(Danilo Taino, Corriere) C’è una questione di fronte all’economia italiana che tutti vedono e temono, ma fingono di ignorare. Si chiama sostenibilità del debito pubblico: una montagna di 2140 miliardi di euro, 135% del Pil. E’ gestibile nel medio/lungo periodo, oppure è una bolla destinata a esplodere, e quindi richiede interventi straordinari? Possiamo controllare la situazione attraverso politiche normali, oppure dobbiamo considerare il passo fatale e preparare una ristrutturazione del debito, cioè una penalizzazione di chi ha prestato denaro? Politici e alti burocrati non ne parlano. Gli economisti invece hanno ben presente il problema, tanto che da qualche tempo alcuni si cimentano in proposte di ristrutturazione le meno devastanti possibile.
Il professor Paolo Manasse dell’Università di Bologna in un recente dibattito ha presentato uno studio nel quale arriva alla conclusione che il debito pubblico italiano non è, nella sua attuale dimensione, sostenibile, e che qualche forma di ristrutturazione deve essere considerata. Non è solo il fatto che secondo i dati della Banca d’Italia nel 2013 lo Stato ha speso 80/85 miliardi, denaro sottratto all’economia. E’ soprattutto la circostanza che per rispettare le regole europee, dovremmo avere, di qui al 2019 un avanzo primario (cioè al netto degli interessi pagati) del 4,6% del Pil, il triplo di quello attuale. Una impresa impossibile. Per mantenere una traiettoria rispettosa del Fiscal Compact dovremmo partire da uno stock di debito più basso, circa 200 miliardi in meno. Si può fare? Secondo Manasse, si può fare con un piano coordinato a livello europeo. Il quadro legale lo consentirebbe, e le perdite a cui andrebbero incontro le banche italiane, sono gestibili: perderebbero l’11,4% dei loro capitale se tutto il debito venisse cancellato, ma molto meno se venisse cancellato solo il 10/15%. Ovviamente ristrutturare il debito crea enormi problemi al Paese che lo fa: soprattutto rende difficile tornare poi sui mercati a vendere titoli di Stato.
Il professor Guido Tabellini della Bocconi dice che, dovendo scegliere, piuttosto che ristrutturare il debito, sarebbe meglio uscire dall’euro: ipotesi piuttosto forte. Non che Tabellini pensi che siamo di fronte a questa scelta: crede anzi che la situazione si possa gestire, se si riesce ad avere una crescita superiore a quella anemica prevista per i prossimi anni (peccato che nessuno ci creda). Nota, per esempio, che fra il 1993 e il 2003 il Belgio ridusse il suo debito dal 134% del Pil al 94% con 11 anni di surplus primari. L’Irlanda, dal 1988 al 2000, ridusse il suo debito dal 92% del Pil al 37%. Ma un default, per quanto gestito, Tabellini non lo vuole proprio prendere in considerazione.
Nelle scorse settimane l’ex viceministro dell’economia (di Tremonti, con il quale andava punto d’accordo), Mario Baldassarre, ha presentato un piano nel quale propone un taglio del debito di 40 miliardi nel 2015, di cento nel 2016, e di altrettanto nel 2017, per arrivare al 102% del Pil nel 2018. Non attraverso una ristrutturazione, bensì con la creazione del Fondo Immobiliare Italia, che dovrebbe prendere in carico il patrimonio pubblico, si attrezzi a venderlo nel lungo periodo ma nel frattempo lo cartolarizzi e ne venda quote sul mercato. Baldassarre calcola anche che, se il cambio tra euro e dollaro evolvesse verso uno, il nostro debito diventerebbe, per questo solo fatto, il 114% del Pil nel 2018. Se poi si combinasse con la sua proposta di alienazione del patrimonio pubblico, il debito calerebbe, nei prossimi quattro anni, al 90% del Pil. Insomma, un calcolo decisamente ottimista.
Di recente il professor Charles Wyplosz dell’Università di Ginevra ha elaborato un suo disegno per ridurre i debiti pubblici di colpo senza far perdere soldi ai creditori, e senza ricorrere a vendite di patrimonio. Ha chiamato la sua complessa proposta Politically Acceptable Debt Restructuring in Eurozone (Padre). Si tratta di questo: far sparire la metà dei debiti pubblici dei Paesi dell’Euro passandoli a una agenzia che poi li ripagherebbe usando i diritti di signoraggio che ogni banca centrale nazionale riceve dalla Bce. Una proposta che si va ad aggiungere ad altre che prevedono un default, un mezzo default, manovre coordinate europee per mutualizzare debiti futuri, l’emissione di Eurobond eccetera. La cosa che però abbiamo imparato dalla Grande Crisi è che gli alti debiti sono un enorme peso che limita la crescita e crea disoccupati. Per il resto sappiamo che i governi, se non costretti dai mercati, i governi difficilmente vorranno svegliare il can che dorme.
Zibaldone n. 360