Il razzismo oggi

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Se le cose vanno male potrebbero anche non andare peggio

Di Martina Cecco

Non e’ ancora chiara la matrice razzista del popolo italiano, che per origine, intendendo quella dell’Impero Romano, ha la fortuna, rispetto ad altre Nazioni, di rappresentare una grandissima parte di mondo. La piaga xenofoba che pure emerge nei momenti di crisi, forse per proteggersi, c’e’: ma di fronte alle reazioni della settimana scorsa verso il presidente del Senato non ci sono parole per definire il nonsense della maturazione culturale nostrana. “Ebreo sarai tu” hanno detto a Schifani, colpevole di aver visitato Aushwitz ed aver detto: “Siamo tutti israeliani”. Frase grossolana, ma che voleva significare molto di piu’.
Un botta e risposta dietro il quale c’e’ piu’ di un parere, piu’ di una idea, ma che non trova una collocazione utile al presente; il messaggio nasconde piuttosto un disagio forte, quello di una parte di societa’ che lo sterminio lo ha rimosso, non lo ricorda e non lo ha mai assimilato come un fatto della storia che gli appartiene. Una generazione che e’ cresciuta sopra a questo fatto, sopra come la lamiera sul cemento, certo non sopra come la terra sulla terra. E dunque infertile: ecco, una generazione sterile. Che tristezza! E cosi’ “Militia” la firma dei messaggi “genofobi”, non sa e non vuole sapere, perche’ se avesse saputo non avrebbe scritto.

Con una frase a bruciapelo il giovane antisemita si difende, perche’ si sente psicologicamente estraneo. E pensa: “Io non appartengo ad Aushwitz, non ero li’ e non riconosco questa parte della storia come qualcosa di mio. Io non sono ebreo, pensa allora il graffittaro, non sono ebreo, dunque, perche’ Schifani, che mi rappresenta, parla a nome mio come se anche io fossi ebreo? Gli ebrei erano nei campi, insieme ai malati di mente, dunque erano degli scarti, se mi definisce ebreo divento scarto anche io.” Ecco qua: fine del ragionamento di chi di storia non ne capisce niente, ma ha una mente lineare e nella sua limitatezza coerente.
Eppure da certa parte della cultura la superficialita’ di usare il termine “Ebreo” come aggettivo, al posto di ebraico fra l’altro, per definire una persona che in genere ha qualcosa che non va, negativa o semplicemente colpevole di qualcosa o che da’ fastidio, questa superficialita’, esiste. Il termine e’ usato anche in modo simpatico dai giovani, ma non se ne capisce esattamente la logica.
Ad ogni modo: dare dell’ebreo non e’ una cosa buona, ai nostri tempi, perche’ nasconde un rigetto dell’antifascismo. A nessuna persona che conosce la storia bene verrebbe mai in mente di scrivere qualcosa del genere anche solo sul suo diario personale, pensa che vergogna scriverlo in pubblico; si’, una persona di cultura, specie se di destra, uno svarione del genere non lo scriverebbe mai.

La vicenda di fatto si e’ conclusa con una visita solidale da parte della Comunita’ ebraica di Roma e delle Comunita’ ebraiche italiane a Schifani: uomini che hanno sentito il bisogno di discutere di razzismo e antisemitismo, rilanciando il progetto di acculturazione dei giovani in fatto di olocausto e di nazismo.
Che i sentimenti di estrema destra siano in aumento anche tra i giovani era chiaro, si riesce a leggerlo tra le righe degli atteggiamenti di piazza: quando non c’e’ piu’ la voglia di discutere per capire, ma si vuole chiudere la porta e rimanere nel proprio nido caldo a crogiolarsi in se stessi, succede proprio questo. Certo il disagio sociale e le crisi dei valori, nei momenti difficili, quando il mondo del lavoro e’ in crisi, l’economia non va bene e i soldi a fine mese mancano, si trasformano in lotta per la sopravvivenza: “mors tua e vita mea”, ma che da questo si arrivi a scavare nel passato tanto da far riemergere cultura nazista e’ cosa d’altri mondi.

Grandi citta’ e grandi solitudini, da cui nascono odio e intolleranza, incapacita’ di convivere con il prossimo e di accettare che il prossimo sia differente da se’. I giovani soli, nel loro isolazionismo, hanno bisogno di sentirsi uniti contro qualcuno, di avere un obiettivo da mirare, per creare un forte legame, ed ecco che scatta il meccanismo per cui piu’ il nemico rappresenta un tabu’, piu’ farlo diventare un nemico serve per unire. Siccome l’Olocausto e’ stato per anni un tabu’ culturale, ecco che e’ stato trasmesso come tale ai figli.

Succede con lo stesso meccanismo per cui gli indiani si trovano dipinti come negativi anche oggi nei film: nella dinamica storica c’e’ stato lo stesso sterminio. Esisteva un nemico? Di sicuro era un indiano, con le piume, le frecce e i cavalli imbizzarriti. L’indiano che passa, uccide e se ne va urlando.. esatta copia la caccia alle streghe, stesso fenomeno la paura dei matti .. chi sara’ quell’albanese e chi sara’ quel marocchino? I drogati! La peste! Il malato di HIV.. Questi sono tutti tabu’ del retaggio culturale. Grossi tabu’ che costano parecchio: non si sa come affrontarli ma si pagano altro che a peso d’oro .. l’ultimo a Milano ha pagato con una spraga ed erano solo 15 giorni fa.

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