Quando la forma è sostanza

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E’ il 31 gennaio 2014. La Camera dei Deputati tiene la 164ª seduta di questa diciassettesima Legislatura. Dopo che sono state respinte le questioni pregiudiziali sulla legittimità costituzionale del disegno di legge in materia elettorale, il deputato Ignazio La Russa avanza una proposta di buon senso: ora che la maggioranza Partito Democratico – Forza Italia ha ottenuto la sua prima vittoria politica e l’iter di discussione della riforma è stato formalmente avviato, perché non consentire alla competente Commissione di riunirsi per una prima valutazione degli oltre quattrocento emendamenti complessivamente presentati dai vari Gruppi? La Presidente della Camera pone ai voti la proposta, che viene respinta. Quando sarà il momento, gli emendamenti saranno direttamente valutati e votati in Aula.

Questo fatto non viene nemmeno preso in considerazione dai tanti giornalisti e commentatori che seguono le vicende della riforma della legge elettorale. Forse viene considerato un ennesimo tentativo di ritardare l’iter; quindi i rispettivi estimatori di Renzi e di Berlusconi ne traggono soltanto un’ulteriore conferma della buona tenuta della maggioranza.
L’articolo 72, primo comma, della Costituzione recita: «Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale». Questo è il procedimento legislativo cosiddetto ordinario.

Proprio i disegni di legge in materia elettorale rientrano tra quei provvedimenti per i quali, in considerazione della loro rilevanza nell’ordinamento democratico, l’ultimo comma dello stesso articolo 72 della Costituzione prevede una riserva di Assemblea: deve utilizzarsi «la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera». Il che non significa che si possa saltare l’istruttoria da parte della Commissione. Semmai il contrario: in tutte le fase procedurali, quindi anche nella prima fase nella Commissione di merito, l’esame della normativa deve essere tanto più attento ed approfondito.

I deputati del Movimento Cinque Stelle, con le loro intemperanze, hanno operato perfettamente come fattore di distrazione di massa. L’attenzione degli organi di informazione e dei commentatori si è concentrata in modo esclusivo sull’esigenza di difendere le Istituzioni, di esprimere solidarietà nei confronti del Presidente della Repubblica ingiustamente accusato di attentare alla Costituzione, di fare argine contro il nuovo “squadrismo” dei pentastellati, i quali, per non farsi mancare niente, si sono anche resi colpevoli di offese verbali nei confronti delle donne deputate.
E’ successo così che sia passato quasi sotto silenzio un fatto enorme, che mi sembra non abbia precedenti nella storia della Repubblica italiana: per la prima volta un disegno di legge di importanza cruciale, qual è la legge elettorale, arriva davanti all’Assemblea della Camera senza che la Commissione competente abbia istruito il provvedimento.
Cosa avrebbe detto il deputato Gian Carlo Pajetta, antico compagno del Presidente Napolitano, se negli anni Cinquanta del Novecento un Governo centrista avesse portato in Aula un progetto di modifica della legge elettorale senza nemmeno prendersi il disturbo di farlo prima esaminare dalla Commissione di merito?

In un caso come questo, in cui la Costituzione ed i regolamenti parlamentari hanno lo stesso valore della carta straccia, c’è da riflettere sulla funzione puramente decorativa della burocrazia parlamentare. Per vincere un concorso di consigliere parlamentare alla Camera non basta studiare un manualetto di Diritto costituzionale ed un manualetto di Diritto parlamentare. Si richiede un livello di conoscenza di queste materie che si può acquisire solo dopo aver letto e digerito decine di monografie destinate all’approfondimento di argomenti specifici.
Eppure questi funzionari strapagati perché sicuramente competenti, possono appena alzare un sopracciglio di fronte alla ragione politica che, quando sono in gioco gli interessi fondamentali, vuole realizzare i propri obiettivi con la maggiore fretta possibile, anche a costo di essere brutale. Si sa che Renzi, avendo vinto le primarie, si considera al di sopra di piccolezze quali il rispetto delle forme e delle procedure: ma figuriamoci! Non parliamo poi di quale peso possa attribuire alle procedure Berlusconi.
Il problema è quello della mancata, o inadeguata, attivazione degli organi di garanzia, che sono i custodi della logica dello Stato di diritto. Stato di diritto significa, appunto, che nessuno è al di sopra della Costituzione e delle leggi; significa che le decisioni si adottano nel rispetto di procedure prestabilite. Il Presidente della Camera dei deputati dovrebbe essere il custode del Regolamento parlamentare; potrebbe e dovrebbe avere il consiglio ed il supporto della burocrazia parlamentare e, quindi, disporre dei migliori argomenti per impedire forzature e prevaricazioni. Le quali, quando si verificano, vanno a detrimento della qualità e ragionevolezza dei provvedimenti normativi approvati, oltre a recare danno alle minoranze parlamentari.

Quali sono le conseguenze pratiche della latitanza della Commissione di merito? Che non potrà essere approvato nessun emendamento stravolgente il testo frutto dell’accordo politico originario. Se, ad esempio, si volesse prevedere che i deputati vanno eletti in collegi uninominali, invece che nelle piccole circoscrizioni di cui oggi si parla, questa scelta comporterebbe, a catena, una serie di aggiustamenti tecnici nell’intero corpo normativo. Cosa che si può fare durante il lavoro in commissione, ma che è impossibile quando si proponga estemporaneamente un emendamento in Aula.
Proprio nella materia tecnicamente più complessa e delicata, i sedicenti riformatori impediscono che ci possono essere approfondimenti. Così si continuerà a fare pasticci e noi cittadini continueremo a scontare gli errori di questi mediocrissimi decisori politici.

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