La poverta’ nel Sud del mondo e il Debito Internazionale

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Il lento trasformarsi di Babilonia in Atlantide

di Martina Cecco

Capita spesso, ultimamente, che mi metto a spulciare qualche documento sull’India: articoli di giornale, immagini, insomma, del materiale, che parla del Sud del mondo, delle poverta’ assolute che ci sono, che esistono e che non hanno attualmente alcuna possibilita’ di sviluppo, vuoi perche’ non c’e’ acqua, vuoi perche’ non ci sono soldi, vuoi perche’ la gente e’ infinitamente troppa e non c’e’ cibo, vuoi perche’ la popolazione viene decimata dalle malattie e dalle epidemie.
Mi chiedo allora se un giorno, magari anche non domani o dopodomani, ma un giorno, ci sara’ il superamento di quel GAP che divide i paesi moderni da quelli non sviluppati; e poi, se si superera’ davvero, mi chiedo che cosa succedera’ al mondo. Come sara’ la vita il giorno in cui un adolescente senegalese verra’ in vacanza ad Amsterdam con i suoi compagni del liceo per una settimana? Gli interessera’ davvero vedere Amsterdam?
Enormi sono le differenze tra stati, anche nel mondo sviluppato: si parte dalla cima della piramide per arrivare a scendere e come tutte le piramidi che si rispettando si scopre che, alla faccia della geopolitica, la popolazione povera, in proporzione alla ricca, e’ davvero grande come la base, mentre la popolazione ricca, in proporzione alla povera, e’ davvero piccola come la punta. Che sia un caso?!
Penso che la sensibilita’ degli adulti di oggi, di noi che siamo diventati .. come dire .. uomini moderni, non sia diversa rispetto a quella dei nostri nonni e dei nostri padri, ma sono convinta, piuttosto, che l’aver avuto la possibilita’ di viaggiare, andare a vedere e toccare il Sud del mondo, essere riusciti a capire come funziona la logica del mercato e a sapere quale e’ il valore del danaro, sia servito per rendersi conto che le certezze sono un fatto relativo di chi ce l’ha, mentre non esistono proprio come concetto e fine, per chi non ce l’ha. Non e’ poco!

La “Dichiarazione del Millennio” del 2000, di New York, ha scritto nero su bianco che l’impegno degli Stati del vertice ONU, entro il 2015, e’ quello di cancellare il debito internazionale. Questa dichiarazione e’ piu’ che altro un monito: non sta scritto da nessuna parte che la infinita popolazione povera debba vivere senza casa, senza cibo, senza acqua, senza danaro e cosi’ via; puo’ anche fare comodo pensare che sia cosi’, ma non e’ affatto cosi’. Ci vuole poco a pensare che anche la gente povera, piano piano, sta valutando la possibilita’ di essere meno povera, di uscire dalla morte e di vivere con dignita’.
Ridefinire la ricchezza costera’ a tutti , costera’ molto, sicuro non ci sara’ mai piu’ uno stile economico valutabile con i criteri che conosciamo noi, ma del resto non si puo’ neanche pensare di lasciare lentamente che dai paesi sottosviluppati sia costretta a trasferirsi nei paesi industrializzati una infinita “massa” di uomini da curare, da vestire, da amare, da educare al moderno .. ma che senso ha? Dove potrebbe mai stare questa gente se non ci sono vere opportunita’?!
Le dinamiche attuali si nascondono sotto le mille facce della politica e una di queste dinamiche e’ proprio quella del Debito Internazionale: prima della caduta delle Torri Gemelle nessuno pensava che potesse esserci piu’ un reale cambiamento negli equilibri internazionali eco-politici, ma poi, dalla caduta delle torri, alla guerra in estremo oriente, dopo la Cina, l’Europa sempre piu’ unita e le crisi economiche, si e’ cominciato a capire che forse “questa faccenda” del mondo povero che chiede gli interessi sia piu’ reale di quanto non si pensi.

Quando si parla di Debito Internazionale non si parla di ideologia o di politica spiccia, ma si parla di storia. Nessun economo, prima o durante o dopo il vertice e attualmente ancora nessuno, e’ stato in grado di definire esattamente che cosa avverra’ di fatto con la cancellazione del debito. Nessuna rivaluta monetaria, stima del valore economico del mercato internazionale, stima dei profitti. Nulla.
Come se la faccenda fosse: 1. troppo remota – siccome non capitera’ non c’e’ bisogno di pensarci 2. troppo imprevedibile – siccome non si sa quanti stati ripartiranno con una economia propria non si puo’ stimare un valore reale oppure, come purtroppo e’ piu’ probabile 3. troppo e basta -siccome i paesi del debito una economia non hanno mai potuto averla non c’e’ nessuno storico economico che possa aiutare a fare delle previsioni in materia.
Riassumendo il concetto con un esempio: e’ come se un giovane di 25 anni che apre una sua azienda e non ha mai avuto un’attivita’ in proprio, si trovasse con la proiezione di dover lavorare per un tot di tempo (ad es. 25 anni ) per coprire un debito che non ha mai contratto. Quel giovane, senza un prestito, non ce la puo’ fare, ma se gli interessi aumenterano negli anni non ce la fara’ lo stesso.

