Le elezioni europee del 25 maggio 2014 saranno ricordate per la netta affermazione del Partito Democratico. Gli 11.172.861 voti conseguiti dal PD parlano chiaro. Invero, in termini assoluti, Walter Veltroni fece meglio nelle elezioni del 13 aprile 2008, ottenendo oltre 12 milioni di voti in sede di rinnovo della Camera dei deputati.
Il giorno del voto, Eugenio Scalfari, vecchio liberale, radicale, socialista, democratico, ha firmato un editoriale titolato: “Non amo Renzi, ma oggi lo voterò”. Con buona probabilità, il ragionamento di Scalfari ha interpretato lo stato d’animo di tanti altri elettori. I quali hanno scelto il PD non perché convinti estimatori dei talenti del giovane leader democratico, ma per raccogliersi sotto le ali protettive di un partito che, per la sua consistenza numerica e la sua collocazione nel Parlamento europeo, potesse meglio rappresentare e difendere gli interessi dell’Italia in Europa.
Chi scrive non ha votato per il PD, ma per “Scelta Europea”; dunque è tra gli sconfitti. Una sconfitta sonora, senza appello. Eppure la modesta vicenda di “Scelta Europea” può essere un’utile chiave di lettura per comprendere come si sia orientato l’elettorato italiano.
I primi giorni dello scorso mese di aprile, dopo un travaglio durato un mese, si è arrivati ad un accordo tra tre distinti soggetti politici per presentare una lista unitaria, che sostenesse, a nome del Gruppo dei Liberali Democratici europei (ALDE), la candidatura del liberale belga Guy Verhofstadt alla Presidenza della Commissione europea.
La scelta unitaria è maturata troppo tardi e certamente non è stata condivisa dall’intero partito di Scelta Civica. Circostanza che non deve sorprendere. Lo stesso fondatore del partito, il senatore a vita Mario Monti, ha sempre tenuto a non farsi rinchiudere nel piccolo recinto liberale, preferendo coltivare relazioni anche con una famiglia politica ben più importante, negli equilibri dell’Unione europea, quella dei Popolari europei. Tutti ricordano la diretta partecipazione di Monti al vertice del Partito Popolare Europeo (PPE) a Bruxelles nel mese di dicembre del 2012: quando l’allora presidente del PPE, Martens, gli propose di porsi a capo di tutti i partiti italiani che si richiamavano al PPE e l’attuale leader di Forza Italia, Berlusconi, si dichiarò disponibile a questa ipotesi, nel superiore interesse di riunire tutte le forze moderate italiane.
In ogni caso, per quanto sofferta fosse stata la gestazione della lista italiana dell’ALDE, sulla carta sembrava avere i requisiti per essere competitiva. Facciamo un po’ di conti.
Soltanto un anno prima, nelle elezioni del 24 febbraio 2013, i tre soggetti politici che ora si presentavano coalizzati avevano, rispettivamente, ottenuto nel voto per il rinnovo della Camera dei deputati: Scelta Civica con Monti, voti 2.823.842; Fare per fermare il declino, voti 380.044; Centro Democratico, voti 167.328.
Con una stima assai prudente, era realistico ipotizzare che il venticinque per cento dei voti di Scelta Civica e l’ottanta per cento dei voti di ciascuna delle altre due formazioni restassero confermati, a distanza di un anno, per la nuova lista di Scelta Europea. Ne risultava una cifra complessiva di 1.143.857 voti, sicuramente una dote non trascurabile.
Ma vi è di più. Richiamo di seguito sette diverse forze politiche (tra partiti, o associazioni), che hanno dichiarato ufficialmente di sostenere la lista di Scelta Europea e che hanno espresso propri candidati: 1) Partito federalista europeo; 2) Partito repubblicano italiano (PRI); 3) Partito liberale italiano (PLI); 4) LibMov, Movimento di liberali aderenti all’ALDE; 5) I Liberali; 6) Democrazia liberale; 7) Federazione dei liberali (FdL). Non considero, invece, l’Alleanza liberaldemocratica per l’Italia (ALI), perché costituita da fuorusciti di Fare per fermare il declino, quindi già inclusa nel risultato elettorale di Fare nel 2013.
Con una stima sempre molto prudente, si poteva ipotizzare che questi sette ulteriori soggetti politici, mobilitando i propri quadri ed iscritti, potessero portare almeno altri quindicimila voti, come proprio apporto elettorale complessivo.
Così la mia personale previsione accreditava la lista di Scelta Europea di 1.158.857 voti potenziali. Detta cifra elettorale equivaleva al 3,40 % del totale nazionale dei voti validi rispetto ai dati delle elezioni del 24 febbraio 2013. Rapportata al totale nazionale dei voti validi nelle elezioni europee del 25 maggio 2014, in cui il numero dei votanti è considerevolmente diminuito, si sarebbe tradotta in una percentuale del 4,23 % (al di sopra della soglia di sbarramento).
Eppure, fin dall’inizio, quasi tutti i sondaggi effettuati davano per scontato che Scelta Europea non avrebbe raggiunto la soglia di sbarramento: con una previsione che determinava immediatamente l’effetto di scoraggiare i potenziali elettori per la prospettiva di un voto “non utile”.
Alla fine, i voti effettivi sono stati 196.157 (0,71 %). Io so di aver votato e non mi pento; potrei consolarmi ascoltando la voce straordinaria di Édith Piaf che cantava: «Non, rien de rien / Non, je ne regrette rien». Quanti, però, hanno tradito la loro parola? Quanti hanno fatto finta di impegnarsi?
Gente che presume di conoscere la politica fin da quando portava i calzoni corti è caduta nel più classico tranello della manipolazione del consenso: per fare argine contro il partito dello sfascio e del caos (così gli organi di informazione di massa presentavano il Movimento 5 Stelle), bisognava correre a rafforzare il nuovo partito d’ordine, ossia il PD di Renzi.
Il Partito Democratico è lo stesso che, Segretario Bersani e Presidente del Consiglio Letta, rassicurava i governi dell’Eurozona promettendo che tutti i patti sottoscritti (Fiscal Compact e pareggio di bilancio, inclusi) sarebbero stati rispettati. Oggi Renzi contribuisce a minare i conti pubblici con i famosi ottanta euro e promette che il Partito socialista europeo d’ora in poi cambierà verso all’Europa. Beato chi ci crede. Quando devo giudicare Renzi, guardo ai contenuti della legge elettorale che ha elaborato, o ai contenuti del disegno di legge costituzionale che ha presentato, con particolare riferimento al nuovo ruolo del Senato.
E’ sconcertante vedere quanti si pongano nella scia del nuovo potente di turno e gli facciano credito di una capacità riformatrice, a prescindere dal merito delle riforme proposte. Renzi è, appunto, un innovatore a prescindere. Come avrebbe detto Totò.
Il ruolo degli autentici liberali democratici non è e non potrà mai essere quello di non disturbare il manovratore.
Verhofstadt è stato rieletto con una messe di preferenze dal suo partito liberale fiammingo. Circa 66 nuovi deputati europei si iscriveranno al Gruppo dell’ALDE; tra loro non ci saranno italiani. Pazienza, l’ideale europeo ed il liberalismo critico, prima o poi, riusciranno ad affermarsi anche in Italia.