Cosa significa la questione siriana

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Damasco è una città antica; anzi antichissima. Chi ama la Storia avverte il particolare fascino che promana da questa città; da millenni teatro di vicende umane.

Quando gli Arabi divennero una potenza mondiale, alla fine del settimo secolo, Damasco fu scelta come capitale dai Califfi della dinastia degli Omayyadi e rimase capitale del Califfato fino all’anno 750. La fama ed il prestigio della città erano, tuttavia, precedenti all’avvento degli Omayyadi ed affondavano le loro radici letteralmente nella notte dei tempi. Quando il 18 agosto di quest’anno delle belve con fattezze umane hanno ucciso l’archeologo Khaled al-Asaad (1934-2015), per anni responsabile del sito archeologico di Palmira, molti organi di informazione hanno rievocato, tra l’altro, le vicende di Zenobia, regina di Palmira nel terzo secolo dopo Cristo, che tenne baldanzosamente testa all’Impero di Roma.

Si potrebbe risalire molto indietro nel tempo rispetto alla nascita di Gesù Cristo, come provano le ricorrenti citazioni di Damasco e dei siriani nella Bibbia.

Le cronache dei nostri giorni danno molto spazio alla Siria, soprattutto per due motivi: 1) la decisione della Cancelliera tedesca Angela Merkel di riconoscere una speciale accoglienza, quantitativamente significativa, in Germania ai profughi siriani; 2) la decisione del Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, di intensificare l’assistenza militare al governo siriano presieduto da Bashar al-Assad.

Dal mio punto di vista, entrambe le iniziative vanno valutate positivamente.

Partiamo dai profughi. Essi, con tutta evidenza, fuggono dall’ISIS, ossia dal sedicente Stato islamico dell’Iraq e della Siria. E’ noto che la grande maggioranza della popolazione siriana è di fede islamica, secondo l’osservanza sunnita. L’ISIS vorrebbe rappresentare la quintessenza della purezza della fede secondo i costumi sunniti, ma il popolo sunnita preferisce abbandonare tutto ed affrontare le sofferenze dell’esilio, piuttosto che sottostare al potere degli estremisti che vorrebbero trarre legittimazione proprio dai valori religiosi.

Questa contraddizione rivela ai più quanto coloro che hanno un minimo di conoscenza della religione e della storia dell’Islam avevano compreso da tempo: l’ISIS strumentalizza la religione per arrivare al potere, ma fornisce la peggiore interpretazione possibile dell’Islam. Un’interpretazione povera, rozza, violenta, essenzialmente antistorica nel suo odio contro la cultura, cioè contro ciò che è espressione della libera creatività umana. Basta avere contezza delle bellezze dell’architettura e dell’arte prodotte dalla civiltà islamica, dalla Spagna alla Sicilia, da Damasco ad Isfahan (nell’attuale Iran), dal Cairo al Marocco, per rendersi conto che le belve con fattezze umane che hanno ucciso il vecchio archeologo di Palmira non hanno titolo per ergersi a paladini dell’Islam: sanno soltanto distruggere quanto altri hanno abilmente edificato nei secoli. E’ privo di senso il voler distruggere ogni testimonianza di civiltà pre-islamiche. La Storia non comincia con la fondazione dell’Islam; per primo ne era profondamente consapevole il Profeta Maometto, che accordò protezione alle altre, precedenti, religioni del Libro (Ebrei e Cristiani) e che accordò analoga protezione ai credenti nella antica religione di Zoroastro, in Persia. Noi italiani abbiamo il privilegio di leggere e studiare Dante Alighieri. Sappiamo quindi tributare il dovuto rispetto a personalità storiche islamiche come quelle di Saladino, (Salāh al-Dīn), Avicenna, (ibn Sīnā), Averroè (ibn Rushd); al riguardo si riprenda in mano il quarto canto dell’ “Inferno“. Oltre Dante, sappiamo che c’è tutto un mondo storico, caratterizzato da una ricca e profonda spiritualità: da al-Gazālī, che fu filosofo teologo e mistico, al fenomeno del sufismo, che si espresse in una varietà di scuole.

Tanto la Siria quanto l’Iraq furono inventati, come Stati nazionali, da un accordo fra Regno Unito e Francia. Dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano nella prima guerra mondiale, si trattava di decidere come spartire le zone d’influenza nel Medio Oriente, nei territori dell’ex Impero sottratti alla Turchia. Dall’intesa fra l’inglese Sykes ed il francese Picot, derivò che Siria e Libano ricadessero nella sfera d’influenza francese, mentre la Transgiordania (comprendente la Palestina e l’attuale Israele) e l’Iraq furono ricondotti alla sfera d’influenza del Regno Unito.

