Egitto: la democrazia ancora lontana

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di Giovanni Radini

La strada per la democrazia in Egitto è ancora lunga. Lo dimostra il modo in cui Il Cairo sta gestendo questa micro-crisi seguita al rapimento di 19 turisti occidentali, fra cui 5 italiani. Martedì pomeriggio, a poche ore di distanza dall’avvenuto sequestro, il Ministro degli Esteri egiziani, Abul Gheit, si è lasciato imprudentemente sfuggire la dichiarazione sulla loro liberazione. Immediata è stata la smentita del suo stesso governo. I nostri connazionali – dopo un rimbalzo di agenzie, una in contraddizione con quella precedente – sono ancora nelle mani dei rapitori.
Altro che problema risolto! Il fatto è che nulla è certo. Né l’identità dei sequestratori, né il luogo dove i rapiti sono stati portati. Prelevati nell’Alto Egitto, passati in Sudan, poi trasferiti in Libia. Troppe le notizie confuse. Poca la trasparenza.
Il presidente Mubarak – rais e faraone d’Egitto – è indiscutibilmente l’alleato più affidabile per noi. È il diretto successore di Sadat. E prima ancora di Nasser. Vanta un passato da militare ed è apprezzato per le sue doti diplomatiche. Non a caso è lui, insieme ad Abdallah di Giordania, a fare da primo mediatore nel processo di pace israelo-palestinese.

Ciononostante, è in queste situazioni che il suo Egitto mostra tutte le debolezze interne. Debolezze che marcano vistosamente la lontananza dall’affermazione di un regime democratico. Repressione e scarsa trasparenza sono all’ordine del giorno nel Paese. I Fratelli Musulmani arrestati in questi ultimi tre mesi sono più di un centinaio. D’altra parte, sono proprio loro a riscuotere l’appoggio delle masse più indigenti. In una società il cui il 40% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, vince chi si fa carico delle esigenze di prima necessità e promette una concreta emancipazione. Non chi è attaccato al potere e non sfrutta questo privilegio per modernizzare il Paese.
Il governo del Cairo, invece, si è invischiato in una sequela di contraddizioni. Spiegabili unicamente dal fatto che il Paese non può permettersi di gestire un pericolo terroristico contro i suoi sacri visitatori stranieri. Con l’11% del Pil, il turismo resta una voce di bilancio irrinunciabile. L’obiettivo è arrivare, nell’arco di due anni, a 140 milioni di ingressi. Un’ambizione che non può essere messa in discussione dal gesto di chissà quale orda di predoni del deserto, a loro volta strumentalizzati da gruppi salafiti che cercano di introdursi nella società locale.
Ecco motivata – ma non giustificata – l’impulsività affrettata di Gheit. L’Egitto, così facendo, sta cercando di restare a galla. L’auspicio è che possa fare altrettanto in futuro. Oppure che, intervenendo con un vero sistema di riforme, cominci davvero a modernizzarsi.

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