IL MISTERO DEL CAPITALE

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Sono numerosi gli autori che in periodi alterni si sono dichiarati radicalmente contrari alle famose teorie economiche interventiste da parte del potere politico. In Italia, a suo tempo, a questa inclinazione, contro l’intromissione politica nell’economia, hanno contribuito economisti di nostalgica memoria come Luigi Einaudi e Luigi Sturzo ed ancora, forse, il più autentico pensatore liberale nostrano già più noto all’estero che da noi: Bruno Leoni.

Tuttavia, a livello internazionale, il più accreditato e convincente oppositore alle tesi stataliste è stato, certamente, il Premio Nobel F.A. von Hayek, membro della gloriosa Scuola Economica Austriaca, il quale ha – fra l’altro – influito in maniera determinante ai cambiamenti introdotti dall’indimenticabile granitica Margareth Thatcher, salvatrice del depresso Regno Unito ridotto ad un’economia stagnante e decadente dovuta a decenni di dominio di una sinistra britannica sorda e confusa. Anche la ripresa economica promossa da Ronald Reagan negli Stati Uniti si è ispirata a questo grande Austriaco che così contribuiva a riportare ordine nelle due debilitate economie, ripristinando il fertile libero mercato, il merito al posto della militanza. Di questa tendenza liberatrice in America brillava pure la stella del collega, Premio Nobel a pari merito, Milton Friedman della Scuola di Chicago al quale, fra i tanti, facevano eco libertari come Murray RothbardDavid Friedman e Robert Nozick.

Ma anche l’America Latina vantava alcuni brillanti paladini della Libertà; fra questi si distingue in maniera molto particolare Hernando  de Soto il competente economista peruviano che dopo aver presieduto importanti incarichi nell’ambito del GATT (Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio), ha fondato l’Istituto della Libertà e Democrazia.

Questo esimio autore è apprezzato specialmente per due emblematici saggi di notevole interesse, tradotti in diverse lingue: POVERTA’ E TERRORISMO. L’Altro Sentiero ed un secondo trattato che qui desidero commentare, perché in un’epoca di crisi come questa che stiamo vivendo – che attribuisco soprattutto all’eccessivo iniquo intervento pubblico nelle questioni economiche -, risulta appunto ancora oggi oltremodo eloquente. L’opera qui trattata è frutto di meticolosa analisi da parte del not specialista, maturata dalla diretta esperienza, durante specifica, attenta quanto critica osservazione dello sviluppo economico e dei rispettivi metodi applicati in numerosi Paesi del cosiddetto Terzo Mondo da lui direttamente seguiti. Infatti, il saggio dal simbolico titolo IL MISTERO DEL CAPITALEcostituisce un’ autentica lezione di economia reale che si rivela in particolar modo come pedagogico insegnamento di raro e ricco contenuto, in cui l’autore espone i valori individuali necessari alla realizzazione dell’elementare quanto concreta forma spontanea di giustizia sociale, capace di fomentare il concreto progresso, specialmente in Nazioni sottosviluppate.

Si tratta, sicuramente, di una di quelle eccellenti opere da raccomandare proprio a quei numerosi ingenui idealisti che, a spada tratta, hanno l’eterna pretesa di esaltare compensazioni politiche, con la presuntuosa finalità di rimediare alle naturali avverse condizioni di ingiustizia che, in questa mondana esistenza,  ed a caso, in forma aleatoria, colpiscono comunità ed altrettanti ignari individui. Ecco che i nostri tradizionali rivali interventisti, credono di poter rendere giustizia – con misure  compensatorie – contro le casuali imponderabili iniquità, con altrettante ingiustizie intenzionali, artificialmente elaborate, ancorché, altrettanto arbitrariamente imposte e ciò a prescindere dalle aspirazione dei propri individui.

Ebbene, come il nostro autore riesce a dimostrare con illuminante chiarezza, tali misure vengono ingiunte dall’alto verso il basso nel vano tentativo di produrre un inutile egualitarismo totalmente soggettivo quanto nocivo. Infatti, tali nefaste misure politiche producono altre ingiustizie praticate però volutamente, senza peraltro riparare le cattive sorti del fato e che, nella grande maggioranza dei casi, si ripercuotano proprio a danno dei più attivi e meritevoli. E se è pur vero che certi individui disabili, incapaci di badare a se stessi, devono essere protetti, aiutati ed assistiti, anche dalla collettività, gli interventisti, con il pretesto della solidarietà compulsiva, sempre disponibili ad incorrere nell’abuso delle discriminazioni politiche, altrettanto sovente premiano, invece, i meno meritevoli e magari i più incompetenti, pigri e che di fatto meno necessitano di ausilio.