Dopo la seconda guerra mondiale, conclusosi il tempo delle potenze coloniali, gli Arabi cercarono di essere protagonisti del proprio destino. L’Egitto e la Siria, pur non essendo territorialmente confinanti, per un periodo diedero vita ad un’unica entità statuale: la Repubblica Araba unita (RAU). Fallito quel disegno, tanto la Siria, quanto l’Iraq, finirono sotto il controllo di gruppi dirigenti formatisi nel partito Ba’th. Manifestazione tipica e peculiare del socialismo arabo. Hafiz al-Assad governò ininterrottamente la Siria dal 1971 al 2000. I suoi rapporti personali con Saddam Hussein, governante l’Iraq, furono pessimi, nonostante l’identica formazione ideologica. I due dittatori avevano, però, una circostanza che li accomunava. Saddam Hussein era espresso da una comunità sunnita in uno Stato, l’Iraq, la cui popolazione era nella stragrande maggioranza di osservanza sciita (la stessa fede che prevale in Iran). Assad faceva parte di una comunità di Alauiti, di osservanza sciita (ma, non coincidente con gli Sciiti duodecimani dell’Iran), in uno Stato, la Siria, la cui popolazione era nella stragrande maggioranza di osservanza sunnita. I dittatori erano, cioè, entrambi espressione di minoranze religiose. Di conseguenza, per intima convinzione, o giocoforza, furono aperti e tolleranti in materia religiosa. E’ noto, ad esempio, che Tareq Aziz, il quale dal 1983 al 2003 ebbe un ruolo di primo piano nel regime irakeno, con particolare riferimento alla politica estera, fosse cristiano. Sunniti, Sciiti, Cristiani, Drusi, poterono convivere pacificamente in Stati (Siria ed Iraq) da questo punto di vista abbastanza laici. Furono invece combattuti i Curdi, non per motivazioni religiose, ma per la loro richiesta di indipendenza. I Curdi, com’è noto, non sono Arabi, ma sono una popolazione iranica.

Bashar al-Assad è un dittatore per caso. Secondo logiche monarchiche, ha ereditato il potere paterno, ma il vero erede era suo fratello, a questo compito specificamente addestrato. Un imprevisto, ossia la prematura morte del fratello, gli ha dato un potere per il quale lui, medico, non era tagliato e che forse in cuor suo non voleva.

Quando, nel 2011, il vento delle primavere arabe ha cominciato a spirare anche in Siria, si pensava che il regime personale degli Assad fosse arrivato al termine.

Al di là delle richieste liberali agitate dai primi oppositori (libertà di manifestazione del pensiero e di stampa, libertà di associazione, libere elezioni, pluripartitismo, sistema rappresentativo, autonomie locali), nelle quali immediatamente ci identifichiamo, fu subito evidente che la destabilizzazione della Siria apriva un grande gioco, in cui tanti Stati animati da storiche inimicizie si accingevano a giocare le loro carte.

Si potrebbe elencarli uno per uno, ma non servirebbe a niente. Tra tanti interessi contrapposti, che finora si sono paralizzati fra loro, ha avuto buon gioco un movimento estremista e fondamentalista, capace di incutere timore per la sua radicalità e per l’uso spregiudicato della violenza. L’ISIS è il peggio che, nelle condizioni date, si potesse avere. Non ha forza propria, ma riempie un vuoto.

Finora soltanto uno Stato islamico, l’Iran, lo ha combattuto davvero, anche se in modo non ufficiale. I volontari Curdi, per quanto armati dagli Stati Uniti d’America, possono resistere, ma non contrattaccare e vincere.

A questo punto un esplicito, maggiore, coinvolgimento della Federazione Russa potrebbe fare la differenza. I Russi difendono i loro interessi: la Siria degli Assad è sempre stata un alleato sicuro, che, tra l’altro, ha assicurato una importante base navale alla flotta russa nel Mediterraneo. La Federazione Russa, inoltre, ha al proprio interno il problema di un terrorismo che trae alimento dal fondamentalismo islamico. Un nemico irrazionale ed irrimediabilmente estremista come l’ISIS non può essere battuto per vie diplomatiche e con metodi pacifici. C’è un limite al pacifismo, sempre che si voglia essere realisti. Per reazione al maggior dinamismo russo, è possibile che finalmente siano costretti all’azione molti importanti Stati che finora si sono trincerati dietro dichiarazioni ipocrite ed hanno messo insieme una coalizione che non combatte.

