Tutta la questione sembra essere posta sotto forma di bivio: qualora vi dovesse essere la firma di tutte le sigle sindacali il piano Fenice avrà decretato il suo successo, in caso contrario non resterà altro da fare se non portare i libri in tribunale.
Le cose ad una più attenta analisi sono però più complicate. Nei giorni passati infatti la trattativa estenuante per il salvataggio della compagnia di bandiera ha palesato una crisi molto più allargata che colpisce il paese in maniera sistemica.
Per anni attraverso finanziamenti a pioggia (l’ultimo pochi mesi fa, un decreto ponte da 300 milioni di euro prosciugati in breve tempo) si era tenuta Alitalia in una sorta di “coma farmacologico”, senza che nessuna forza politica avesse il coraggio di staccare la spina. Una gestione pubblica, partitocratica, spesso truffaldina di una società in perdita costante, con liquidazioni d’oro per gli amministratori via, via succeduti. Capitalismo all’italiana per dirla in breve.
Ora tutto questo sembra finito. Terminato l’assistenzialismo finanziario e con esso tutto il carrozzone che si portava dietro. Difficile, anzi impossibile, dire quale ripercussioni potrà avere un eventuale fallimento, anche sul resto dell’economia italiana, ma piaccia o no, almeno in questo caso i soldi sono veramente finiti e uno Stato come il nostro sempre più in crisi non può più permettersi una compagnia costantemente in perdita e senza un serio piano industriale.
Verrebbe da dire, fermo il massimo rispetto per le difficoltà (legittime) che stanno vivendo i lavoratori, che il fallimento sarebbe auspicabile (oltre che per il libero mercato) anche per la sua capacità di lanciare un messaggio più generale all’intera sistema: Pantalone non paga più.
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Aperitivo liberale Dopo estenuanti trattative finalmente è arrivato il momento della verità: oggi si...