Pertanto, questa è una delle tante letture da opportunamente suggerire e raccomandare in maniera particolare proprio a coloro che ancora credono ostinatamente alle obsolete e deleterie teorie politiche economiche keynesiane di triste memoria. Infatti, l’esperienza e l’attuale congiuntura che deriva giustamente dalle erronee applicazioni di tali negative scelte, dovrebbero insegnare a tutti come, alla fine dei conti, l’equivoca politica della solidarietà istituzionalizzata, non ha solo frenato una più giusta e meritevole distribuzione della ricchezza ma, al contrario, avvalendosi di criteri puramente ideologici, essa ha generato fra gli investitori – com’era già accaduto con la grande crisi degli anni ’30 – una preferenza per la più comoda speculazione finanziaria, mettendo in crisi buona parte dell’apparato produttivo con la fuga e la rinuncia all’azione dei migliori imprenditori ormai rassegnati e frustrati e privati ingiustamente da buona parte dei loro utili. Ed è proprio questo genere di politica che ha portato all’attuale stagnante crisi economica-industriale, compromettendo gli spontanei e naturali equilibri di cui, proprio in questi tempi, perfino la fiera e ricca ma burocratizzata Europa gravemente soffre.

Certo, è un’opera un po’ datata, ma risulta tuttora validissima proprio perché mette in viva evidenza esattamente quelle cause che impediscono lo spontaneo sviluppo delle Nazioni più bisognose. E gli esempi più eloquenti li possiamo verificare proprio ai nostri giorni in Paesi potenzialmente ricchi come Venezuela ed Argentina, ma che in seguito ad iniziative imposte da politicanti impreparati, subiscono un continuo deterioramento delle proprie economie, proprio per colpa di equivoche dottrine economiche, invece di generare benessere, producono esasperazione e miseria, nonostante le ricche risorse di cui dispongono.

De Soto vi spiega molto bene come, in seguito a tali numerose contraddittorie politiche dottrinarie coercitive, ipocritamente spacciate per misure cosiddette “sociali”, invece di fomentare giustizia ed agiatezza delle persone e delle moltitudini orfane ed abbandonate, eliminano ogni stimolo al cambiamento a favore dello sviluppo, invece di incoraggiare e premiare le iniziative e facilitare il progresso che da queste decorre, gli arbitrari interventi regolatori economici imposti dai politicanti, giustificati dalla loro assurda retorica, impongono paradigmi eccentrici, più utili a conservare il controllo del potere, e per proteggere le proprie comode poltrone, pur di salvaguardare ambigui e palesi privilegi accumulati, e tendono solo ad alimentare interessi particolari e prerogative estese alle rispettive promiscue alleanze accomunate alle appendici corporative, burocratiche e sindacali designate ad agire come utili scudi protettori e che, in ultima analisi, tendono unicamente ad ingessare e paralizzare l’azione dell’industria e del commercio, frenando l’innovazione e, conseguentemente, scoraggiare ogni più fertile iniziativa proprio da parte degli individui migliori che, oltretutto, quando investono, sono indotti anche ad affrontare le incognite dell’incertezza. 

Così, essendo sempre esposti ai rischi, delle improvvisazioni politiche, devono naturalmente fare pure i conti con le contingenze alle quali tutte le iniziative sono inevitabilmente soggette, dipendendo dai leciti capricci degli esigenti sovrani consumatori, sempre attenti alle novità ed al perfezionamento qualitativo, nonché alle convenienze ed ai limiti del portafoglio del momento.

Ebbene, sono proprio questi continui interventi circostanziali che caratterizzano il più biasimevole conflitto fra le nebulose teorie ideologiche e la più intrinseca pragmatica realtà, in cui gli impostori pretendono condizionare a proprio soggettivo criterio le preferenze del pubblico indotto ad involontarie rinunce, con le vane promesse sostenute dai presunti saggi, di un ipotetico immaginario avvenire più felice che non giunge mai – che nient’altro sono se non meri miraggi della loro feconda contorta ed improduttiva immaginazione -, contrapposte ad un effettivo reale presente dai concreti tangibili risultati.

