’ordine: a) l’Arabia Saudita, che vorrebbe rappresentare l’intero Islam sunnita, ma, per fortuna nostra e degli islamici, non ci riesce; b) il Regno Unito e la Francia, ex potenze europee che, a più di cinquant’anni dalla fine ufficiale del colonialismo, non hanno perso il vizietto di pensare che sono legittimate a tutelare, con ogni mezzo, i propri interessi strategici in Medio Oriente, supposti come ancora attuali (ma, a quale titolo?); c) i circoli militari più oltranzisti dell’Alleanza Atlantica (la Nato), i quali si sentono in competizione con la Russia e vorrebbero penalizzarla ogni volta che sia possibile: dalla richiesta di sempre nuove sanzioni economiche, al potenziamento degli eserciti e degli armamenti in tutti i Paesi europei direttamente confinanti con la Russia, al mantenere sempre calda la questione dei rapporti fra Ucraina e Crimea russa, fino alla volontà di escludere la Russia dal Medio Oriente, quindi dalle sue basi navali nel Mediterraneo; d) l’Amministrazione statunitense del Presidente Obama, il quale ha certamente risentito del condizionamento (negativo) dei predetti circoli della Nato. Più difficile definire il ruolo della Turchia; la quale inizialmente ha favorito l’instaurarsi dell’ISIS nel territorio che comprende parte dell’Iraq e parte della Siria, così come ha armato e lasciato passare, attraverso le proprie frontiere, le milizie fondamentaliste islamiche combattenti contro Assad. Gente proveniente da ogni nazione, dall’Afghanistan all’Europa. La Turchia, in cui è ancora vivo il ricordo della potenza e dell’estensione territoriale di quello che fu l’Impero Ottomano, forse aveva inizialmente pensato di potersi avvantaggiare di un’eventuale dissoluzione della Siria, come autonoma realtà statuale, per incamerarne alcune province. Gli avvenimenti succedutisi dal 2012 ad oggi devono aver indotto la Turchia a più miti consigli. Infatti, la Turchia è diventata moderna ed ha potuto intrecciare rapporti di cooperazione sempre più stretti con l’Europa, grazie alla fondazione dello Stato laico turco realizzato da Mustafà Kemal, detto Atatürk, (1881-1938); colui che, tra le altre cose, pose fine all’istituto del Califfato. Il Presidente Recep Tayyp Erdogan crede molto meno nella concezione della laicità dello Stato e punta a caratterizzare in senso più islamico il Paese, anche con metodi autoritari. Si deve essere reso conto, tuttavia, che il fondamentalismo religioso è una brutta bestia, che nessuno è in condizione di addomesticare, o di controllare fino in fondo. Se, in ipotesi, anche in Turchia venisse imposta la sharia, ossia la legge islamica, non sarebbe più Erdogan a comandare, ma religiosi tanto intransigenti quanto fanatici, pronti a valutare e giudicare anche le colpe dell’attuale Presidente. Erdogan ha poi la questione dell’aspirazione dei Curdi all’indipendenza, questione rilevantissima dal suo punto di vista, perché riguarda l’integrità territoriale della Turchia. I Curdi sono stati addestrati ed armati dagli Stati Uniti, per essere poi utilizzati come truppe di prima linea nello scontro con l’ISIS; in particolare, nel territorio dell’Iraq, ma anche nel nord della Siria. Evidentemente, i Curdi non stanno sacrificandosi gratis, ma avranno ricevuto dagli Stati Uniti rassicurazioni e promesse anche circa le loro aspirazioni all’indipendenza nazionale ed alla riunificazione territoriale. Erdogan si è sentito minacciato ed ha cambiato strategia, cercando ora un’intesa con la Russia, l’Iran e la stessa Siria di Bashar al-Assad.