La Turchia e l’Arabia Saudita devono rendersi conto che l’ISIS disonora l’Islam sunnita e, con i suoi comportamenti, si tira contro l’ostilità di settori sempre più vasti dell’opinione pubblica mondiale. Lo Stato di Israele, al quale non è parso vero vedere in ginocchio la Siria, già potenza egemone nel Libano ed ispiratrice delle milizie Hezbollah, deve pur riuscire a comprendere che, nel medio termine, potrà ricevere soltanto danni dalla prospettiva di un eventuale consolidamento di uno Stato radicale qual è l’ISIS.

Gli Stati Uniti hanno compiuto la scelta giusta in occasione della stipula del trattato che consentirà all’Iran di produrre legittimamente energia nucleare per scopi civili, fermo restando il divieto di uso a fini militari. Si è trattato di una scelta realistica, di cui va reso merito all’Amministrazione Obama: così si è riequilibrata la politica degli USA, che tanti guasti ha prodotto nel Medio Oriente, è si è recuperato alla collaborazione internazionale uno Stato importante qual è l’Iran.

Nelle questioni internazionali talvolta non è possibile seguire vie lineari, ma bisogna procedere per strade più tortuose, senza però perdere mai di vista dove si vuole andare. Nella vicenda siriana, l’ONU è fuori gioco, dal momento che si registra un disaccordo fra i cinque Membri permanenti del Consiglio di Sicurezza con diritto di veto (tra loro c’è la Russia). Bashar al-Assad è indiscutibilmente un dittatore; il suo regime è sospettato di aver usato missili con agenti chimici contro gli oppositori nell’agosto del 2013. Tuttavia, non è nemmeno possibile mettere a confronto il regime degli Assad, con l’ISIS. Centomila volte meglio Bashar al-Assad! Basti pensare a fenomeni che sono diretta conseguenza dell’avvento dell’ISIS: la persecuzione dei Cristiani d’Oriente e delle altre minoranze religiose; il riesplodere con la massima virulenza del conflitto fra Sunniti e Sciiti; la diffusione del fondamentalismo islamico in tutto il Nord Africa e nell’Africa subsahariana; la pressione migratoria sollecitata ed incoraggiata come arma di destabilizzazione dei Paesi Occidentali. Oggi c’è un nemico primario, che contraddice i più elementari valori di civiltà e minaccia tutta la comunità internazionale: va messo in condizioni di non più nuocere. Questo nemico è l’ISIS. L’attuale governo siriano certamente non è sufficiente a determinare il futuro della Siria, ma può ancora dare un serio contributo per battere definitivamente l’ISIS, affinché si apra una nuova pagina. Agli oppositori del 2011, non coinvolti nell’avventura dell’ISIS, vanno offerte fondamentalmente due garanzie: una completa amnistia per quelli che altrimenti il regime dovrebbe considerare come reati commessi per fini politici; la prospettiva di libere elezioni sotto il controllo di osservatori internazionali.

Sono in errore quegli Stati che, come la Francia, perseguono come obiettivo immediato l’uscita di scena di Assad. Se ciò avvenisse, l’ISIS conquisterebbe la stessa Damasco e tutto diverrebbe poi più difficile.

La Siria non può diventare da oggi a domani un posto tranquillo dove vivere dignitosamente. Ma dobbiamo fare in modo che cessi di essere un inferno.

 

1 COMMENTO

  1. Articolo oltremodo interessante ed equilibrato, dal quale si apprende in maniera opportuna che contrariamente a ciò che la maggioranza degli Europei in generale ed degli Italiani in modo particolare pensano a proposito dei Musulmani; infatti, bisogna pur riconoscere che non sono tutti fondamentalisti; che non sono tutti uguali; così come noi, anche loro professano le loro distinte interpretazioni della fede. Inoltre, anche loro hanno avuto autori di conio liberale, addirittura già prima che le idee del liberalismo si espandessero in Europa.
    Infatti, lo si può apprendere da due opere, una già piuttosto datata VIAGGIO NEGLI STATI DEL GRAN MOGOL di François Bernier (da me recensito.
    , e l’altra abbastanza recente, IL MONDO DELLA STORIA SECOND IBN KHALDUN di Giuliana Torroni da me recensito.

    A chi s’interessa di letteratura liberale ne raccomando la lettura.

    Cordialmente, Tullio

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