Ed ecco che le dolorose conseguenze di questi dettami limitatori si rivelano nella dura e tangibile crisi che abbiamo chiaramente sotto gli occhi, mentre il glorioso passato dello sviluppo creato da coraggiosi intraprendenti individui creativi, con il proprio impegno, portato avanti nel dopoguerra, di fatto, ne è l’autentica controprova di un ormai lontano ricordo.

L’autore espone, dunque, le ripercussioni che portano a tale cruda realtà manifesta in diverse zone, specialmente del cosiddetto Terzo Mondo, dove la miopia di impenitenti governanti indottrinati tende a giustificare la propria nefasta azione con l’ostinata equivoca demagogia; in cui puntuali politicanti di piantone insistono ad applicare i soliti deleteri principi economici regolatori, dalle apparenti buone intenzioni – di cui l’inferno è ampiamente lastricato – con lo spurio pretesto di più equamente distribuire ricchezza, quando, al contrario, riescono solo ad allungare la sopravvivenza della miseria esistente.

Così, con le loro astrazioni sostenute da evanescenti tesi che hanno come base la retorica dottrina del motto “credere per vedere“, provocano tuttora, anche ai nostri giorni, tutta una serie di perverse distorsioni, invertendo valori, che irrimediabilmente conducono solo alla pauperizzazione ed al fatale indebitamento delle loro Nazioni sovente detentrici anche di ricche risorse naturali inerti o malamente sfruttate: esempi illuminanti sono le tipiche economie politiche venezuelane ed argentine. Infatti, con gli eterni inadeguati perniciosi interventi di puro conio politico teorico, portati ripetutamente a termine in maniera esasperata dai prepotenti pasticcioni di turno, con misure dettate dalla perversa prepotenza che li caratterizza, non fanno altro che spaventare i più creativi ed intraprendenti, generando confusione ed ulteriori incertezze fra gli operatori deputati alla produzione, all’innovazione di coloro che dovrebbero piuttosto fidarsi, disponendosi a rischiare investimenti con iniziative, sforzi e capitali nella speranza di ottenerne degli utili, con i quali l’ordine spontaneo del mercato ha da stimolare e premiare le attività produttive con valore aggiunto ed aumentare con ciò il volume e la disponibilità di ricchezza da distribuire fra i partecipanti dell’azione.

I seguaci delle tesi socializzanti, purtroppo, acciecati dalle loro equivoche tesi, sono incapaci di intendere che il capitale più importante sul pianeta, non sono le risorse naturali esistenti, bensì, quello che i politicanti non possono misurare né potranno mai monopolizzare, ossia quel preziosissimo capitale umano, esclusiva proprietà del libero ed indipendente individuo che, consapevole delle proprie particolari prerogative e priorità, non chiede altro che opportunità di esercitare le proprie specifiche capacità.

Non per niente, in un regime di libertà, l’individuo è indotto ad apprendere a badare ai propri interessi molto meglio di chiunque altro estraneo che intenda sostituirsi a lui. Infatti, in circostanze di equa libertà, non ha bisogno di farsi corrompere, cedendo ai ricatti od ai seducenti richiami degli insaziabili arbitrari politicanti. Responsabile dei propri atti, l’individuo libero, non si arrende dinanzi all’assedio della pretestuosa tutela dell’ ambiguo potere. Così, in un regime di libera concorrenza non c’è paternalismo politico nocivo che tenga ed il potere pubblico non ha più tanta forza di condizionare  i migliori a proprio arbitrario giudizio, imponendo indiscriminatamente quell’equivoca solidarietà istituzionalizzata. Infatti, dove vige l’autoritarismo, con scelte determinate politicamente da chi crede di avere la legittimità di dettare norme soggettive ed ingiuste agisce a scapito della legge naturale del legittimo merito, dove si emanano leggi artificiali altrettanto ingiuste.

Invece, l’individuo indipendente, non solo ha il diritto di dare sfogo alle proprie aspirazioni, ma ha anche il dovere, assumendosene le responsabilità personali, di prendere le proprie iniziative, facendo le scelte che nel tempo e nello spazio considera prioritarie e più adeguate alle proprie ambizioni per la realizzazione dei propri leciti progetti e se, così facendo sbaglia, deve pagare di propria tasca, a volte addirittura con il fallimento, senza poter ricorrere alla gratuita generosa solidarietà politica, che al contrario deve dargli, sì, l’opportunità di tentare di rimediare ai propri errori con la propria abilità, creatività con le risorse intellettuali o materiali che possiede od alle quali crede di poter ricorrere.