In tutte queste vicende, lo Stato d’Israele tiene, opportunamente, un profilo basso, anche se la Siria degli Assad è stata un suo nemico storico ed anche se gli israeliani mal sopportavano l’influenza siriana nel Libano. La più grande preoccupazione per Israele è sempre stata costituita dell’Iran, che difende Assad. Proprio con riferimento all’Iran è opportuno fare un minimo di chiarezza. Quando consideriamo la storia d’Italia, caduto il fascismo e finita la guerra, un intervallo di tempo assai breve separa il governo Mussolini dal governo De Gasperi: eppure, in quei pochi anni, era cambiato il mondo, e De Gasperi era l’antitesi vivente di ciò che era stato il regime mussoliniano. Perché non si riesce a comprendere che processi di cambiamento, profondi, possono riguardare anche altri stati? Mahmoud Ahmadinejad fu eletto Presidente della Repubblica iraniana nel mese di giugno del 2005. Può essere che non ci si renda conto che l’attuale Presidente dell’Iran, Hassan Rouhani, eletto nel giugno del 2013, ha vinto un duro scontro con i conservatori, gli stessi che avevano espresso Ahmadinejad? Può essere che non ci si renda conto che Mohammad Javad Zarit, Ministro degli Esteri iraniano, è persona moderata e civile? Perché comprendiamo che, nella stessa Chiesa Cattolica, un Papa possa avere un indirizzo diverso da un altro, ed invece diamo per scontato che la suprema guida religiosa iraniana non possa contemperare indirizzi diversi? Rouhani governa con il placet dell’Ayatollah Ali Khamenei; il quale è in carica dal 1989: dunque, la suprema guida religiosa prima ha fatto l’esperimento di Ahmadinejad e poi ha ritenuto che fosse più saggio per il Paese abbandonare quella strada ed intraprenderne una nuova. Una tendenza riformatrice va incoraggiata; i pregiudizi tendono, invece, a fermare il tempo, come se tutto restasse sempre uguale.

L’Iran non è certo uno Stato laico, quale noi l’intendiamo; ciò è vero. Putin, Erdogan, Bashar al-Assad, il Presidente dell’Egitto Abd al-Fattah al-Sisi, incarnano, con modalità diverse, una medesima logica di governo autoritario; anche questo è vero. Tuttavia, noi dobbiamo avere a cuore, dobbiamo volere fermamente, il mantenimento di buoni rapporti con la Russia, la Turchia, l’Iran, la Siria, l’Egitto. Loro hanno bisogno dell’Europa tanto quanto noi abbiamo bisogno di loro: dalla cooperazione e dall’interscambio commerciale derivano soltanto vantaggi reciproci. I governanti, più o meno simpatici, passano; ma i popoli restano; e, in tutti i casi considerati, si tratta di popoli importanti. Per restare al mondo arabo, Siria ed Egitto, anche dal punto di vista della storia recente, dal diciannovesimo secolo in poi, hanno rappresentato le realtà culturalmente più stimolanti. Chi ha pensato di cancellare la Siria dalla carta geografica, per spartirsene le spoglie, ha fatto un danno incalcolabile non soltanto alla stabilità di una delicatissima area geo-politica, ma alla prospettiva che le società islamiche possano dotarsi di istituzioni laiche in grado di rispettare davvero le minoranze religiose (la Siria ne è piena) e di fare argine contro il fondamentalismo religioso dei fanatici.

Stando alla propaganda inglese e statunitense, i Siriani sarebbero stati massacrati dai russi, dai governativi fedeli ad Assad, dalle milizie sciite filo-iraniane. Da una parte popolazione civile inerme; dall’altra, assassini assetati di sangue, veri e propri criminali contro l’umanità. É possibile che i nostri organi d’informazione di massa avallino, acriticamente, tale propaganda? I miliziani di al-Nusra che ruolo hanno, in questa narrazione?

Quando i fondamentalisti islamici assediavano Damasco, nessuno si lamentava. Tanto Bashar al-Assad è un dittatore cattivo, quindi importava poco che lui e tutta la popolazione che in lui si riconosce fossero eventualmente massacrati. Dopo la svolta impressa dai russi al conflitto, quando il fronte si è rovesciato, allora l’imperativo categorico è diventato fermare immediatamente la guerra, perché non deve essere consentito ai “cattivi” di vincere. Non ci si rende conto di quanto sia infantile, e un pò cialtrone, questo modo di ragionare? Il “Free Syrian Army“, organizzato dagli inglesi nelle fasi iniziali del conflitto e supportato anche da carri armati dell’esercito di Sua Maestà, era stato allestito per fare pacifiche scampagnate? Il Fronte di al-Nusra è un’organizzazione di filantropi? Ogni vita umana stroncata merita rispetto. Ogni violenza contro esseri umani offende il sentimento di umanità. Ma tutti devono essere considerati con pari dignità davanti alla morte ed alla violenza. Non ci possono essere morti giustificate e morti ingiustificabili. Prendere dei cadaveri di bambini e metterli sotto i riflettori non significa indicare con certezza dove sta il male; perché magari altri cadaveri, di altri bambini, in tempi diversi non sono stati posti sotto i riflettori, ed erano vittime della parte avversa.

 

 

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