Storicamente, per dire qualcosa di attestato, e’ cosa certa che il Debito Internazionale ha una storia che comincia all’incirca negli anni settanta. Siamo nel 1973: il vecchio OPEC per recuperare sull’interesse, alza il prezzo del petrolio, conscio di fare in questo modo la fortuna della sua gente. Tutto questo danaro non aiuta a mantenere l’ago della bilancia in equilibrio e la titolarita’ del potere economico aiuta i paesi OPEC a creare differenza tra valori. In questo modo, per non perdere la fetta di mercato, i paesi meno ricchi sono costretti a indebitarsi e mentre in America e in Europa si comincia a vivere il primo boom economico, i paesi esteri si indebitano progressivamente anche per opera dei tassi di interesse variabili. (Target 2015)
I paesi che non facevano parte dell’OPEC erano gia’ svantaggiati, piu’ che altro in fatto di risorse che non di tecnologia e di sapere, ma non avevano creditori a cui restituire del danaro e questo permetteva al paese di comprare e vendere valore.
Essere creditore, al contrario, ha permesso ai paesi ricchi di arrivare a chiedere piu’ del triplo del reale dovuto, anche se il danaro chiesto, non essendo proporzionale all’economia dei paesi poveri, non ha un controcanto in valore. In sostanza: il sistema monetario che non tiene conto della situazione economica dei paesi che vuole assoggettare, chiede senza rispettare proporzionalita’ e in quanto tale il debito non potra’ mai essere pagato.

Arriviamo a meta’ degli anni ottanta: la modernita’ coinvolge anche il ceto medio-basso, che senza difficolta’ si lancia nell’intraprendere uno stile di vita meno riguardoso delle spese, piu’ propenso a investire e a usare le risorse senza moderazione. Lo spendere e consumare le risorse non puo’ che incentivare allo sfruttamento della materia prima e se da un lato crea ricchezza, dall’altro compromette la funzionalita’ del mercato, costringendo i produttori a spingere ancora di piu’ nell’investimento e quindi a entrare in un periodo di passivo; la passivita’ e’ propria di tutti i periodi di investimento.
Questo passivo causa pero’ una nuova crisi monetaria che ridefinisce i valori degli interessi e raddoppia gli interessi (che gia’ erano stati triplicati) del debito dei paesi poveri. Entriamo cosi’ negli anni novanta con un GAP maturato sostanzioso.
Negli stessi anni per gli Stati Uniti, che sono gia’ al corrente del fatto che i paesi poveri non hanno piu’ una copertura al debito, scatta la necessita’ assoluta, per rispondere al mercato senza investire a vuoto, di andare alla ricerca dell’oro nero, che ormai comincia a scarseggiare e costa troppo: serve un potere centrale che lo gestisca e che ne ridefinisca il valore. La minor spesa e’ una certezza di beneficio per un investimento piu’ sicuro.
Il monopolio economico fiorito negli anni novanta, garantito dal fatto che i paesi poveri non possono assumersi la spesa e l’onere di affrontare la partita per l’oriente, permette la gestione del business dei paesi arabi, sui quali pero’ grava l’ipoteca del regime. In questo modo travagliato si consumano le trattative del secolo scorso, destinate a trasformarsi in guerra, un conflitto che, da un lato, serve per liberare dagli estremismi l’oriente, dall’altro serve per garantire lo sviluppo di un’economia globale ai paesi sviluppati.

La globalizzazione ha portato idealmente alla garanzia di poter realizzare uno scambio universale con una apertura del mercato, ma per rendere il mondo partecipe non basta avere uno schieramento di produttori e di “compratori “di Serie A” e un esercito “di Serie B”; serve un esercito di potenziali per dare e ricevere, senza che ci siano spettatori perdenti del mercato globale. Da cui l’assoluta necessita’ di garantire a tutti parita’ di opportunita’ per comprare, ma anche per vendere.E’ difficile trasformare Babilonia in Atlantide: le proiezioni e le stime piu’ serie degli economi si fermano qua. Nessuno ha mai conosciuto un mondo in cui 7 miliardi di persone possono accedere all’istruzione, all’acqua, al cibo, al danaro, con parita’ di diritti. Mai prima ci sono stati miliardi di conti/depositi economici di qualsiasi genere a titolarita’ dei singoli e non dei governi. Niente di tutto questo.
La realta’ che si prospetta davanti a noi, quando i paesi poveri si trasformeranno in paesi sviluppati, non e’ mai esistita. E’ presumibile che l’economia avrebbe un’aspetto totalmente diverso se fosse davvero globale: se ne parla, si fanno ipotesi, ma la globalizzazione che per i paesi industrializzati e’ una realta’ non e’ ancora competitiva nei paesi poveri. Figuriamoci allora quanto tempo ci vorra’ per arrivare all’ideologico, ormai, 2015. Intanto io aspetto, sono certa che arrivera’. Aspetto che l’adolescente senegalese arrivi in Europa in aereo per farsi un week end ad Amsterdam, sempre con i compagni del liceo.

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