Clinton o Trump? Si salvi il popolo, al popolo la decisione, alla democrazia la ragione della vittoria, alle urne il diritto di scegliere. E qui non è più questione di stabilire se sia meglio parlare di repubblicani, democratici, verdi, indipendenti. Protezionismo, puzza stantia, il mito libertario degli USA precipita, il sogno liberale si annebbia, il liberismo affloscia su tette cadenti e cerone che cola, lampade posticce e soft horror.
Da qualsiasi parte la si guardi la vicenda elettorale USA è delle più semplici e impossibili allo stesso tempo: è finita la politica, la politica è morta, evviva la politica!
Ci trovavamo alle soglie dei risultati finali delle primarie, quelle che hanno escluso il candidato più trasparente, Bernie Sanders e la denuncia che la stampa faceva all’America era duplice: violenza in aumento e aumento dell’intolleranza.
Queste – insieme alla povertà e alla ormai classica canzoncina sull’America super partes nel mondo – le due principali scosse di energia che hanno mosso il popolo delle primarie a scegliere la fierezza e la diplomazia della Lady più cinica, rispetto all’umile Sanders, che ha rimesso a posto gli abiti da fiera per tornare nelle fila dei mediani.
Ci troviamo così di fronte a due “potentissimi” della politica, che provengono da storie diverse, sono ad oggi le due personalità più forti dell’Occidente (per come lo conosciamo dalla stampa) che possono arrivare a influenzare con le loro parole miliardi di persone.
Comunque la guardiamo non si può parlare di libertà e di democrazia, non si può nemmeno capire come la scelta libera (e liberale) di un cittadino americano possa essere garantita.
Se in Italia si fatica a far rispettare la Par Condicio, va meglio in USA? Chiaro, non serve, lo dicono i media. Non serve mettere in fila tutti i candidati per la presidenza degli Stati Uniti, perché solo i principali attori di questo teatrino degli orrori hanno il diritto alla ribalta internazionale.
Tutti quindi concentrati con gli occhi spalancati e con le orecchie bene aperte su Clinton e Trump, ma l’emergenza non era forse quella della violenza, del razzismo, e dell’inquinamento?
Abbiamo seguito i dibattiti: tra calunnie e accuse, vere o false poco importa, del programma è arrivato ben poco. Ridurre la Co2? Pare che all’America non importi; le armi ai minori? Pare che alla fine non importi nemmeno quello. Le sparatorie con la Polizia? Importa ma non si parla neanche di quello.
Ma questi due candidati – allora – che cosa vogliono fare in America? Io penso che qui si tratti di una stessa medaglia, fronte e retro, in entrambi i casi – vinca Lei o Lui – pubblicità progresso genderizzata alla brillantina, al lifting, alla decolorazione del crine, in entrambi i casi è il passato.
E c’è da augurarsi che questo passato esploda – nel senso politico, ovviamente, del termine – che con il muso dei curiosoni a casa d’altri (quelli che intenderebbero averci adottati dalla II Guerra Mondiale in poi, perché noi siamo i derelitti della miseria secondo costoro) andiamo a cozzare fortemente contro il muro di gomma che copre le magagne americane, ma che sempre più spesso lascia passare un fetido odore, quello del topo morto nascosto sotto il tappeto.
C’è da sperare – dicevo – che il sistema fracassi, mica solo per noi miserrimi europei, che già dopo la Brexit abbiamo avuto un po’ di respiro in più; ma specialmente per i giovani americani, che attualmente sono forse di tutti i giovani i meno liberi intellettualmente, prigionieri di una logica che promuove il più forte (o il più ricco) tra urla, attacchi, violenza e pornografia soft. Clinton e Trump, tutto sommato quel passato d’America che si spera sia l’ultimo rigurgito. Insomma se Obama ha deluso senza però danneggiare, c’è da sperare che da qualche parte si apra, quella falla, per togliere il topo morto da sotto il tappeto.
Per la gioventù del futuro, per un’America che sia libera, ma davvero, dai poteri incancreniti ma anche dalla logica del dollaro e del petrolio. Farà bene a tutto il mondo, la rimozione, del topo morto, si intende. E così attendiamo con ansia novembre, l’esito delle elezioni.
Di Martina Cecco