Il “Corriere della Sera” ci informa che il professor Roberto D’Alimonte, in qualità di esperto del segretario del PD Renzi, ha incontrato il senatore di Forza Italia Denis Verdini, per valutare una possibile intesa sulla riforma della legge elettorale (si veda nell’edizione del 17 gennaio 2014 l’articolo a firma Dino Martirano, a pagina 2). Il professor D’Alimonte tiene a farci sapere che il senatore Verdini «è molto preparato, addirittura appassionato della materia».
D’Alimonte, si sa, è una vestale del sistema maggioritario; ha lungamente tuonato contro la Corte Costituzionale che si è permessa di intervenire per dichiarare la parziale illegittimità costituzionale della legge n. 270/2005. Di conseguenza, quando il Segretario del Partito Democratico si fa supportare da D’Alimonte ha già fatto una scelta; che non è innocente, né indolore.
Nella riunione della Direzione del PD tenutasi il 16 gennaio, Renzi ha ribadito che vuole una legge elettorale che comunque preveda un premio di maggioranza. Questo — ha precisato — non è pregiudizialmente escluso dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 2014. Vero, ma bisogna vedere come il premio si inserisce nel complesso della legge elettorale.
Delle tre proposte che il Segretario del PD ha preso in considerazione, quella che più piace a Forza Italia è il modello definito simil spagnolo (anche se la Spagna è solo un pretesto).
Si tratterebbe di ripartire il territorio nazionale in 118 circoscrizioni piccole; piccole nel senso che in ciascuna sarebbero assegnati quattro seggi, o, al massimo, cinque.
La circostanza che queste circoscrizioni siano piccole, secondo Renzi, risolverebbe brillantemente uno dei due problemi che hanno determinato la declaratoria di illegittimità costituzionale della legge n. 270/2005: le liste bloccate, che non consentono agli elettori di scegliere i propri rappresentanti. Infatti, nella sentenza della Corte si legge che il meccanismo introdotto dal Legislatore del 2005 non era comparabile «con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)»; si veda il punto 5 delle Considerazioni in diritto.
Sì, però, così, caro Renzi, anche con il nuovo sistema proposto nessuno dei 630 deputati sarebbe davvero scelto dagli elettori.
E’ vera scelta quella che si compie nei collegi uninominali; oltre tutto, mentre nelle elezioni del 1994, del 1996 e del 2001, la contesa era fra centrodestra e centrosinistra, quindi si poteva prevedere chi avrebbe vinto nelle zone geografiche tradizionalmente rosse, o tradizionalmente azzurre (o verdi, o nere), oggi la presenza di probabili candidature competitive espresse da un terzo raggruppamento (il Movimento Cinque stelle) renderebbe la partita incertissima in ogni collegio.
Poiché il sistema simil spagnolo non prevede collegi uninominali, ma liste concorrenti in circoscrizioni, bisogna aggiungere, per amore di verità, che proprio le piccole circoscrizioni sarebbero in teoria le più adatte a consentire la possibilità che gli elettori esprimano preferenze per i candidati. L’unica seria controindicazione per le preferenze, infatti, è che incentivano i candidati ad investire più denaro nelle campagne elettorali per essere eletti. Tale, inconveniente, tuttavia si manifesta in modo più pressante quando le circoscrizioni sono territorialmente molto vaste: più ampia è la circoscrizione, più bisogna spendere per farsi conoscere. Invece, in circoscrizioni che in media corrispondono ad una popolazione di cinquecentomila abitanti, quali sono le 118 proposte, non ci sarebbe bisogno di spendere in modo esagerato. Tutte le altre obiezioni che solitamente si muovono contro il criterio delle preferenze sono, a mio avviso, viziate da una logica antidemocratica e illiberale. Penso, in particolare, all’obiezione che, forti del consenso ottenuto dagli elettori, i parlamentari sarebbero meno controllabili dalle Segreterie dei partiti di appartenenza. E’ esattamente quanto personalmente auspico, posto che la mia idea di Parlamento è quella di una libera Assemblea effettivamente rappresentativa della comunità nazionale, composta da persone preparate ed autorevoli, e non di un insieme di mediocri esecutori, di gente nominata senza meriti propri, capace soltanto di leggere discorsi scritti da altri e di schiacciare un bottone a comando.