In un ambiente asfissiante in cui all’individuo si impongono obblighi e norme coercitive arbitrarie ed ingiuste, privandolo delle proprie opportunità di libera scelta, il potere costituito responsabile di tali misure, lo dispensa non solo dai suoi obblighi civici e dalle sue responsabilità di curare con zelo gli interessi propri e dei suoi cari, ma fornisce una specie di alibi e gli consente di affidarsi alla cosiddetta generosità pubblica, magari in cambio di qualche altro oscuro favore. Allora, meno condizionato dalle incertezze naturali, si rassegna e cessa di agire attivamente in modo positivo e costruttivo. Pertanto, quando il potere ricorre alla legge positiva per privare l’individuo, ormai, meno stimolato dal merito delle proprie iniziative, questo abdica alla sua indole di individuo, di natura intraprendente capace e si arrende alla volontà altrui imposta con grave perdita del suo potenziale capitale, perdendo la sua potenziale ricchezza sprecata nell’inerzia.

Ebbene, il problema è che gli indottrinati partono da un fatale ingannevole principio fin dalle sue basi; infatti, considerano la ricchezza una specie di torta finita, dove chi possiede od ottiene di più è sempre a scapito di chi ha od ottiene meno. Invece, la ricchezza non è affatto un ordine finito; la ricchezza non è una torta dalle fette già a priori dimensionate, limitata alle risorse naturali esistenti. La vera grande ricchezza è variabile e soggetta alla intrinseca capacità degli individui di renderla il più remunerativa e preziosa possibile con l’aggiunta dell’abile azione e che deriva dalla particolare creatività dei singoli.

Pertanto, la ricchezza di fatto è sempre soggetta ad aumentare nella misura in cui individui competenti, ingegnosi ed armati di talento riescono ad incrementarne il valore delle sue fette della torta esistente, con il proprio peculiare e personale contributo. Così, possiamo dedurre che il patrimonio più prezioso della natura è proprio il capitale umano ossia delle idee, della creatività e questo può solo prosperare nella libertà e nelle opportunità che si prospettano in un avvenire aperto, dove ogni individuo può sperimentare le proprie mutevoli inclinazioni per realizzarsi e mettersi alla prova, potendosi anche pentire, correggendo un determinato percorso intrapreso. Anche il progresso non è statico e non deriva dalla conservazione, bensì dalla capacità inventare, di cambiare, di rompere o modificare paradigmi vecchi, creandone di nuovi.

Realizzarsi significa anche identificare la propria forza, sperimentare l’idoneità, la propria capacità ed il proprio talento; scoprire fino a dove arrivano i propri limiti che migliorano nella misura in cui si assumono nuovi tentativi; insomma, definire la  propria dimensione nel tempo disponibile e nello spazio circostante, libero da percorsi e sensi unici obbligatori predeterminati soprattutto dalla sterile imposizione di terzi. In regimi totalitari come quello cubano, agli individui viene imposto addirittura il limite di spostarsi da un capo all’altro dell’isola; non possono nemmeno frequentare le spiagge riservate ai turisti stranieri… Come potrebbe prosperare una Nazione in tali circostanze?

In conclusione, l’ emerito Hernando de Soto ci insegna come la fertile, libera, spontanea e pragmatica iniziativa dei singoli, continua a costituire il vero motore della realizzazione e della costruzione del benessere personale e collettivo; questa via si può seguire solo ed esclusivamente in regime di libertà che è pure la migliore via verso l’emancipazione ed il progresso umano, capace di fomentare l’indispensabile sviluppo che finalmente può guidare alla liberazione degli individui consapevoli e responsabili, giustamente riconosciuti come degni cittadini meritevoli, altrimenti ridotti a mera sudditanza, schiavi di umilianti dipendenze e di endemica ignoranza, soggetti a neutra irresponsabilità, mera superstizione ed all’ambiguità politica astutamente coltivata nel più puro scandaloso stato di miseria in cui un certo potere pubblico dottrinario e corporativo, perfettamente identificato, con le sue ipocrite pretese, nega lo stato di diritto ed è solito a condannare gli ingenui creduloni.

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