Comprendo che le vestali del maggioritario, preoccupate soltanto che qualcuno abbia l’autorità di decidere in fretta, non siano nemmeno attrezzate culturalmente per intendere la classica concezione liberale del Parlamentarismo.
Renzi teorizza che non vuole perdersi dietro le tecnicalità delle leggi elettorali. Il diavolo, però, sta nei dettagli. Quando le circoscrizioni sono così piccole, ne traggono vantaggio unicamente i partiti che raccolgono più consenso. Ipotizziamo che nella circoscrizione tipo si debbano assegnare quattro seggi e per di più (per accentuare l’effetto maggioritario, utilizzando il metodo d’Hondt per il riparto dei seggi). Ipotizziamo che, a fronte di 100 voti validi espressi in totale, i voti si siano così distribuiti: Lista A: 23,8 voti; Lista B: 21,5 voti; Lista C: 19,2 voti; Lista D: 10,6 voti; Lista E: 9,0 voti; lista F: 5,8 voti. Si omettono i risultati delle altre liste meno votate.
La lista A otterrebbe due seggi (il secondo con il quoziente 11,9); le liste B e C otterrebbero un seggio ciascuna. La lista D, con 10,6 voti resterebbe senza rappresentanza.
In altre parole, bisogna aver chiaro che in circoscrizioni così piccole si ha un effetto di sbarramento implicito per cui anche liste che superino la percentuale del 10 per cento potrebbero non ottenere seggi.
A quanto abbiamo letto, il sistema simil spagnolo prevede pure una soglia di sbarramento nazionale: sarebbero escluse dalla rappresentanza le liste che abbiano una percentuale di voti validi inferiore al 5 % nell’intero territorio nazionale. Di conseguenza, mentre la vera legge elettorale che vige in Spagna consente che i partiti più radicati a livello locale ottengano rappresentanza, questa possibilità sarebbe da noi preclusa da una così elevata soglia nazionale.
Poiché l’effetto maggioritario fin qui descritto forse è sembrato ancora troppo poco incisivo al professor D’Alimonte ed allo scolaro Renzi, si aggiunge un ulteriore premio di maggioranza di 92 seggi.
C’è quasi da rimpiangere il tanto vituperato “Porcellum”! Una cosa deve essere chiara: dal punto di vista di un liberale, un Parlamento degno di questo nome deve essere rappresentativo di tutte le forze politiche che abbiano un seguito consistente nel Paese; rispetto a questo principio, la considerazione degli interessi di un singolo partito, qual è il PD, viene sempre dopo. Nel contrasto tra l’interesse generale ad eleggere un vero Parlamento, e l’interesse particolare di un partito, dal mio punto di vista prevale sempre e comunque il primo. A buon intenditore, poche parole.
Accenno soltanto ad altre questioni di mera tattica politica. E’ opportuno stabilire un’intesa privilegiata con Forza Italia, un’intesa che dovrebbe essere tanto solida e tanto duratura da contemplare la possibilità di approvare insieme riforme costituzionali? Immaginiamo che Berlusconi abbia un’altra pronuncia giudiziaria per lui sfavorevole; ovvero che il magistrato di sorveglianza gli impedisca di assumere una determinata iniziativa politica nel periodo in cui dovrà scontare la pena alternativa a quella detentiva. Non si rende conto Renzi che ci potrebbero essere mille occasioni, dunque mille pretesti, per ricattare il PD, con la minaccia, molto concreta, di impedire che l’iter delle riforme intraprese si completi?